L'omaggio dello scrittore torinese ad Antonio Tabucchi / Andrea Bajani. Mi riconosci
Tra le mani il nuovo romanzo di Andrea Bajani, Mi riconosci. Si è rinnovato un pensiero, che mi aveva attraversato con Ogni Promessa e prima ancora con Se consideri le colpe.
Un pensiero che è una frase di Roland Barthes: “la parola mi trasporta con questa idea: che farò qualcosa con lei”.
E non è solo perché l’autore in questo romanzo racconta della libertà che i personaggi si prendono rispetto alle intenzioni di chi scrive, ma perché la potenza di questo ‘con’ abita ogni sua pagina: fare qualcosa con le parole, stare al mondo con le parole.
Forse è troppo, e per una recensione soltanto poi, ma mi pare che si possa dire quel che dovrebbe essere ovvio, e che in verità ha smesso di essere tale da un po’, e cioè che Andrea Bajani è uno scrittore e i suoi romanzi sono letteratura. Si moltiplicano i libri, di questi tempi, e sembra sempre più che il bisogno di dire, il bisogno di comunicare un messaggio, renda legittimo il prendere in mano la penna.
Come se la scrittura fosse un dettaglio, il mezzo.
Tra queste righe, invece, ci sono le parole prima di tutto, e anche le voci, che devono essere trattenute, chiudendo gli occhi.
Bajani “disegna una strada di parole”: e il peso del mondo, dalla nostra schiena, lo toglie. Almeno per un po’.
Mi riconosci è abitato dai fantasmi. Quelli di due scrittori, moltiplicati: come personaggi e nei loro personaggi. Tutti gli eteronomi cui ci ha abituato Pessoa. Lisbona fa da sfondo. La Lisbona di Tabucchi, la Lisbona da cui guardava con sofferenze il suo paese, quello che è sotto i nostri occhi e che guardiamo con la stessa sofferenza e forse solo meno capacità di dirla.
Ma anche Parigi, Vecchiano, le notti senza indirizzo che corrono su un filo del telefono. Delle spiagge, delle vie strette, delle mansarde. La Russia di Pietro e Mario e Olmo. E un ospedale, anche.
È un omaggio a Tabucchi, a un’amicizia, a un rapporto tra allievo e maestro; ma prima e più di tutto, Mi riconosci è un omaggio alla letteratura, attraverso la memoria di un grande scrittore e la libertà di tradirla, quella memoria, così che tra le righe possa accadere una verità più alta.
Dire della verità dello scrittore? Della verità di Andrea Bajani o di Antonio Tabucchi? No.
Dire della verità: e cioè della paura che tutti abbiamo, e di che cosa sia quel bisogno antico e mai pago di raccontarci delle storie.
Dire la ricerca di un padre che ci salvi, un padre che possa essere un maestro, un compito, padre che sia una vocazione o la letteratura stessa, che ci racconti la morte senza che i nostri occhi siano costretti a vederla, che ci accompagni in quella libertà che è scelta e che è separazione, senza che sia a noi tutto il peso di una cassa da morto troppo grande.
Un padre maestro, che costeggi il pericolo, che parli di quel vuoto, di quell’aria piena. Immagini belle: come se questo fosse quello che chiediamo alla letteratura, e alla vita.
Se incontrassi l’autore gli chiederei conto della voce di questi fantasmi, quelli che arrivano perché ci sono sul tavolo le briciole e i resti della colazione.
Quelli che sono lasciati liberi, liberi così tanto da tradire, da fare dei ricordi di momenti mai accaduti gli attimi più veri e rivelatori.
Corpo voce e scrittura voce. L’incontro tra i due scrittori è legato a questo dare un volto, dare corpo, a una voce, a una parola scritta. E poi vi sono le telefonate, che trattengono una voce, una voce che non risponde più di un corpo ormai abitato dalla consunzione; voce straniera.
Alla Libreria del Mondo Offeso di Milano, dove ha presentato il suo libro, Andrea Bajani ha ricordato l’ultimo racconto che Tabucchi ha lasciato, scostando la maschera dell’ossigeno e dettando al figlio una storia.
La storia di un congedo, storia che consegnava a uno specchio il compito di dire ancora.
Scrivere, ha detto Bajani, con l’ultima maschera. Che sia quella dell’ossigeno poco importa.
Scrivere come unica possibilità di vivere: anche in punto di morte, di fronte al reale più prossimo, al vuoto di senso.
“Non sparire”. A un certo punto il personaggio Tabucchi pronuncia queste parole, le stesse identiche parole consegnate, tra le mani chiuse, da Olmo a Pietro in Ogni promessa: “Non sparire”.
L’omaggio alla letteratura credo sia in questo filo che è domanda, appello, amore, bisogno di parole: “la letteratura che diventava il polmone di acciaio estremo di quel tuo ultimo periodo di battaglia”.
Non sparire.
Perché servono le parole, per affrontare il buio.
Parole da mettere in mezzo, parole con cui sopravvivere, parole con cui congedarsi: “Richiesta di soccorso ma anche svezzamento”.