Adolescenti sorvegliati speciali
Elvio Fachinelli descriveva l’adolescenza come tormento, inquietudine, tempo attraversato da un desiderio dissidente. L’adolescenza porta sulla scena spinte e comportamenti messi in atto dai giovani e le perplessità, e paure, degli adulti di riferimento. L’adolescente è preso dal riappropriarsi di momenti cruciali dell’infanzia, nonostante abbia fame di mutazioni repentine. Winnicott considerava la bonaccia dell’adolescenza un passaggio da accogliere e tollerare, laddove semmai, il quesito che si poneva, era quello di rivolgersi alla società domandando se fosse sufficientemente sana da poterlo fare. Lo spostamento cui Winnicott ci invita è forse ancora valido, apre alla possibilità di fare spazio al complesso verbo aspettare, che ci viene in soccorso quando, di fronte al tormentoso vento dello sviluppo, si vorrebbe intervenire e trovare una soluzione. In una società il campo dell’attesa appare insufficiente, oltre che difficile. E non è il solo: accettare, ascoltare e fidarsi degli adolescenti, immersi in un’età paradossale in cui dipendenza e indipendenza si intrecciano.
Su questo sfondo, vi sono diversi colori, si tratta di pensare adolescenze al plurale, nel tentativo di restituire complessità a un mondo che rischia di essere banalizzato e considerato un semplice attraversamento del tempo e dello spazio. Pluralizzare la paradossalità degli adolescenti è un modo per evitare la semplicistica logica di causa-effetto che ci farebbe incappare nel determinismo, da cui siamo tentati tutte le volte che abbiamo a che fare con il comportamento umano in generale. Paradosso, dunque andare contro il pensare comune, suscitando sorpresa per qualcosa di strano e inaspettato. Nel linguaggio filosofico si designavano così quelle tesi in contrasto con l’esperienza comune, ricordiamo il paradosso classico di Zenone di Elea del V secolo a. C. che argomenta per assurdo l’esistenza del movimento e della molteplicità. È questa immagine che la lettura dell’ultimo libro di Massimo Ammaniti I paradossi degli adolescenti potrebbe suscitare al lettore: a partire dal paradosso di Achille e della tartaruga è possibile pensare a un parallelismo metaforico con le sfide e le impossibilità degli adolescenti: il “piè veloce” non riesce a raggiungere la tartaruga se non coprendo metà della distanza, poi metà della metà e così via all’infinito; allo stesso modo, per i giovani il raggiungimento di un obiettivo che riguarda l’età adulta apparirebbe sempre più sfidante. Il tempo che passa, nei discorsi dei ragazzi, sorge da una sensazione di reale progresso all’infinito sempre incompleto, come se la frustrazione che ne sorge fosse indice di un movimento immobile, incompiuto e insoddisfacente. Il movimento dell’adolescente che, nell’andare avanti, fa un passo indietro: cosa s’intende? È possibile pensare che la compresenza di aspetti come spinta e stallo, mira e confusione, dipendenza e indipendenza, sia solo apparentemente in contraddizione?
Spesso l’adolescente è ciò che porta scompiglio, difficoltà, dissenso e, allo stesso tempo, ritiro, chiusura, difesa: manifestazioni antinomiche che non rappresentano la differenza, ma due facce della stessa medaglia.
L’autore ci mette in agguato rispetto alla considerazione che ricevono i giovani: sono presagiti dagli adulti come paradossali nel loro status e nel loro spazio vitale – “né carne né pesce” – e nella loro temporalità – “né grandi né piccoli” –, con l’effetto di una zona d’ombra, un mistero che separa e allo stesso tempo stringe la relazione tra l’adulto e il giovane. Quell’incognita, quella x rappresentata dal giovane, attira manie di soluzione e risoluzione oltre che di spinta allo svelamento dell’enigma, alla ricerca di una sorta di verità da scoprire. Gli adolescenti diventano dei “sorvegliati speciali”, costantemente osservati, scrutati e controllati come estranei imprevedibili con cui si è costretti a vivere.
Con queste premesse è possibile richiamare all’attenzione alcuni dei riferimenti particolarmente densi, di cui è fatto il libro, e che esso sollecita, come la tesi secondo cui l’adolescenza sarebbe un periodo della vita carico di continuità-discontinuità rispetto al passato: “convinti di essere grandi e indipendenti e dopo aver passato la giornata con gli amici, rincasando più tardi dell’orario concordato, possono tornare a casa e sdraiarsi accanto alla madre posando la testa sulle sue gambe come quando erano piccoli” dichiara l’autore.
Accade spesso che i genitori lamentino uno scombussolamento nella e dell’emotività dei figli, percepita come eccessiva, descrivendo reazioni estreme, che fungono da duplice indice: da un lato del cammino verso l’indipendenza e dall’altro di una regressione. È possibile chiedersi se tali siano i paradossi adolescenziali che calamitano anche gli adulti di riferimento? Dal distacco totale alla dipendenza emotiva, l’adulto si sorprende a più livelli: un primo livello riguarda la differenza generazionale, in cui spesso gli adulti incappano sia attraverso l’immedesimazione sia differenziandosene, qualificandosi così come specchio degli eccessi emotivi del ragazzo; un secondo livello riguarda il paragone tra adolescenti, tra uomo/donna, maggiore/minore, tra un allievo e un altro e via di seguito, con l’idea che un paragone tra pari funga da sprone, da buon esempio o da sana competizione tra pari, verificando immancabilmente un quid che porta a una negativizzazione delle differenze tra ragazzi.
Un ulteriore aspetto che appare paradossale riguarda il concetto di libertà: oggi sono molto più liberi che in passato, escono e si muovono, viaggiano, non hanno timore dell’autorità genitoriale, vivono liberamente la sessualità, ciononostante vi è tra i giovani un malessere indefinibile. Tra le ragioni più disparate, che nel libro vengono affrontate, vi è la difficoltà nel prendere decisioni e scegliere. La società odierna è in preda alla confusione tra libertà e libero arbitrio che, come sostiene Massimo Recalcati, porterebbe all’illusione che il soggetto sia una sorta di genitore di sé stesso. Verrebbe da chiedersi se questa libertà sia solo apparente, se per libertà intendiamo il saper fare i conti con il limite più che con il senza limite. Poniamo che a questa immagine s’intrecci l’ideale di una totale indipendenza, quando l’adolescente vorrebbe crescere senza la presenza dell’adulto, ma allo stesso tempo si blocca e ritira la sua spinta vitale. Accade, il più delle volte a partire dal timore dell’imprevedibilità del futuro, ed ecco che anche l’adulto di riferimento si troverà all’interno di un funzionamento relazionale inevitabilmente simmetrico, speculare, mostrandosi in preda a movimenti contraddittori: “desidero che tu possa trovare la tua strada senza condizionamenti, ma guarda che il liceo è meglio di un istituto tecnico”. La difficoltà e dunque la contraddittorietà degli adulti dà voce alla difficoltà di separazione dall’immagine e dal ruolo di genitore costruitosi fino a quel momento: “tutti gli adulti ci sono passati eppure si sorprendono – dirà una paziente durante una seduta –, è paradossale! Ma si può? È come se avvertissero uno strappo”.
Gli adolescenti sorgono da uno strappo spazio-temporale, processo in cui sono coinvolti anche gli adulti? L’abito del genitore del bambino è stretto e non adatto per il genitore dell’adolescente. Il rapporto necessariamente deve trasformarsi, e al centro va posta la fiducia: il vestito è differente e un genitore deve abbandonare la propria onnipotenza, accettare una perdita.
L’adolescenza è rottura, è taglio, è fare i conti con le discordanze e le incrinature che rappresentano la relazione dell’adolescente con il mondo: è insieme capacità e incapacità di creare ponti, chiarezza, schiettezza e criticità, apertura e chiusura, dispotismo e passività.
Dunque, tornando al titolo del libro: adolescente è sinonimo di paradossale, a partire dalla sua dimensione temporale? L’ adolescenza è desiderio che, come sosteneva Jacques Lacan, “è soggettività e al tempo stesso è il contrario, opponendosi alla soggettività come una resistenza, come un paradosso, un nucleo rigettato, ripudiabile”. Sulla scia della psicoanalisi è possibile pensare che l’azione umana sia sempre animata da un doppio movimento: un avanzamento e al tempo stesso un ritorno, un riposizionamento, un tentativo di avanzare ritornando all’origine. È ciò che indica Freud come un tornare indietro per riappropriarsi dell’oggetto perduto, nell’illusione di ritrovare un’unità quando, piuttosto, non vi è alcuna complementarità col proprio oggetto di desiderio originario, il quale è da sempre differenza assoluta. Il desiderio è il nome di questa differenza: l’oggetto perduto appare come l’oggetto desiderato, oggetto che non è mai esistito se non attraverso la differenza stessa che lo fa esistere. Così, potremmo dire che il movimento del desiderio è rappresentativo del movimento dell’adolescente: l’esperienza della differenza genera l’esigenza dell’identità, ritornare alla stessa cosa, allo stesso punto, allo stesso posto, in un’infinita non coincidenza.
Gli adolescenti, dunque, fari luminosi e insieme segnali della perdita, ciascuno con la sua diversità; ciò che li accomuna è la trasformazione, lo strappo tra interno ed esterno, tra fuori e dentro, tra passato e futuro: tale è il presente che rappresentano. Si tratta allora, per gli adulti, di stare in rapporto a questo movimento, richiamando costantemente e a più riprese la figura dell’attesa come viva compagna di viaggio, perché, come conclude Ammaniti, “i genitori degli adolescenti devono cambiare marcia poiché si trovano di fronte a paradossi che devono accettare senza pretendere di risolverli”. Non si tratta di indossare i loro panni, né di esserne complici e amici, bensì ascoltare il loro punto di vista, riconoscerlo nella sua differenza. Dare loro fiducia perché possano averne; fare, della dissidenza, un’apertura.
In copertina, opera di Larry Madrigal.