L'altro Matteo

17 Luglio 2015

Matteo Salvini #ilMilitante (goWare 2015), di Alessandro Franzi e Alessandro Madron ricostruisce meticolosamente la cronistoria dell’altro Matteo, dagli anni della militanza all’epoca della svolta “patriottica” e dell’occupazione incontrastata dell’area di centrodestra. Il risultato di tale analisi è “un umile lavoro di cronisti di strada, non di politologi” (p. 12) che non intende meramente elencare le provocazioni continue del leader, semmai spiegare il modo in cui “Salvini è diventato Salvini” (ib.). La storia narrata dagli autori interseca continuamente il piano biografico con la parabola evolutiva della Lega e con le macro-vicende che hanno mutato il panorama politico nazionale. Il ritratto che ne viene fuori è quello di un giovane ambizioso che, seppur rimanendo a lungo “schiscio” e operando nel solco della tradizione, ha saputo scalare il partito, modificandone natura e finalità, al pari del suo omonimo antagonista. Anche questo Matteo ha cambiato spesso direzione e punto di vista. Ha anche rottamato, forse meno platealmente, la vecchia dirigenza. Anche egli ha fatto professione di machiavellismo, forse più per la sua causa che per interesse personale.


Una delle prime immagini presentate per introdurre a questa storia è quella molto recente del Segretario che si presta a fare da testimonial per l'AVIS, nel periodo Natalizio quando si registra solitamente un calo delle donazioni (p. 15). Immagine riproposta in varie occasioni, anche recentemente, in Tv e molto criticata nei social media, che esprime secondo i due autori non solo il pragmatismo di una politica che pone fatti contro le parole, ma anche una tecnica peculiare dell'animale politico, che è così riassumibile: "prendere un problema quotidiano, ficcarcisi nel mezzo e farne un oggetto di mobilitazione" (p. 16). Gli esordi nella Lega sono quelli di un "ragazzo di sinistra folgorato dal progetto dell'autonomia territoriale" (p. 21). Tale etichetta fu il frutto di alcuni titoli di giornale che il giovane Salvini ottenne grazie una vera o presunta frequentazione del centro sociale milanese Leoncavallo. Gli stessi autori riportano una dichiarazione di Daniele Farina, allora militante del Leonka e successivamente deputato di SEL, che nega ogni possibile collegamento tra le iniziative del centro e l'eventuale presenza di Salvini che forse, a detta degli stessi autori, si era trovato da quelle parti per bere una "birra o ad ascoltare musica" (p. 24).

 

Salvini riesce a farsi strada nella lega di Bossi grazie all'etichetta dei Comunisti Padani, che bilanciava gli estremismi di altri iscritti e aiutava a sostanziare l'idea di un partito post-ideologico. A ben vedere il programma di quella lista presenta già in nuce alcuni elementi chiave della svolta più recente di Salvini come leader della nuova Lega (p. 27). Uno dei primi oggetti iconici a cui egli associa la propria immagine è quello del megafono: segno di un movimentiamo dal basso, in difesa dell'identità milanese (più che padana) che passa per la figura della "nonna che parla il dialetto" (p. 29). Il megafono era parte di un look altrettanto da strada, composto dalla tuta verde militare, le spillette che rappresentano i paesi del nord e l'orecchino. Egli incarnava la figura "dell'eterno oppositore" (p. 28), sin dal suo ingresso al Comune di Milano, che ottenne in seguito alla morte del capogruppo Ronchi. Il suo posto all'opposizione non solo non lo scoraggiava, ma ne esaltava il profilo identitario e la capacità d'individuare contenuti/iniziative convincenti. Dalle critiche all'immobilismo di Albertini nei confronti del problema immigrazione a quelle ancor più aspre contro Pisapia contro l'iniziativa delle domeniche a piedi. Sin da allora era anche ben definito il tratto anti-islamico, da quando, sempre minuto di megafono, distribuì 600 copie de La rabbia e l'orgoglio (2001) della Fallaci. Come anche gran parte dei membri del suo partito, per cui è stata riadattata l'espressione "di lotta e di governo", anche Salvini ha sempre giocato su un doppio binario e dunque con un doppio registro (come ha recentemente ricordato lo stesso Albertini, dopo il suo ingesso nell'NCD).

 

Matteo Salvini


Nella fatidica circostanza dell'ictus che colpì Bossi l'11 marzo 2004, mentre i colonnelli leghisti erano tutti a Roma, spettò a Salvini in quanto direttore di Radio Padania gestire il clima di ansia e d'apprensione che circondava i militanti della Lega. Fu proprio durante la degenza di Bossi che si creò un lungo periodo di "vacanza" che servì a Salvini per spiccare "il salto" (p. 43) verso il Parlamento europeo e oltre…


La contro-narrazione leghista e dunque salviniana, già dai tempi di Radio Padania insisteva sui temi dell'antimondialismo e dell'antipatriottismo, spingendosi sino a punte inusitate di decostruzione di valori universali come nel caso della campagna contro la nazionale italiana di calcio nel corso degli Europei del 2000 e dei mondiali del 2006. Anche nei confronti del Presidente Ciampi, perlomeno in due occasioni, l'aspirante leader ebbe modo di dimostrare il suo dissenso. L'atteggiamento oltranzista e sprezzante che mira a stressare i limiti della dialettica democratica in favore di un pensiero più vicino al punto di vista dell'uomo comune, è una cifra distintiva dello stile comunicativo salviniano sin dai suoi esordi. Interessante la relazione tacita tra i primi bagliori della crisi della Lega, avvisaglia del disastro a cui il partito sarebbe andato incontro negli anni a seguire. Gli autori parlano dell'episodio del 2004 come di una "parentopoli leghista", citando l'articolo di Stella dell'11 novembre (uscito sul "Corriere della Sera", NdR). In quell'occasione difatti Salvini fu criticato per aver scelto come portaborse il fratello di Bossi, mentre il figlio del Senatur passò come assistente di Speroni. Lo scandalo fu intenso ma di breve durata, dato che i leader del partito decisero di fare pulizia facendo "fuori" i parenti.


L'episodio non placò, anzi incrementò il fervore antipolitico del futuro leader, tanto che nel 2009 Salvini lanciò la campagna per i vagoni della metropolitana riservati ai cittadini milanesi, che in un sol colpo rievocava i fantasmi dell'America anni cinquanta e dell'Apartheid, però ribaltandone retoricamente il senso: ormai i milanesi si trovavano ad essere discriminati e rinchiusi in una sorta di riserva indiana dei diritti.


Il "terremoto" del 2012 fece a pezzi non solo la dirigenza leghista e la base elettorale che punì inesorabilmente i colpevoli di tale scempio, ma anche la stessa identità leghista che ne usci frantumata e irriconoscibile. Salvini riuscì a ottenere l'incarico di segretario della Lega proprio perché, in un momento particolarmente delicato, fu in grado di veicolare un'immagine di discontinuità senza però tradire i valori e i legami dei/con i padri fondatori. La sua telefonata a Maroni fu parte di una strategia di comunicazione vocata all'unità interna e al contrattacco esterno. Lo sfacelo leghista fu anche la precondizione al mutamento antropologico e politico del nuovo leader.


Il nuovo Salvini nato dalle ceneri dell'implosione della vecchia Lega, mantiene i tratti rudi di provocazione e di ascolto della pancia del paese, ma mitiga la vocazione centripeta e provinciale della vecchia lega. La geopolitica, un tempo presente solo come solidarietà nei confronti degli indipendentismi europei, ora diventa strategia estesa di alleanze con blocchi di contropotere già consolidati nell'Europa stremata dall'Euro ma anche ai suoi confini, all'insegna di un nuovo nazionalismo.


Se i primi capitoli insistono più sulla dimensione storica, nel resto del libro si sviluppa meglio l'analisi del leader inteso come dispositivo di comunicazione: la sua immagine, il suo linguaggio, l'occupazione della TV e l'uso dei social media. Sotto molti aspetti l'immagine del Salvini post-crisi è speculare e contraria a quella dell'altro celebre Matteo. Anche egli gioca tutto o quasi sulla comunicazione, mentre un team di Spin doctor lo segue in tutte le uscite mediatiche alimentando e incanalando la sua vis polemica e il suo essere "politicamente scorretto" che, a detta di vari esperti, respinge alcune fette di pubblico potenziale ma aumenta esponenzialmente la sua visibilità. Ne sono esempi l'uso smodato della felpa come superficie significante che segnala una continuità con la vecchia tuta del primo Salvini, giovane e militante, ma che ora diventa strumento per una comunicazione modulare, capace di cambiare messaggio a seconda del luogo e dell'interlocutore. Essa si contrappone ideostilisticamente alle maniche rimboccate di Renzi e, a detta di Marco Belpoliti, è segno di un'ipertrofia comunicativa del leader leghista che serve a compensare la sua vacuità contenutistica e progettuale. Quasi in una gara spietata sul campo di battaglia della comunicazione, egli stesso ammette di "lavorare 24 ore al giorno come alter ego dell'altro Matteo". Dal mio punto di vista, Salvini più che alter ego di Renzi è il suo Doppelgänger: nato politicamente ben prima del Presidente del Consiglio, ma mutato recentemente proprio in funzione dei cambiamenti strutturali imposti alla politica italiana dal rottamatore.

 

Come ho indicato nel mio libro Brand Renzi (Egea 2014), i concetti di triangolazione e di metabranding messi in pratica da Renzi hanno da un lato riposizionato il PD verso il centro alla ricerca di elettori di destra, dall'altro hanno sottratto argomenti e bandiere alla politica di centro-destra, svuotandone completamente il contenuto. Ciò ha spinto Salvini con la sua Lega a posizionarsi in un spazio altro, costruendo una nuova identità fatta di proposte assolutamente alternative e non campionabili dalla triangolazione e dal metabranding renziani. Questa nuova creatura é dunque quasi un parto mefitico dello stesso partito della nazione, ma proprio per questo rappresenta l'unica opposizione possibile a destra come anche alla sinistra del PD. Il nuovo corso di Salvini e della sua Lega sono però messi alla prova dalle sollecitazioni della politica internazionale. Come ad esempio la vicenda del referendum greco che ha forzato l'identità leghista mettendo in risalto il suo carattere schizofrenico. Da un lato difatti il Salvini postideologico non ha potuto fare altro che salutare positivamente (in TV e a Brussels) l'iniziativa epocale di Tsipras. Dall'altro invece, in rispetto dell'atavico lococentrismo leghista, ma anche di esigenze di marketing trasformate in nazionalismo 2.0, Salvini ha dovuto marcare la distanza tra la sua formazione e i veterocomunisti greci, che dopo tanto coraggio sono finiti a dover chiedere nuovi finanziamenti all'Europa in ottemperanza con il loro parassitismo tipico delle formazioni di sinistra radicale ma anche (questo è il non detto) di un popolo abituato a campare di espedienti. Peccato che proprio il rappresentante di questo popolo, rispetto al quale l'Italia di Salvini ci tiene a marcare una netta distanza, sia stato ricevuto più volte e con tutti i crismi al cospetto di Putin, che da un po' di tempo è anche punto di riferimento fisso e piccola ossessione del ragionamento geopolitico del nuovo Salvini.

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