Nuove forme di vita / La letteratura mutante
Nel 2005 Mario Lavagetto ha escogitato una formula destinata a fare scuola, che definiva la crisi endemica della critica letteraria in Italia e nel mondo occidentale. Il suo pamphlet intitolato Eutanasia della critica, pubblicato da Einaudi, descriveva efficacemente lo svuotamento di senso della funzione critica alla fine del Novecento, indicando la serie di smottamenti che hanno accompagnato le pratiche interpretative verso una morte assistita, asettica e indolore. Silenziata da un contesto comunicativo saturo, indebolita da una profonda sconnessione tra i diversi momenti della pratica intellettuale (apprendimento, ricerca, insegnamento, divulgazione), la critica si presentava alla svolta del millennio bloccata, immobile, impantanata nell’epigonismo. Stretta tra le pressioni dell’industria culturale e l’invisibilità dell’iper-specializzazione accademica, la critica aveva perso la sua presa sugli oggetti culturali e, di conseguenza, sul mondo.
Per anni la formula di Lavagetto è stata la soglia d’accesso obbligata di ogni discorso sulla situazione critica, malinconico sigillo di una impossibilità, o impotenza, che è passato nel senso comune fino a sembrare inscalfibile. Dall’immobilità che ha fatto seguito all’eutanasia, tuttavia, negli ultimi anni sono emersi, seppure lentamente e contraddittoriamente, segnali di vitalità, tentativi di riaffermare il significato della critica, che rispondevano a un’esigenza tanto più urgente quanto più il mondo intorno si faceva illeggibile. E un possibile rilancio della critica letteraria si può leggere in una costellazione di libri recenti e recentissimi, dei quali il più combattivo e determinato nel mettere le mani nel caos del presente è forse quello appena pubblicato da Gianluigi Simonetti, La letteratura circostante. Narrativa e poesia nell’Italia contemporanea (il Mulino).
Il lavoro di Simonetti si confronta con il compito difficilissimo di orientarsi nella magmatica, sterminata, diseguale produzione letteraria dell’ultimo trentennio. Ma ciò che rende il libro una proposta originale e con pochi precedenti in Italia è l’idea di poter tornare a fare critica, a descrivere, distinguere e comprendere le opere letterarie, a partire dalla presa di coscienza di una mutazione irreversibile del contesto comunicativo, e quindi dell’ambiente in cui si pratica e si legge la scrittura letteraria. L’indagine di Simonetti muove da una constatazione, semplice ma difficile ed esposta a molte resistenze: la “letteratura d’una volta”, la letteratura in senso forte, nello studio e quasi nel culto della quale sono cresciuti e si sono educati studiosi e studiose (ma anche scrittori e scrittrici) della sua generazione, ha esaurito la propria funzione storica. L’idea di una letteratura detentrice di valori tendenzialmente assoluti, investita di un mandato educativo e quasi di elevazione spirituale, veicolo di modelli esemplari sia dal punto di vista estetico che etico e morale, concepita come strumento di lotta politica, è ormai decaduta e risulta incomprensibile a lettori e lettrici non specialisti. L’idea stessa della cultura umanistica come infrastruttura fondamentale della società, irrorata dalla letteratura come da un’arteria principale, strumento di istruzione della classe dirigente ed emancipazione delle classi subalterne, è stata sopraffatta da altri luoghi e modi di creazione del valore sociale, e da orizzonti di senso completamente indipendenti dal patrimonio dei saperi tradizionali.
Dentro questo contesto, dice Simonetti, è nata una letteratura mutante. Che in primo luogo ha subito l’attrazione delle forme e delle modalità di diffusione di quello che una volta era considerato il polo opposto alla letteratura in senso forte, ovvero la letteratura popolare e di consumo, orientata all’intrattenimento e priva di requisiti educativi minimi d’accesso.
Tuttavia, sarebbe semplicistico dire che la “letteratura circostante” di cui parla Simonetti si sia semplicemente trasformata, tutta, in letteratura di consumo. Ciò che Simonetti evidenzia con acume è proprio che la mutazione ha creato delle nuove forme di vita letterarie, una nuova tipologia dell’immaginario che non somiglia a nessuna delle precedenti, e che aderisce a un proprio specifico funzionamento formale e cognitivo. Travolto dal cosiddetto narrative turn, dalla pervasività del paradigma narrativo che ha investito tutti i campi del sapere, il fare letterario ha spostato il proprio baricentro dalla creazione di forme, tendenzialmente compiute e stilisticamente coerenti e riconoscibili, all’invenzione di storie. Le coesione formale delle opere scritte si è indebolita, e con essa si è depotenziata la funzione identitaria e ideologica dello stile. Di più: la letteratura circostante persegue quasi programmaticamente una mediocrità stilistica che aderisce alle esigenze della cultura media, una “terza via” compresa tra l’alto della tradizione e il basso del consumo.
A questa constatazione non fa seguito, ed è uno degli aspetti più interessanti del libro, un giudizio liquidatorio sulla mediocrità della letteratura attuale, bensì uno sforzo ulteriore di comprensione, un tentativo di interpretare la letteratura mutante come una forza divergente, che non può essere compresa con gli strumenti tradizionali della valutazione, perché fa e dice qualcosa di profondamente diverso rispetto a ciò che la letteratura ha fatto e detto in passato. Tuttavia, l’analisi di Simonetti non si limita a considerazioni esteriori e sociologiche, ma tenta di comprendere queste nuove creature attraverso un aggiornamento e un adattamento delle risorse della critica letteraria, rintracciando caratteristiche formali e ricorrenze tematiche, strategie di organizzazione retorica e tendenze stilistiche, verificate spesso sull’analisi ravvicinata di opere esemplari. In cui la campionatura è utilizzata per mostrare la coerenza complessiva di un movimento.
La letteratura circostante, infatti, si manifesta come un flusso, va compresa attraverso uno sguardo d’insieme capace di cogliere lo scorrere della scrittura dentro il magma del presente, e di interpretare una modalità di produzione che ha rinunciato alla pretesa programmatica di “erigere un monumento”, secondo il modello umanistico-romantico dell’opera come frutto dell’individualità isolata e inconfondibile di un formidabile genio.
La letteratura circostante è una letteratura “di società”, dice Simonetti, che per certi aspetti ricorda quella pre-moderna, pensata come performance destinata a uno spazio sociale predefinito (come la corte): parla a dei gruppi, a delle comunità segmentate e riconoscibili, e non al privato e all’interiorità di un individuo “universale”, come ha fatto la letteratura post-romantica; si fa in pubblico, in un qui e ora iperconnesso, e spesso agisce attraverso l’individuazione preventiva degli interlocutori.
La letteratura forte che è stata attiva fino agli ultimi anni del Novecento concepiva se stessa, e veniva avvicinata da lettori e lettrici, come una forma di conoscenza. La letteratura mutante invece ha dismesso il suo potenziale conoscitivo per consegnarsi soprattutto come esperienza emotiva. Da questo slittamento consegue anche che la carica antagonistica tradizionalmente associata alla letteratura moderna, scritta sempre in opposizione all’esistente, come critica della società e svelamento delle sue storture, decade a vantaggio di una letteratura come creazione di mondi molteplici, flessibili e accoglienti. La letteratura non critica più il mondo, ma più spesso lo descrive e lo espande, per offrirsi come una sorta di guida nel labirinto della contemporaneità, come uno strumento di orientamento cognitivo e, ancora, emotivo, che accompagna chi legge anziché metterlo di fronte all’esperienza pedagogica dell’asperità e della difficoltà.
Queste caratteristiche fondamentali della letteratura circostante derivano senz’altro dalla pressione modellante esercitata sulla scrittura dal mercato e dai media, che diventano nel sistema contemporaneo non soltanto veicoli di un valore letterario assoluto, elaborato lontano dall’influenza commerciale e mediatica, ma essi stessi creatori del valore e del prestigio letterario. I media non si limitano a trasportate un messaggio, ma creano il messaggio e gli danno forma. Altro merito del lavoro di Simonetti è proprio quello di considerare l’intreccio tra mercato e comunicazione non solo nel suo impatto sociologico sulle pratiche letterarie, ma nella sua forza di determinazione dei linguaggi e degli stili, considerandone in dettaglio l’influenza sulla sfera formale. Il codice genetico stesso della letteratura mutante, dai temi fino al modo di disporre le parole, deriva dalla simbiosi irreversibile tra la parola scritta e il campo multiforme della comunicazione.
Una delle conseguenze più evidenti di questa esposizione mediale della letteratura è la costituzione dello scrittore o della scrittrice come personaggio all’interno della narrazione dei media. Il corpo di chi scrive, la sua immagine (anche, e forse soprattutto, quando è negata, come nei molti casi di anonimato o di scrittura collettiva), diventa un’integrazione necessaria del corpus, dell’opera. La storia raccontata dentro il testo e quella raccontata fuori si compenetrano, personaggio/scrittore e opera diventano un continuum semiotico, che spesso prende corpo nella pratica della performance, dell’esibizione dal vivo, elemento costitutivo della letteratura circostante. E non solo della più commerciale e vistosa, se è vero che anche la poesia contemporanea cerca di rilanciarsi attraverso un ritorno all’oralità e alla fisicità dell’esecuzione, che invoca la presenza del poeta e l’incorporazione della sua parola.
Allo scrittore mutante è richiesta una versatilità multimediale che riverbera sulle sue scritture, concepite già come disponibili a farsi tradurre in altri linguaggi e in altri media, e stilisticamente pensate per essere solubili, amalgabili ad altri discorsi. In generale, Simonetti evidenzia come la letteratura circostante agisca una rottura dell’isolamento tradizionale della forma-opera, per diventare una letteratura di contiguità, di contatto con tutto ciò che c’è fuori, a cominciare dal pubblico, cercato e convocato tanto attraverso lo stile quanto attraverso il moltiplicarsi delle occasioni mondane di incontro e socializzazione letteraria.
Del resto l’individuazione di un movimento di estroflessione della letteratura, che cerca un contatto con l’esterno, che prova a produrre senso agganciandosi ai flussi comunicativi che la sovrastano, è una delle intuizioni più intriganti dell’analisi critica di Simonetti. Anche perché permette di capire qualcosa non solo della letteratura, ma del mondo che l’ha prodotta e delle forme di vita della contemporaneità. Simonetti rovescia di segno l’idea di essere lettori e interpreti rimasti “nudi, liberi e soli” di fronte alle sfide del presente, e la converte da immagine di desolazione a opportunità di comprensione di un nuovo orizzonte di senso. Proprio nella valorizzazione di questa opportunità, nella capacità di fronteggiamento non nostalgico del presente, sta il segnale di vitalità critica che può portare le pratiche interpretative oltre l’eutanasia, e aprire una nuova stagione. Accompagnando la letteratura nella sua mutazione e nel suo confronto con l’esterno da sé, la critica potrà cominciare a indicare nuovi valori, una nuova idea della qualità, radicata nella consapevolezza della trasformazione delle forme e soprattutto dello statuto della letteratura, delle sue specificità e delle sue funzioni.