Betulle d'inverno
Per i contadini russi la betulla è albero dai molti usi, prodigioso e medicamentoso: le frasche buone per farne ramazze e avviare il fuoco; il legno compatto, leggero, battericida adatto per contenitori e oggetti domestici; l’elastica corteccia un tempo intrecciata per rustiche calzature (lapti), o lavorata per tinture e fibre tessili: in primavera – quand’è tenera e dolce – era persino masticata come cibo di sopravvivenza e dentifricio naturale. Ancor oggi la linfa cavata dai rami o dai tronchi incisi è bevanda dissetante e rigeneratrice, dalle proprietà drenanti e depurative. Ma basta una manciata di foglie essiccate per una tisana diuretica.
Sergej A. Esenin cantava il suo amore per la Rus’ «paese di betulle»; esemplare la sua confidenza con alberi e animali, il suo ininterrotto colloquio con le tremule betulle, predilette in abito primaverile:
Verde pettinatura,
petto di fanciulla,
o sottile betulla,
perché stai fissando lo stagno?
Che cosa ti mormora il vento?
E la sabbia che cosa ti canta?
O vuoi per i tuoi rami-chiome
un pettinino di luna?
Rivelami, rivelami il mistero
Dei tuoi pensieri di albero,
mi sono innamorato dl tuo triste
mormorio preautunnale. […]
(A L.N. Kašina)
Piante pioniere e frugali, ma non longeve, le betulle amano l’acqua e i terreni sciolti, senza ristagni. Flessuose, eleganti nel bianco latte delle giovani scorze che si scartano fini, nei rami primari ascendenti, nei ramuli della capigliatura pendula e leggera. Le vogliamo in giardino anche per i lunghi amenti maschili (più brevi quelli femminili) ondeggianti alla brezza di marzo, per il pènero verde delle foglie picciolate, rombo-triangolari con margine seghettato, per il giallo oro della livrea autunnale.
Per carità, non potiamole: le priveremmo della naturale grazia che le distingue.
Ma, in questo inverno senza inverno, le nostre betulle (Betula pendula Roth) sono messe a dura prova dal secco, e ci si trova a invocare pioggia e gelo, neve e galaverna per il giardino assetato e sempre in fiore: straniante rifiorir di fiordalisi, e dianthus.
Al mezzo del gennaio, il nostro rito propiziatorio sta nell’evocare paesaggi di Russie lontane, una slitta veloce nella neve e una «schiera di betulle fuggenti per il cielo» (Sogno, B. Pasternak). Boschi di bianche betulle che molli si piegano al vento del nord, e vi resistono.
Senza dover rileggere i lunghi, avvolgenti romanzi russi davanti al camino spento – ché il termometro non va al rosso – per ricordare com’erano e come dovrebbero essere i mesi del solstizio decembrino, sensazioni e ombre di giorni chiusi, d’impossibili risvegli, ecco i bei versi di Fabio Pusterla:
Betulla impietrita dal gelo, catasta nera
di legna gravata di neve e dentro il cielo
come una strozzatura, vento o ghiaccio. C’è un silenzio
totale, dunque, un ciclo
che nessuna pietà può rompere o descrivere, un inverno
cieco, che non ammette primavera?
Freddo che fende i tronchi, apre le vene
dei campi e li uccide e li guarda morire
e li cancella?
[…]
(Fabio Pusterla, I due avversari in Pietra e sangue, Marcos Y Marcos, 1999)
Solo l’inverno – fattore d’evidenza – delle betulle rivela l’estetica, offre di esse una più sensibile esperienza del bello, quando si ergono nell’aria «come grandi candele» (Esenin).
Spoglie e intirizzite, la linea snella, il segno calligrafico dei tratti scuri sui tronchi più adulti, mostrano la loro vocazione al gelo. Giunga la neve anche qui, almeno nei giorni proverbiali della merla!