Trenta “episodi critici” di Salvatore Silvano Nigro / Una spia tra le righe
Avremmo avuto una delusione, solo un’esibizione di muscoli, se questo libro di Salvatore Silvano Nigro fosse stato un’opera nuova e non un almanacco. Ne avremmo ammirato l’altezza ma non la profondità. Non nasce un libro simile se non per accumulazioni nel tempo, mai di getto, perché fa premio lo studio e con esso la ricerca filologica. Fosse stato scritto per se stesso avrebbe perso per strada gran parte del suo prezioso carico: che è fatto soprattutto di riflessioni, pazienti legamenti, sapienti rimandi, balzi diacronici e lavoro acribico di cesello e ricamo. Questo libro poteva nascere, come un buon vino d’annata, solo per distillazione di testi appartenenti a occasioni e tempi diversi.
I trenta articoli che Nigro chiama “episodi critici” (“organizzati”, come precisa in prefazione Matteo Palumbo, in dieci capitoli e un’Appendice nel libro Sellerio intitolato Una spia tra le righe, pp. 364, euro 18) sono viemmeglio extravaganze di uno studioso che non solo negli ultimi vent’anni, l’arco di tempo entro il quale fino al 2020 sono stati pubblicati, ma in tutta la sua militanza (e militante va detta un’attività letteraria che pur appartiene a un accademico: di qui la sua originalità) non ha fatto che ricercare lo storytelling nel vasto ambito del postmoderno rivolto alle contaminazioni dei saperi e ai giochi combinatori di generi e discipline che massimamente Umberto Eco ha professato esercitando il suo magistero da una cattedra occupata oggi proprio da Nigro.
Episodi critici dunque (giusta l’etimologia del sostantivo che integra un’accezione temporale, significando “entrare dopo”), che però critici non sono: vorrebbero essere recensioni e prese di posizione ma appaiono perizie di parte, trattandosi di introduzioni e prefazioni di saggi e romanzi altrui ai quali fanno da battage. Nigro non cerca mai l’anello debole ma quello forte e finisce per intonare epinici piuttosto che epigrammi, levando lodi agli autori e sulla spinta anche agli editori, come e soprattutto nel caso della Sellerio, la casa editrice per la quale più lavora e che gli ha commissionato i due terzi degli scritti qui raccolti. Chi si aspetta giudizi obiettivi si trova perciò ad avere expertise condotte sul crinale della particolarità. Tale è quella che gli fa scrivere: “Sciascia fondò il catalogo della Sellerio. E gli diede quell’impronta inconfondibile che permane anche dopo la sua morte”. Impronta che è tutt’altra dopo la scomparsa non solo di Sciascia ma anche di Elvira Sellerio. Altra particolarità quella fatta per un autore tutto sommato minore, Francesco Permunian, compreso con parecchio attrito nel Gotha degli scrittori proposti: “Cronaca di un servo felice è uno di quei rari libri che crescono con gli anni”. Non è stato affatto così.
Con ciò Nigro non si fa certamente velo di scendere, con lo stesso passo solenne e il suo bello stile ornato, da Manzoni a Tullio Pericoli, ma proprio stavolta, a leggere tutte insieme le sue declaratorie di buona sostanza, sembra volersi muovere non secondo un canone che si valga del merito ma seguendo un criterio di opportunità suggerito dalle proprie relazioni personali. Così fan tutti, del resto: per modo che Nigro si è addetto a sciorinare le redingotes offrendo una selezione qualificata delle sue esposizioni, senza tuttavia commettere mai l’errore di posare ex cathedra. E così tutti non fan.
Potrebbe atteggiarsi invero a greve erudito, colmo di dottrine bibliografiche, esibendosi in oratorie e note a piè pagina, tale da darci trattati letterari intrisi del più scolastico rigore, così aggiungendosi per ultimo al canone nazionale dei semiologi strutturalisti, da Segre a Isella, da Corti ad Avalle, invece Nigro ha scelto – proprio come Eco e pochi altri tra i viventi: Citati, Belpoliti, Magris… – la filologia multidisciplinare che non teme di accostare il fumetto al romanzo o cercare nel cinema e nell’arte, persino nella copertina e nel peritesto di un libro, valsenti letterari e suggestioni di una stessa natura.
Chi se non Nigro dopotutto avrebbe mai potuto occuparsi così a fondo di un autore come Manzoni e nella stessa maniera di uno scrittore con più di venticinque lettori ma con molti meno carati qual è Andrea Camilleri? Sembra anzi che il critico catanese ami nella letteratura non la gioia della scrittura o la sua forza di creare mondi immaginari, quanto principalmente la capacità di trovare le verità custodite in segreto cui Nigro guarda impegnandosi – non senza divertimento – come per scoprire lo sfaglio o magari appunto l’entelechia. Saggi epistemologici sono allora i suoi, l’accertamento della verità interessando più alla storia che alla letteratura: di spirito sciasciano e per questa via manzoniano, Sciascia e Manzoni fungendo in lui da guide sincrone e sempre presenti.
Altre volte è la sregolatezza che attira Nigro di un’opera o di un autore, ovvero la beffa, la discordanza, la dissimulazione, l’impostura, la maschera: tutti elementi che figurano puntuali ed eloquenti nei titoli degli articoli qui raccolti nell’idea di un catalogo multanime del genio letterario che comprende le stagioni più distanti e diverse, dal Medioevo di Brunelleschi e Masuccio a Pasolini e Ignazio Buttitta: senza alcun timore per la farragine e il compilatorio, anzi cercando proprio nel contrasto e nell’eterogeneo l’orizzonte di senso, il pendant e il collante.
E allora appare chiaro che la “spia tra le righe” è lo stesso Nigro, ancorché la locuzione sia riferita ad Antonio Pérez, il famigerato segretario di Stato che tradì il re di Spagna e si rese spia “tra le righe” perché autore di “Relazioni” ignominiose e scandalose che suonarono a disdoro dell’intera categoria dei segretari custodi di segreti. A spiare tra le righe è anche il Nigro in cerca di chiavi segrete di lettura di testi perlopiù classici e minori, che dovrebbero apparire aridi e noiosi e che invece rilucono di un impresagito interesse anche letterario quanto più – paradossalmente, sciascianamente – riguardino le microstorie, gli ambiti più inesplorati e i personaggi meno frequentati. “Una spia tra le righe” è l’articolo eponimo della crestomazia nigriana e il metro col quale misurare la tenuta e il tenore di tutti gli altri: il solo che non costituisca una prefazione o un’introduzione ma faccia stato a sé. Esso dà alla raccolta di saggi un senso diegetico che innesca uno svolgimento, come uno sviluppo narrativo, giacché ogni “episodio”, benché autonomo e compiuto, fa da vestibolo al successivo, componendo un racconto a brani scuciti sulla condizione del segretario nella storia e sul genere epistolare che dalla novella arriva alla lettera e tocca l’iperbole del telegramma – proseguendo oggi verso i social e l’email. Un fil rouge costante tenuto da Nigro è di fatto l’andamento cronologico degli episodi, quasi tutti ancorati a un dato storico ed effettuale, grazie al quale egli segue l’evoluzione nel tempo come di un progetto sul farsi del romanzo in vista di una definizione di esso entro uno schema di unicità e omogeneità. Qualche esempio.
Rintraccia i fili che portano ad attrarsi e completarsi due testi alquanto diversi quali Vita di Filippo Brunelleschi e Novella del grasso legnaiolo; accosta Il giorno della civetta a Questa mafia di Renato Candida; con un numero di intelligenza trova nel Sarto della Stradalunga di Bonaviri crediti dei Promessi sposi quanto a un sarto che parla allo stesso modo di quello mineota; scova in un racconto di Camilleri una grotta già vista in un altro di Soldati; sgama Manzoni correggendolo, con gli stessi suoi documenti secenteschi in mano, circa il matrimonio di Renzo e Lucia, non “clandestino” ma per legge “a sorpresa”; scorge i capponi di Renzo in una tela di Pieter Bruegel e in un’altra di Enea Salmeggia, l’una e l’altra con villanotti, uova e polli; spoglia Lodovico dei Promessi sposi della sua armatura di cavaliere e ne fa un difensore dei poveri in forza di un pentimento che non è dono della Provvidenza o frutto della coscienza, ma risultato storico del processo di dismissione della figura del cavaliere e dell’onoristica del duello, visto come omicidio; vede nei titoli d’onore medievali abbinati ai modelli di scrittura epistolare una prima forma di studio del testo che può ricordare le future teorie strutturalistiche.
Nigro è questo: un funambolo del circo filologico che dialoga con ogni epoca e cerca la materia oscura che le lega tutte. La strada è quella segnata da Manzoni e poi da Sciascia. Lui ha migliorato la loro e ne ha realizzato il prolungamento fino a noi. Cambiando la natura con la letteratura, di Nigro si potrebbe dire con Baudelaire: “La Natura è un tempio in cui dei pilastri viventi lasciano talvolta uscire confuse parole; l'uomo vi passa attraverso foreste di simboli che l'osservano con sguardi familiari”. Sono proprio i simboli che egli cerca, ma anche i nodi. E se non ha saputo resistere, come ogni accademico, alla tentazione di esibire una sua summa che ne ha rivelato suo malgrado un fondo da laudator, ci ha dato prova di quanto la letteratura sia storicamente circolare e come alla fine tout se tient.