Arcisociale: Cronache dal mio stream / L’Europa dei burocrati
Fra le opzioni che Facebook offre per definire una pagina pubblica, mai dicitura fu più azzeccata di quell’“organizzazione comunitaria” che campeggia solenne come sottotitolo della pagina degli Eurocrati. Stiamo, infatti, parlando dell’organizzazione comunitaria per eccellenza, l’Europa dei burocrati così siderale e lontana nella sua rappresentazione eppure così vicina e concretamente vincolante nella vita quotidiana di tutti noi.
Il modo in cui viene raccontata l’Unione Europea nei nostri media è, se vogliamo, renziano già da molto prima di Renzi. Un covo di azzeccagarbugli che ha perso il filo ideale con i grandi padri fondatori e si alimenta delle proprie forzate procedure: infrazioni, protocolli, parametri come strumenti di dominio, tanto irragionevoli quanto perentori, tanto anonimi e impersonali da presentarsi al popolo, più che come strumenti di governo di una comunità politica, come ineluttabile destino, desolata e perenne ordinaria amministrazione post-politica.
La pagina degli Eurocrati fa sicuramente ironia su tutto questo.
Ma il modo in cui la fa è davvero peculiare. Piuttosto che prestare il fianco a una certa retorica vittimistica, facendo facili battute consolatorie sulla proverbiale insensibilità della casta, la pagina sceglie di cambiare prospettiva. Fa il gioco semplice di guardare il mondo dal punto di vista direttamente speculare, quello dell’Eurocrate, per l’appunto, con l’intento di farne la parodia e il risultato collaterale di fornire una narrazione coerente di un universo eurocratico, sconosciuto perché mai veramente raccontato. Ed è proprio grazie alla serialità della forma facebook, che un’operazione di questo genere può riuscire senza risultare indigesta: piccole dosi quotidiane di meme fulminanti. Le medesime notizie, ora centrali (l’intervento del governatore Draghi), ora secondarie (l’ennesima riunione), che i nostri quotidiani forniscono ma sganciate dal resto, come fredda cronaca, vengono, una volta tanto, intrecciate in una narrazione coerente, in cui personaggi mostrano di essere parte di una comunità politica, anzi, di essere intrinsecamente politici.
Ciò che dall’esterno sembra estenuante ragioneria senza scopo, invertendo il punto di vista, può rivelarsi per quello che è, un agone in cui si muovono soggetti che hanno uno spessore, un’anima, degli obiettivi comprensibili. Gli eurocrati, infatti, attuano, come tutti i politici, le loro tattiche in vista di un fine superiore conseguente, dispiegano i loro schieramenti, fanno e disfanno alleanze, si scontrano, con delle ragioni precise e delle passioni peculiari. È prendere atto di questa evidenza, sembrano suggerire fra le righe gli Eurocrati, la chiave per impostare una dialettica corretta e immaginare ogni aspirazione di rivalsa contro lo status quo. Smascherare i tecnici, comprendere la necessità e allo stesso tempo la relatività della loro posizione, è il primo passo perché un’alternativa viabile alla loro egemonia possa davvero dispiegarsi. È la precondizione affinché ci sia – di nuovo – dialettica.
Ed è allora, ancora una volta, a partire da un luogo laterale come solo può essere una pagina di facebook, per giunta satirica, che si può ritrovare la forma perduta dell’Organizzazione Comunitaria per eccellenza, fatta di diversi in relazione, in cui questa diversità non venga, una volta di più, minimizzata. In una prospettiva di questo genere, ritorna, allora, la Storia, prima vittima della retorica della realizzazione del Sogno Europeo. Un’Europa senza storia, senza rivalità fra Francia e Germania, senza Inghilterra isolazionista, senza i rottami e gli incubi del comunismo e del nazismo, un’Europa pop, “senza confini”, ci è stata venduta per anni come feticcio, forgiando una generazione di illusi Erasmus alle prese con le cronache tristi dei nostri giorni.
Gli Eurocrati ci ricordano, allora, che dietro i conflitti su spread e parametri, si nascondono antagonismi che hanno ragioni storiche e culturali. L’Europa politica, raccontata dagli Eurocrati, è, insomma, figlia della sua storia peculiare che non andrebbe mai, come spesso succede, malamente denegata in nome dell’utopia. Le ataviche divisioni fra nordici e mediterranei, segnate dall’eterna contesa fra cattolicesimo e protestantesimo, possono, così, una volta tanto, ritrovare cittadinanza nel racconto europeo fatto dalla pagina facebook. C’è, per esempio, Jyrki Katainen, ex premier finlandese ora Commissario europeo per il lavoro, la crescita, gli investimenti e la competitività, noto per le sue posizioni oltranziste su austerità e controllo della spesa. Egli diventa Bomber Katainen, belloccio e sobrio, sempre pronto a fustigare gli eccessi dei mediterranei. In un post a commento di una foto in cui egli appare in hotel, seduto sul letto, già vestito in giacca e cravatta nell’atto di sfilarsi delle ciabatte da notte blu Europa a stelline: “Ore 04:17. Bomber Katainen si sveglia e sa di dover commissariare i mediterranei. Ore 11:24. I governi mediterranei si svegliano con l'alito che sa di pasta con le sarde e non sanno quello che li aspetta”.
L’indolente piacere del cibo mediterraneo contro l’etica del sacrificio protestante in una sorta di pranzo di Babette al contrario: i nordici vincono perché esercitano la disciplina del corpo e guardano i loro concittadini rivieraschi con il malcelato disprezzo riservato a chi non sa controllare le proprie passioni e finisce per rimanerne schiavo. Questa dialettica viene ripresa spesso nei post ed ha anche una variante al femminile. Aura Salla, sventolona finlandese dell’entourage di Katainen, diventa modello di sobrietà femminile nordica, in cui l’italiano finisce sempre per fare la figura del cascamorto inconcludente. La sua pagina facebook, dopo il riferimento degli Eurocrati, ha avuto un picco di like: Aura si è ritrovata così davvero a dover gestire una schiera di italici corteggiatori che, fra il serio e il faceto, tentavano, nei commenti ai suoi post in finlandese, di attrarre la sua attenzione. Il fatto che, al contrario di una qualsiasi Emily Ratajkowski, la severa eroina nordica, poco interessata alle luci della ribalta, si sia occupata di cancellare i commenti indesiderati, diventa segno ulteriore di disprezzo verso il lassismo mediterraneo, perfetto per un nuovo post degli Eurocrati.
Altri post descrivono la filosofia eurocratica: “questo mandato è stabilito dalla legge europea, noi obbediamo alla legge e non ai politici, perché siamo indipendenti”. Ad aver pronunciato queste parole, in un recente intervento, è stato Mario Draghi, guadagnandosi l’imperitura ammirazione di ogni eurocrate che si rispetti: “in una frase il presidente Mario Draghi ha riassunto tutta l’eurocrazia”.
Il presidente Draghi, nel racconto Europeo degli Eurocrati, non è il centravanti della politica italiana. Al contrario, è il più perfetto interprete dell’Eurocrazia. “Quando si diventa eurocrati si abbandona il proprio corpo mortale, nato in un paese dell'Unione e inesorabilmente animato da costosi desideri, per assumere un corpo mistico, fatto della stessa materia di cui sono fatti i Trattati”, così commentano gli Eurocrati un passaggio di un’intervista della Bild in cui il presidente Draghi dichiarava quanto ininfluente fosse la sua nazionalità nelle sue scelte di politica monetaria. La nuova cittadinanza europea impone, così, di esercitare forme di leadership postnazionale, autonome rispetto ai popoli ma comunque culturali. Dopo i popoli, non c’è, infatti, la fredda burocrazia ma ulteriori forme di appartenenza più ampie e frastagliate, che è vitale riconoscere e mappare, all’interno delle quali ogni proposta politica deve trovare posto e legittimazione per essere efficace.
A prescindere dalle nazionalità, nell’Europa politica degli Eurocrati, proprio come in ogni comunità politica, si scontrano, allora, kenyenesiani (Draghi) ed economisti classici (Schäuble). E la messinscena che gli Eurocrati apprestano per questo scontro è davvero divertente: le eterne guerre stellari, in cui a capeggiare i Sith ritroviamo il cattivo dei cattivi Schäuble mentre toccherà allo stesso Draghi l’onere di combattere l’impero guidando la resistenza.
Ci sono poi i meeting e gli incontri che puntualmente vengono coperti dalla macchina eurocratica. Le “istantanee dal consiglio europeo” attraverso foto e piccole citazioni, puntellano questi incontri, ancora una volta, con il risultato di drammatizzarli, facendone prezioso (prezioso perché allo stato unico nel suo genere) storytelling. Succede così, che agli occhi di un’Angela Merkel, l’italiano Renzi venga ironicamente rappresentato come un simpatico venditore d’accatto: “no guardi, non mi interessa”. A cui egli prova a rilanciare: “Ma no signora, è bellissimo, le do anche un cambio shimano in omaggio”. O ancora, a proposito di Brexit, a commento di una foto in cui Merkel e Cameron appaiono in una posa poco ortodossa: “[Angela spiega alcuni fondamentali economici a David]. David, questa mano può essere piuma o una svalutazione competitiva della sterlina. Capisci?”.
Un’altra sezione ancora interessante è “L’eurocrate che non conosci ma che ti governa”. In cui, manco a dirlo, vengono beffardamente presentati i curricula e le biografie degli anonimi protagonisti della vita politica Europea. Il solo sciorinare le loro carriere risulta come spassosa quanto crudele lista di scelleratezze compiute a danno dei popoli spendaccioni.
Ma a un quadretto di questo genere non può mancare anche l’ironica ripresa del modus eurocratico, un modus che manco a dirlo è peculiare. Anni di politiche di svecchiamento del linguaggio politico, di berlusconismo e di renzismo si infrangono nell’impermeabilità del potere eurocratico, un’impermeabilità che è innanzitutto ritorno del burocratese. Ogni statement, ironicamente ripreso dagli Eurocrati, è divertente perché è espresso in una lingua d’altri tempi, rimessa in circolo dalla nomenklatura europea. Anche le foto e gli slogan, così come le battute di spirito, sono di una disarmante e parrocchiale ingenuità, in quanto il vero potere non ha bisogno di essere simpatico, come si sforzano indefessamente di essere i potentati nostrani cresciuti a pane e comunicazione d’impresa. Stagisti è la giusta denominazione che, nel brutale (ma sincero!) lessico eurocratico, sarebbe loro riservata.