La trasformazione
Bunker: Fare domani dentro Bunker, La Barriera
Giocavamo alla tedesca in via Pacini, la porta era il muro dello Scalo. Prima però, c’era da preparare il campo, spingendo via le siringhe con le scarpe. A volte il pallone finiva di là. E non erano più una sorpresa per chi scavalcava i resti di un fuoco, la casetta occupata da qualche tossico, una ruspa ferma, i rifiuti e le erbacce sempre più alte. Io che abitavo in Vanchiglia la Barriera l’ho scoperta così, come i miei compagni dell’Einstein che venivano da San Mauro e Settimo, in quei pomeriggi prima del rientro, quando le uniche strutture ricreative erano una via cieca. Così abbiamo scavalcato anche i Novanta.
Lo Scalo s’è fatto deserto nel 1990 e da allora nemmeno la neve che d’inverno scaricano i mezzi serve a riempirlo. Nel frattempo dell’idea da città stato “investire per cambiare” è rimasta la coda di debiti. Ma molti non hanno perso l’ansia di riempire, sempre più in fretta, fare senza capire. Come quando al supermercato butti nel carrello e poi a casa non sai cosa ti sia preso. E infatti in posti così, come in spina 4, spesso arriva un supermercato, al massimo qualche panchina e un’aiuola. Per qualcosa d’altro ci va tempo, ci va un progetto, ci va fatica. Intanto però il tempo passa, bisogna aspettare. E quest’attesa meriterebbe di più, andrebbe progettata a sua volta: la progettazione dell’attesa. Perché intanto siamo qui.
Mai visto qualcuno cancellare un deserto? Non ce la fai. Ma a coltivarlo forse sì. Come per ogni orto serve però qualcuno che se ne prenda cura, con pazienza e generosità. E conoscenza, per vedere il buono che portano le api, le erbe spontanee, gli ibridi. Altrimenti, ognuno penserà sempre e solo a difendere il suo pezzetto, senza nemmeno accorgersi di essere solo in una guerra tra poveri. Per esempio, la mia generazione è stata l’ultima a giocare nei campi di calcetto liberi, ma anche la prima a dover pagare per quelli privati. Come tutte quelle che sono venute dopo. Oggi cosa immaginiamo per la prossima, cosa vogliamo? Forse uno spazio – per andare avanti davvero, ma con un occhio a cosa c’è sopra e sotto la sabbia. Ha ragione Calvino, “ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”.
(Consigliere e presidente della Commissione Ambiente del Comune di Torino)