Roberto Esposito e la lotta con l’Angelo
A passo lento, con critica accortezza, Roberto Esposito nel suo ultimo libro I volti dell’Avversario (Einaudi, 2024) si accosta al tema della “Lotta con l’Angelo”, che, uscito dagli stretti confini del Libro della Genesi, ha, nei secoli, inquietato esegeti, filosofi, teologi, artisti. Agostino evoca la parola “mistero”, Nelly Sachs il “muschio nero dell’enigma”, Elie Wiesel parla di “fitte tenebre” che avvolgono il passo biblico: “Avventura strana, misteriosa da cima a fondo, di una bellezza da far fremere, di una intensità da far dubitare dei sensi. Chi non ne è stato affascinato? Filosofi e poeti, rabbini e narratori, tutti cercano di risolvere l’enigma di ciò che è accaduto quella notte, a qualche passo dal ruscello Jabbòk”.
E anche la pittura si è addentrata in questa “avventura strana e misteriosa”. Da Rembrandt a Delacroix fino a Chagall, ha restituito gli elementi densamente oscuri della “lotta”, che in Rembrandt sembra quasi un abbraccio, in Delacroix il movimento dei corpi tesi nella contesa si sviluppa in una sorta di danza, in Bonnat prende tratti convulsi, furiosi, in Odilon Redon le grandi ali dell’Angelo sembrano proteggere e quasi nascondere Giacobbe. Ma il senso della lotta e l’identità dell’uomo o dell’Angelo che si oppone a Giacobbe continua a sfuggire. L’enigma resta irrisolto.
Più di ogni altro, è il dipinto di Eugène Delacroix, collocato su una parete della chiesa di Saint-Sulpice a Parigi, ad accendere l’attenzione di Roberto Esposito: “Per quasi trent’anni, ogni volta che sono stato a Parigi, sono andato a vederlo in una sorta di appuntamento segreto”. Parte da questo “appuntamento segreto”, un accumulo di pensieri ed emozioni, interrogativi inevasi, depositati nel tempo, il suo lungo itinerario attraverso le metamorfosi della “lotta con l’Angelo” e le sue “infinite interpretazioni teologiche, letterarie, artistiche”. Potremmo dire che questo libro di Roberto Esposito, così diverso da ogni suo precedente libro, è, a sua volta, una lotta, e, a tratti, una sfida. Con il corpo del testo anzitutto, poi con le parole e le immagini che da quel testo, in copiosa filiazione, sono scaturite. Chi è l’“uomo” che lotta con Giacobbe “fino allo spuntare dell’aurora”? E qual è la contesa, quale la posta in gioco? Gli interrogativi s’infittiscono, ma non si arriva a illuminare la notte in cui ha luogo lo scontro. Al contrario, l’“indeterminazione” con cui si sviluppa il racconto di “Genesi” alimenta le domande, le aizza, disorientando il lettore occasionale o l’ostinato interprete. Chi è l’Avversario? “Un uomo, un Dio, un Angelo, un nemico nazionale o religioso, o è l’ombra che si stacca da Giacobbe per perseguitarlo?” Il suo volto continua a sfuggire, il profilo è avvolto nel buio della notte.
Per quanto oscura e indeterminata, la “lotta”, all’interno di una cornice in cui nulla è chiaro, risulta fondativa: Giacobbe troverà un nuovo nome, si chiamerà Israele, che vuol dire “colui che lotta con il Signore”, e quel nome scaverà il solco in cui si muove la storia più che millenaria di un intero popolo.
Pesante il fardello di quel nome. E non è l’unico segno del combattimento. C’è il colpo all’anca inferto a Giacobbe, una ferita dunque, in cui l’episodio biblico si spegne, e, allo stesso tempo si compendia, una profonda ferita destinata a trasformare la figura stessa di Giacobbe costringendolo a zoppicare. “Testimonianza indelebile del dolore subito”, osserva Roberto Esposito, “ma anche di una straordinaria crescita spirituale. Per non dire che qualcosa di quella ferita resterà impressa nella storia, da sempre dimidiata, del popolo che erediterà il suo nuovo nome”.
La “lotta” trasforma, altera l’identità, ne modifica le linee. Incide non solo l’anca di Giacobbe, ma l’intera forma umana. Lo si può vedere nell’opera di Marte Sonnet, “Un homme lutte avec lui”, dove Giacobbe viene investito da una nera forza informe, una forza che non ha nome. Giacobbe sta in bilico sul confine dell’umano per non essere travolto dalla voragine caotica, dal “muschio nero” dell’informe. In pericolo l’umanità dell’uomo e il suo destino.
L’immagine di Marte Sonnet è conficcata nel cuore del nostro tempo. L’antico racconto biblico, che, dopo un lungo viaggio, dalle rive dello Jabbok, è giunto fino a noi, non è destinato a declinare. Parla ancora. Parla della guerra che continua ad abitare l’uomo. Parla – dice Roberto Esposito – della “lotta come forma dell’esistenza… mette in rapporto la violenza umana con qualcosa di più originario, che la trattiene ma insieme la rivela nel suo carattere essenziale”.
Il libro di Roberto Esposito allarga via via il suo disegno, convoca tutti i saperi, dall’esegesi biblica alla psicanalisi, che, nel tempo, hanno risposto al richiamo della “bellezza” e dell’“intensità” del testo di “Genesi” applicandosi a scioglierne l’enigma. Ha raccolto la sfida, attraversando le sue “fitte tenebre”, e provando a identificare il volto dell’Avversario di Giacobbe. Per farlo Roberto Esposito ha deviato la linea della sua riflessione, che, negli ultimi anni, ha messo a tema prevalentemente la “biopolitica”, e il rapporto tra movimenti e istituzione. Ha spezzato quella linea consolidata, ha aperto una “falla”. Si è esposto al rischio. Una domanda di verità percorre l’intero arco di I volti dell’Avversario, e sostiene l’intera sua indagine sulla “lotta con l’Angelo”. Ma la verità ci è preclusa, la si può guardare da lontano, come Mosè fuori dalla terra di Canaan. Si possono aprire varchi verso di essa, si può lottare. Dice Roberto Esposito: “Non si lotta – da parte di Giacobbe come da parte di ognuno di noi – per impadronirsi di una verità inattingibile, ma per accertarne l’inafferrabilità…Quale ne sia la motivazione contingente, in ultima analisi lottiamo sempre per la nostra verità, per cercare, almeno per una volta di vederla ‘faccia a faccia’, come Giacobbe fa con l’Avversario, prima che si dilegui di nuovo”