L’invenzione dello Swatch
Swatch compie quarant’anni. Si tratta di un prodotto interessante, perché siamo di fronte a un grande successo commerciale, ma anche a un rilevante fenomeno culturale e di costume. Vale la pena dunque di tentare un’esplorazione delle ragioni alla base della duratura affermazione di quest’orologio.
Innanzitutto, va considerato che la nostra concezione del tempo si è profondamente modificata rispetto al passato. È stata infatti fortemente influenzata dal diffondersi di quel modello della rete e del flusso che caratterizza la società e i media contemporanei. Com’è noto, il sociologo Manuel Castells ha individuato nel volume La nascita della società in rete il concetto di «timeless time» (“tempo senza tempo”) per indicare l’esperienza temporale che caratterizza le società contemporanee e che viene prodotta dalla tendenza a comprimere il tempo e a rendere confusa la sua sequenza cronologica. Si tratta cioè di un tempo sospeso tipico della condizione attuale dei mercati capitalistici (dominati dalla libera circolazione su scala planetaria di beni e messaggi), dei capitali finanziari (che operano in tutto il mondo 24 ore su 24) e della continua interazione su scala mondiale resa possibile dalla comunicazione che avviene attraverso il Web.
Questi cambiamenti relativi alla concezione del tempo avrebbero dovuto far scomparire il tradizionale orologio meccanico da polso dotato di un quadrante analogico a lancette. Ciò però non è successo, nemmeno quando si sono notevolmente diffusi nell’uso quotidiano gli smartphone, che tra le varie funzioni che svolgono hanno anche la misurazione del tempo. La tesi sostenuta dal critico del design Deyan Sudjic nel volume Il linguaggio delle cose è che ciò sia potuto avvenire perché l’orologio da polso ha saputo evidenziare la stessa capacità di costruire un rapporto intimo con gli utenti e il loro corpo posseduta dallo smartphone, che le persone tengono costantemente in mano e vicino alla bocca e all’orecchio.
Certamente, l’orologio da polso ha dovuto aggiornarsi e spesso ha sostituito un meccanismo interno di tipo meccanico con uno che sfrutta le proprietà di un cristallo di quarzo. È il caso dei modelli di Swatch, marca che ha saputo mantenere vivo l’archetipo dell’orologio analogico con lancette e deve principalmente a ciò il suo grande successo mondiale. Il primo marzo del 1983 è stata presentata a Zurigo la prima collezione di 12 modelli. Lo Swatch comprendeva soltanto 51 pezzi anziché i 91 presenti solitamente negli altri orologi, il che ha consentito di realizzare una catena produttiva completamente automatizzata.
Come si diceva, gli Swatch sono principalmente basati sull’archetipo dell’orologio da polso con quadrante analogico a lancette e sono dunque esattamente uguali l’uno all’altro. Quello che differenzia i vari modelli è la decorazione sul cinturino e sulla cassa. Robert Venturi e altri architetti statunitensi hanno distinto nel loro famoso studio Imparare da Las Vegas due tipi di architetture: quelle che hanno chiamato decorated shed, cioè gli edifici elementari con superfici piane decorate, e i duck (“papere”), ovvero gli edifici concepiti come sculture articolate in grado di esprimere la propria funzione.
È evidente che gli Swatch appartengono alla prima categoria. Vale a dire che fondamentalmente Swatch ha trasferito nel mondo degli orologi le strategie che venivano già in precedenza impiegate da parte delle aziende del settore della moda, con una grande attenzione alla dimensione estetica dei prodotti, un costante lavoro di rinnovamento delle proposte, la creazione di vere e proprie collezioni e lo sviluppo di una rete di negozi che possono essere considerati delle boutique di marca.
Come per le collezioni di abbigliamento, la produzione viene rinnovata due volte all’anno. Il costo contenuto di tutti i modelli fa sì che grazie a ciò i consumatori abbiano la possibilità di effettuare delle scelte personali e differenzianti, ma anche di generare quella che è stata chiamata “swatchmania”, cioè la voglia di possedere più modelli possibili tra i tanti che vengono presentati e che spesso sono firmati da artisti o designer di grido. Parallelamente, però, l’impulso a collezionarli ha creato un mercato di collezionisti dove i modelli raggiungono delle quotazioni che sono anche estremamente elevate, a volte grazie alla presenza alle importanti aste di Christie’s o Sotheby’s. Ciò è favorito anche dall’azienda produttrice, che spesso ha appositamente limitato le quantità offerte dei vari modelli e ha prodotto anche molti modelli “fuori serie”, perché, dovendo mantenere continuamente attiva la catena produttiva automatizzata, se ad esempio non disponeva di lancette, ha montato quelle destinate al modello successivo.
Ma, a parte alcuni rari casi nei quali le quotazioni dei modelli sono molto elevate, di solito lo Swatch rimane un orologio dal costo estremamente accessibile. Eppure, nonostante ciò, come ha evidenziato il semiologo Omar Calabrese nel volume Serio ludere, esso viene spesso vissuto dalle persone come un talismano, cioè come un oggetto portato sul corpo come se fosse una protesi e soprattutto in grado di produrre degli effetti magici.
La magia deriva anche dal fatto che, nonostante l’impoverimento della fascia media della popolazione avvenuto negli ultimi decenni in tutto l’Occidente, c’è stata un’offerta di prodotti low cost, che hanno reso possibile una grande varietà di scelte di consumo di livello inferiore, ma soddisfacenti per i consumatori, perché si tratta comunque di prodotti in grado di simulare bene i prodotti più costosi. Non siamo però davanti a dei prodotti che sono stati falsificati, ma semmai a dei surrogati, a qualcosa che viene semplicemente consumato “al posto di”. A qualcosa cioè in cui il contenuto “moda” sostituisce il contenuto di preziosità e gli attribuisce ugualmente un contenuto di prestigio.
Come spesso succede nel caso di prodotti di successo, per Swatch anche il nome utilizzato è stato particolarmente importante. Calabrese ha affermato che si tratta di un nome riuscito perché riesce a tenere insieme “swiss”, cioè il concetto di elveticità (enfatizzato peraltro anche dalla presenza della bandiera svizzera sul logo della marca), e “watch”, vale a dire “orologio da polso”. Nello stesso tempo, però, tale nome esprime anche altri significati, come quello dovuto al fatto che «La esse iniziale può funzionare come secca negazione (il non-orologio), e connotare un atteggiamento anticonformista, come tutto ciò che nega» (p. 58).