Enzo Cucchi, poeta e mago
“Sono Enzo Cucchi e sono un ballerino professionista”. È così che l’artista marchigiano, classe 1949, con una buona dose di sarcasmo, si presenta nel video realizzato per il MAXXI. Quando fu deciso di chiudere i musei per effetto della pandemia, Bartolomeo Pietromarchi invitò diversi artisti a realizzare, appunto, dei piccoli video, per dare una testimonianza di partecipazione a quel difficile momento. Enzo Cucchi fu il primo a rispondere all’appello con un breve filmato, preceduto da pochi secondi di animazione. Ma Enzo Cucchi è anche poeta e mago, come esprime il titolo della personale in corso nella Galleria 4 del MAXXI, curata da Bartolomeo Pietromarchi e Luigia Lonardelli, aperta fino al 24 settembre. Sostantivi, poeta e mago, che tentano di delineare, nella maniera più fedele e veritiera possibile, la poliedrica fisionomia di uno tra i più acclamati protagonisti della Transavanguardia. Varietà che si è voluta esprimere anche nel catalogo stesso della mostra, mediante gli scritti con registri e caratteri diversi, da storici dell’arte a critici letterari.
“Non è una mostra, ma una nuova personale che è un omaggio”, “non è una mostra, ma un ritratto d’artista” (così i curatori), in sintesi, una mostra che in pochi chiamano mostra tout court. Raggruppando le varie definizioni, Enzo Cucchi sembra addirittura l’artista del “non è”: non è una mostra, non è un catalogo, non è solo pittore, non è solo poeta.
Esposizione, quella da poco inaugurata, preceduta dalla “monografica” del 2019, presentata negli spazi della Sala Gian Ferrari. Piuttosto un focus sulla collezione del MAXXI, per il quale l’artista presentò uno specifico progetto, dall’emblematico titolo “la pittura non riconosce i costumi/i bambini non conoscono gender/l’arte odia i pittori”. Frasi poi vergate di suo pugno sulla copertina del letteralmente piccolo (52 pagine, 14x21cm) catalogo/non catalogo (in realtà, un libro d’artista), il primo edito dal museo stesso. Espressioni che sembrano fare il verso, o completare, quanto Maria Lai affermò nella sua personale nello Studio Stefania Miscetti, nel 2005, “a me l’arte non interessa”.
Senz’altro il titolo di questa personale, da subito vuole far cogliere l’indole dell’artista, enunciando le abilità – poeta e mago – che viaggiano insieme e in parallelo a quella di pittore. Perché, per stessa ammissione di Enzo Cucchi, non esiste differenza fra pittura e poesia: la pittura, che esce dall’artista come un’emanazione naturale e divina, non è altro che lo strumento che consente di fermare e sintetizzare quanto espresso dalla poesia, di trasformarla in immagine. Si potrebbe, quindi, aggiungere a poeta e mago, anche inventore di immagini, interprete, traslatore, finanche rappresentatore, che rappresenta, non interpreta, riproduce, con segni ed elementi plastici, aspetti della realtà, dei concetti, delle idee, raffigurando, così, quanto la sua mente immagina e il suo occhio vede.
Principalmente, ad essere sottolineata, è la sua libertà espressiva e anticonvenzionale, che prende forma con un segno, fortemente distintivo, che non lascia spazio a sfumature, chiaroscuri, velature, prospettive, che è connaturale alla dimensione prettamente onirica, aggregando altresì più forme e materiali. Un mondo, oltre ad essere espressione della sua sfera intima, popolato dai miti, dalle leggende, dalla cultura ancestrale e popolare della sua terra nativa, dalla storia della città di Roma (dove vive dal 1984), per dare espressione all’anima delle cose, rendendo un tutt’uno l’ambito personale e l’immaginario collettivo, con nuove simbologie (alla stessa stregua del contemporaneo Vettor Pisani). Attraverso molteplici elementi e tecniche differenti: tela, carta, bronzo, ferro, legno bruciato, marmo, ceramica, olio, carboncino, matita, terracotta, disegno, pittura, collage, scultura, installazione e libri d’artista.
Seppure dichiari con fermezza di “odiare” i surrealisti, di non comprendere Giorgio Morandi, di guardare con ammirazione Kazimir Malevič, di perdersi in Piero Della Francesca, scagliandosi contro chi fa “vetrinismo” (all’epoca Mario Merz), è evidente che i suoi lavori sono la digestione di quanto lo ha preceduto, e la risposta ai grandi quesiti che gli anni Settanta sottoposero all’arte. Benché le sue opere non possano dirsi datate, risentono e riflettono le istanze di quegli anni (per la lettura di alcune è preziosa la conoscenza di certi fatti dell’epoca) e sono una ferma replica a quanto veniva allora proposto dagli altri artisti suoi contemporanei. Soprattutto perché, in lui, sono perfettamente rintracciabili quelle caratteristiche che profondamente contraddistinsero i transavanguardisti, scevri dal peso utopistico della politica, dalla gravità della storia, ispirati dalla natura, dall’eccesso edonista e del privato, senza l’incombenza e la preoccupazione di dover creare qualcosa di nuovo, da Achille Bonito Oliva consacrati con l’articolo pubblicato nella rivista Flash Art, n. 92-93 del 1979, e ufficialmente riconosciuti nella Biennale di Venezia del 1980.
Elementi che trovano conforto dal fatto che non è agevole riconoscere un’evoluzione cronologica delle sue opere. Difatti, nella mostra, sono stati affiancati lavori più recenti con altri meno recenti, evidenziando, in questo modo, una certa omogeneità artistica e pratica, un’atemporalità (che, in fin dei conti, è quella della dimensione onirica), con una fedeltà a sé stesso dall’inizio della sua carriera (dopo un esordio come poeta, con poesie pubblicate dalla piccola casa editrice La Nuova Foglio di Macerata, può essere fissata al 1977), fino ad oggi.
La mostra è così un omaggio a doppio senso. Quello che il MAXXI rende a Enzo Cucchi ma anche quello che Enzo Cucchi rende a sé stesso. Per questo, sono state preponderanti non solo la selezione delle opere poste in mostra ma anche le scelte allestitive ideate e attuate dall’artista stesso. Una selezione resa con l’esposizione di oltre duecento opere. Un allestimento eseguito con prospettive aperte, lunghi tavoli a metà tra il design e l’artigianato. Operazione, questa dell’intera gestione da parte dell’artista di tutta l’economia della mostra, che aprirebbe una sentita riflessione sul ruolo stesso del curatore, ma vorrebbe dire andare parecchio fuori tema. La bulimia delle opere e il caos calmo del display mirano a far perdere il pubblico nell’immaginazione dell’artista, nonché nel suo fermento creativo. Un invito a conoscere le diverse pieghe della ricca personalità di Enzo Cucchi, espresso anche dalla piccola selezione di libri della biblioteca dell’artista, approntata all’inizio del percorso espositivo.
Seguita da un gruppo di sculture, le Sculture interiori, in marmo nero, bianco e rosa, su basi anch’esse ideate dall’artista, i cui soggetti mutano a seconda del punto di vista dal quale si osservano, per il loro scivolare da una forma all’altra, costantemente evocando un memento mori. Sono presenti anche grandi dipinti, come La Città incantata o il Miracolo della Neve, che, come prassi, perdono la loro bidimensionalità per la presenza di appendici, vuoi in ceramica vuoi in metallo, che si espandono nello spazio circostante, superando quello pittorico, incrociando così la pittura con la scultura. Questo espandersi nello spazio, concretamente è attuato anche nell’allestimento di Religione, un vascello in bronzo posto nello spazio esterno del museo e visibile attraverso una vetrata.
Un grande bancone, come una “spina” – anch’essa ideata da Enzo Cucchi – posto al centro della sala, con altezze diverse, accoglie terrecotte, bozzetti, circondati da disegni sospesi dal soffitto, realizzate su reti di metallo elettrosaldate. Nascosta in una sorta di botola scavata nel pavimento, Il Re Magio, un’aquila capovolta della quale inizialmente si vedono spuntare solo le zampe che sorreggono delle sfere di vetro. Di lato alla quale si distribuiscono un centinaio circa di disegni, allestiti come una ricca quadreria (alcuni dei quali di difficile visione, perché disposti a un’elevata altezza) che, nelle intenzioni dell’artista, richiama la “cattedrale”, un peculiare sistema allestitivo ideato da Cucchi stesso. Mentre, dietro a una parete approntata per l’occasione, sono disposti i numerosi progetti editoriali da lui realizzati, con disegni, carte e parole scritte. La conclusione del percorso, si compie con l’epigrafe ideata da Cucchi, La pittura raduna il peso delle cose/Una pittura è una cosa calda/Si vede da lontano che odi la pittura/Mostra e muori, posta sulla grande vetrata della Galleria, su uno sfondo che dal blu sfuma nel rosso, i colori dell’alba o del tramonto? [daniela trincia]
Enzo Cucchi – Il poeta e il mago
Roma, MAXXI
fino al 24 settembre 2023
a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Luigia Lonardelli
La fotografia in copertina è di Marco Deserto.