Imparare a leggere i libri per bambini / L’infanzia è un'occasione filosofica
Qualche tempo fa sul blog della casa editrice Topipittori abbiamo pubblicato un articolo di un’insegnante di scuola primaria che raccontava un esercizio di scrittura libera proposto ai bambini. Invitati a rispondere ad alcune domande inerenti al mondo naturale, uno di loro ha scelto la domanda “Cosa succede agli animali dopo la morte?” a cui ha risposto: “Per me dopo la morte gli animali entrano nella terra e vivono da fantasmi. Il loro lavoro da fantasmi è cucire le radici degli alberi.” Sulla pagina Facebook della medesima casa editrice, qualche tempo fa, una madre ha raccontato che il suo bambino, due anni, dopo alcune letture ad alta voce ha imparato a memoria, da solo, un brano di un albo illustrato: la lunga lista di verdure (molte delle quali dai nomi non comuni o scontati) con le quali un elefante ogni mattina si confeziona un sandwich per la prima colazione. Mentre noi ci dilunghiamo a discutere se è giusto parlare della morte ai bambini o se la pratica dell’imparare a memoria abbia senso, i bambini trovano da soli risposte adeguate alle proprie necessità.
In questi diciotto anni di scrittura e di progettazione di libri miei e altrui, la consapevolezza che ho maggiormente consolidato riguarda l’abilità filosofica, cognitiva e immaginifica dei bambini, e non parlo di quelli che noi adulti chiamiamo ‘bambini dotati’, ma di tutti i bambini, senza esclusioni. Sono centinaia le testimonianze di genitori, insegnanti, psicologi, educatori.
Davanti a questa evidenza, spesso mi chiedo come sia possibile che la produzione libraria per ragazzi mostri di non averlo ancora del tutto compreso, proponendo libri di livello inopinatamente basso (lo spiegò, decenni fa, Bruno Bettelheim a proposito dei libri di testo in uso nelle scuole americane). Mi sono fatta l’idea che questo dipenda in gran parte dal ruolo di mediatori degli adulti, ovvero coloro che fanno, comprano o propongono libri ai bambini, che hanno basse aspettative riguardo a quello che questi possono leggere, che siano parole o figure. Questo dipende a sua volta da due cose: il deficit di attenzione e, spesso, considerazione nei confronti dell’infanzia, e la scarsa, o inesistente, conoscenza della letteratura per ragazzi. Le due cose non vanno disgiunte, si determinano e si influenzano reciprocamente.
Qualche settimana fa un noto e autorevole promotore di libri in tv ha spiegato che i Geronimo Stilton vanno bene fino ai dieci anni, poi bisogna passare alla letteratura, affermazione che ha lasciato parecchi spettatori imbarazzati e irritati, implicando un pensiero del tutto inadeguato riguardo all’infanzia, ai libri, alla lettura, alla letteratura per ragazzi, alle immagini, alle parole e al loro ruolo nella crescita dei bambini. Questa affermazione, tuttavia, ha un merito: mette in luce a che punto continuiamo a essere riguardo a libri e infanzia, la cui relazione nell’opinione corrente sèguita a riassumersi in un’unica parola: intrattenimento (o, all’opposto, apprendimento). Non ho niente contro l’intrattenimento che, fra l’altro, ha avuto e ha esiti di ottimo livello. Ed è noto che opere di intrattenimento sono entrate di diritto nella costruzione dell’immaginario e della nostra cultura. Ma non ci si può nemmeno nascondere che, per la gran parte, i prodotti di intrattenimento rivolti all’infanzia sono spazzatura e nemmeno che la letteratura per l’infanzia annoveri capolavori fra i maggiori, molti dei quali sconosciuti ai più o del tutto incompresi o trascurati.
C’è un episodio mirabile, in proposito, raccontato da Maurice Sendak, fra i massimi autori contemporanei di letteratura per l’infanzia, autore del picturebook forse più celebre di tutti, Where the Wild Things are (Nel paese dei mostri selvaggi, del 1963), in uno dei bellissimi saggi della raccolta da poco uscita Caldecott & Co. Note su libri e immagini, con prefazione di Sergio Ruzzier, a cura di Martino Negri, edito nel 2021 da Spaggiari. In viaggio per visitare lo studio di un incisore del XVIII secolo, Sendak, sceso dal treno, notò che la bellezza della campagna inglese era deturpata da cumuli di scorie minerarie. Lasciatosi sfuggire un commento irritato (se ne lasciò sfuggire molti, nella sua vita, su molte faccende, moltissimi a proposito dei libri per bambini che vedeva pubblicati e sul loro livello mortificante), suscitò il commento di un passante che affermò: «Giovanotto, dove c’è sudiciume, c’è denaro». E Sendak commenta: «La sua osservazione, da allora in avanti, mi è rimasta impressa. È una metafora infelice, ma quasi perfetta, dello stato delle arti… dello stato del mondo.» Questo episodio si trova riportato nel discorso di accettazione del Laura Ingalls Wilder Award, nel 1983, riportato nella seconda parte del volume che raccoglie per lo più i discorsi pronunciati da Sendak in occasione di premi. In essi l’autore ha spiegato molto di sé e della propria storia, del proprio lavoro e dei fondamenti a cui lo ispirò: il rispetto dei suoi lettori, i bambini; un’attenzione appassionata, divertita e serissima nei loro confronti; una concezione del libro illustrato – nella cultura anglosassone picturebook –, come alta, autonoma e compiuta forma d’arte, fra le maggiori espressioni narrative umane.
Uno degli aspetti più interessanti del volume, risiede nella capacità di Sendak di mostrare al lettore come un autentico interesse verso la letteratura per ragazzi non possa essere svincolato da una curiosità inesauribile verso l’età infantile, osservata con buona disposizione nella sua autenticità, senza narcisismi, infingimenti o idealizzazioni (perniciose quanto l’indifferenza).
Vi sono pagine splendide a proposito delle verità nascoste che i bambini, appassionati indagatori di segreti, divieti e censure, avrebbero diritto a sentirsi narrare nei libri loro dedicati, perché ciò che alla fine scrittori e illustratori dovrebbero assicurare loro è un racconto onesto e ben fatto riguardo a ciò che il mondo si premurerà con ostinazione di nascondere loro. Vi sono pagine magnifiche sulle paure infantili, sul ruolo dell’immaginazione nella loro elaborazione, sui mostri che covano fra i pensieri dei piccoli e sulle storie che catarticamente li addomesticano per farne indispensabili compagni di strada.
Ho sempre pensato che Sendak sia l’illustratore che meglio ha saputo disegnare i bambini, e nel breve saggio intitolato Really Rosie, poi diventata protagonista di diversi libri di Sendak, ho compreso quale sia la ragione di questa bravura. Ventenne, disoccupato, senza soldi e idee per il futuro, Sendak un’estate inaugurò un quaderno di schizzi: Ragazzi di Brooklyn, agosto 1948. Lo riempì trascorrendo lunghe ore alla finestra di casa dei suoi genitori, a disegnare i bambini che vedeva oziare, litigare e giocare in strada. Fra loro primeggiava Rosie più che una bambina, un’arcibambina: scatenata avventuriera, giocatrice ribalda dall’immaginazione inesauribile che capitanava un’intera squadra di ragazzi. Fu lì, a quella scuola di infanzia e di disegno dal vero, che Sendak imparò a disegnare e a comprendere i bambini, le loro menti e i loro corpi, le loro passioni, i gesti, i terrori, le gioie stratosferiche, le miserie. Scrive di Rosie: «Mi colpì per la sua capacità di immaginare di essere chiunque volesse, ovunque volesse, in questo mondo o in mondi immaginari. […] Adoravo Rosie. Sapeva come far trascorrere la giornata.» E in questo ‘saper come far trascorrere la giornata’ c’è tutta l’arte di vivere infantile che solo un osservatore acuto può nominare con tanta precisione e senza enfasi.
La prima parte dei saggi contenuti in Caldecott & Co., è dedicata a grandi autori e illustratori come Randolph Caldecott, George MacDonald, Beatrix Potter, Margot Zemach, Harriet Pincus, Margaret Wise Brown, Edward Ardizzone, Lothar Meggendorfer, Maxfield Parrish, Jean de Brunhoff, Tomi Ungerer, Winsor McKay, Maurice Boutet de Monvel, Hans Christian Andersen e altri, molti fra i quali completamente sconosciuti al pubblico italiano (un’ottima occasione per scoprirli).
In questi scritti Sendak compone un arazzo di osservazioni e riflessioni sulla letteratura per ragazzi di un’ampiezza e di una profondità che non siamo abituati a vedere elargite sul tema, e che descrivono con accuratezza da una parte l’importanza dei libri per ragazzi e dall’altra le qualità necessarie per praticarli, la grandezza dei loro interpreti migliori, la genialità delle loro creazioni. E non solo: offre una impareggiabile lezione sul modo in cui sarebbe necessario parlare di infanzia e di letteratura per ragazzi, dismettendo facilonerie, stereotipi, banalizzazioni, sentimentalismi, schematismi.
Leggendo queste pagine, insomma, nessuno potrà più dubitare che Peter Coniglio, Little Nemo, Babar e le prodigiose, enigmatiche rime di Mamma Oca, debbano stare accanto alla Cappella Sistina o al Flauto magico (per cui Sendak, appassionato musicofilo, disegnò le scene).
Un secondo saggio di cui non dovrebbe mancare la lettura chi si occupa di questi temi, ma soprattutto chi non se ne occupa e voglia acquisire strumenti adeguati ad avvicinarli, è Di cosa parlano i libri per bambini. La letteratura per l’infanzia come critica radicale di Giorgia Grilli, edito nel 2021 da Donzelli. Chi conosce questa studiosa sa che da diversi anni dedica la sua ricerca sulla letteratura per l’infanzia, a quello che definisce un canone spontaneamente costituitosi nell’immaginario collettivo che, dall’Età Vittoriana, con il rivoluzionario Alice in Wonderland arriva fino ai giorni nostri, attraverso indiscussi capolavori come Pinocchio, Tom Sawyer, Peter Pan, Mary Poppins, Winnie The Pooh, Il libro della giungla, Goodnight Moon, Il paese dei mostri selvaggi (per tornare a Sendak), e autori come Salgari, David Almond, Roal Dahl, Mino Milani, Anthony Browne, Michael Rosen, per citarne solo alcuni.
Un filone letterario la cui nascita coincide con la scoperta dell’infanzia la quale, spiega Grilli, fu una delle conseguenze dalla pubblicazione delle rivoluzionarie teorie di Darwin sull’evoluzione, confluite in L’Origine delle specie, ma anche in altri saggi, per esempio quelli nati dalle lunghe e meticolose osservazioni dello scienziato sui bambini, in particolare i suoi figli, che studiò con l’attenzione di un entomologo, come L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, del 1872 e A biographical sketch of an infant, del 1877. Fu attraverso gli studi di Darwin che l’identità dell’uomo e in particolare dei bambini apparve fortemente contaminata e intrecciata con il mondo naturale e animale, in una prospettiva del tutto nuova. Da questo inedito orizzonte sorsero nuove narrazioni che in particolare trovarono il proprio terreno elettivo in quell’ambito misterioso e poco battuto dal mondo adulto che è, appunto, la letteratura per ragazzi. Nascono qui quelle figure ibride tipiche dei libri per ragazzi fortemente compromesse con la selvatichezza, l’alterità della natura, il mistero rimosso delle origini ancestrali umane: figure che, come scrive Grilli non possono evitare di mescolare il poetico con il biologico: con ciò che è propriamente fisico, corporeo, carnale, peloso, viscido, alato, anfibio, ibrido. E come tale anche potenzialmente aberrante, più che semplicemente idilliaco.”
A partire da questo esplosivo presupposto, la ricerca di Grilli mostra come la grande letteratura per l’infanzia rappresenti, e abbia rappresentato in momenti diversi, la critica più radicale e appassionata alla società degli adulti, alla loro organizzazione istituzionale, culturale, ai sistemi valoriali ed economici che la plasmano, alla povertà educativa e morale che la caratterizza.
Attraverso un itinerario fatto di romanzi, racconti, poesie, film, il lettore è accompagnato a conoscere il lavoro e le vite, spesso ribelli ed eccentriche, di autori straordinari in cui l’attività letteraria rivolta all’infanzia non ha mai mancato di accompagnarsi a una intensa vicinanza a bambini e ragazzi in carne e ossa, osservati con attenzione e rispetto, curiosità, alla ricerca di quella profonda ispirazione, di quelle testimonianze ed esperienze di alterità senza le quali non si può dare racconto autentico dell’età infantile.
In cerca di queste testimonianze il saggio batte anche territori difficili e scabrosi, e ambiti non del tutto indagati, come quello cinematografico, prendendo di petto quei tabù, quelle censure e ipocrisie che con regolarità costellano la relazione adulto/bambino, quando questa sia strutturata da schemi e ruoli rigidamente prefissati, nei quali la trasmissione culturale avviene a senso unico. Quando cioè la società adulta non contempli non solo il riconoscimento dell’alterità dell’infanzia, ma soprattutto la sua vicinanza come occasione unica di conoscenza per avvicinare la materia più sensibile, delicata e vitale dell’umano, la sua manifestazione più diretta, profonda e autentica.
Così, accanto alla portata rivoluzionaria delle esperienze e del pensiero infantili, ecco, fra le pagine del saggio e fra quelle di tanta letteratura per l’infanzia, in una dinamica di fedele rispecchiamento, salire alla ribalta la ritrosia degli adulti – familiari, insegnanti, educatori – la loro paura ad affrontare le domande, inesauribili e puntualissime, dei bambini, il loro sguardo indagatore, la loro spontanea disposizione alla verità e la loro indifferenza agli stereotipi.
I bambini, suggerisce, questa letteratura, sono esseri umani nuovi di zecca e al tempo stesso antichissimi: radicalmente diverso da quello degli adulti è il loro concetto di tempo e il modo che hanno di percepirlo; il loro sentimento di appartenenza al tutto, più che al gruppo; il loro rapporto con la natura; la loro vicinanza con il mistero della nascita e quindi con quello della morte; la loro capacità di presenza, la loro familiarità con la dimensione dell’essere e, per contrasto, del non essere, così estranea e minacciosa per l’adulto; la loro prossimità con l’incandescente vita delle emozioni e del pensiero,
“La letteratura per l’infanzia”, scrive Grilli a questo proposito, “ci impone di fermarci, di valutare i limiti di questo evolvere inesorabilmente verso la contemporaneità e l’adultità, ci porta a un’altra dimensione percettiva, prospettica, sensoriale, semi-mentale e utilizza l’occasione offerta dall'infanzia, per farlo. L’infanzia, all’interno dei migliori libri per bambini, è un’occasione filosofica, garantisce lo sguardo «altro» che ci serve per non farci trascinare acriticamente dalla corrente della storia, con tutte le sue ideologie. L’infanzia rende possibile quello che anche la letteratura consente: ci ricorda qualcosa di noi di essenziale, qualcosa che nella vita quotidiana viene trascurato completamente”.
Due titoli da non perdere, insomma, per i lettori italiani; ideali per comprendere quanto poco si sa su infanzia e libri per bambini e per intraprendere proficue e magnifiche esplorazioni in questo campo, rigettando senza indugio la tentazione di farsi bastare le smunte conoscenze in proposito, le trascuratezze e le improvvisazioni che più che parlare di letteratura per ragazzi, illustrano la povertà delle idee che abbiamo su di essa.