Lo sguardo infinito / Lo sguardo fenomenologico di Leonardo

26 Novembre 2019

L’occhio nelle debite distanzie e debiti mezzi meno s’inganna

nel suo uffizio che nessun altro senso.

 

Non avrebbe nessun senso commisurare l’eccezionalità dello sguardo di Leonardo alla giustezza delle sue descrizioni del funzionamento dell’occhio e alla precisione delle sue componenti anatomiche: queste mancanze, come abbiamo già accennato in precedenza, sono da ascrivere allo stato delle conoscenze scientifiche del momento e ai limiti degli strumenti d’indagine di cui si poteva disporre all’epoca. Nonostante queste oggettive difficoltà il Vinciano ha comunque tentato, con ammirevole ostinazione, di elaborare una spiegazione coerente del funzionamento dell’occhio, seppure basata su inesattezze anatomiche relative alla forma e alla posizione effettiva del cristallino. La fisiologia, in quanto scienza indipendente dall’anatomia, non era ancora nata. Al tempo di Leonardo non esisteva nemmeno il vocabolo, nato poi nel XVIII secolo con Albrecht von Haller (1708-77), autore degli Elementa Physiologiae, e con Lazzaro Spallanzani (1729-99) e le sue opere sul cuore e sulla circolazione. Leonardo ha dato un rilevante contributo alla conoscenza dei meccanismi visivi e delle strutture percettive che organizzano e presiedono alla visione umana.

 

Studia e descrive quasi tutti gli aspetti fondamentali del processo visivo: dall’acuità visiva ai meccanismi della visione monoculare e binoculare e al fenomeno della stereoscopia, dal fenomeno della persistenza delle immagini a quelli delle immagini postume e delle illusioni ottiche e fisiologiche, dalla sensibilità cromatica alla visione periferica; dalle grandezze apparenti delle immagini in relazione all’angolo visivo alle leggi ottiche della prospettiva lineare, a quella dei perdimenti e del colore (aerea); dalla variazione della forma e della grandezza in rapporto alla distanza di visione (fenomeni di grandezza relativa e di grandezza familiare, di costanza della forma e della grandezza) ai fenomeni luministici derivati dalla luce incidente, rifratta, riflessa; dagli effetti del contrasto delle cose chiare su fondo scuro e viceversa, a quelli delle ombre primitive e derivative e alle loro gradazioni luministiche, ai loro valori di chiarezza e oscurità, ai fenomeni patologici della diplopia e della presbiopia. La mole dei problemi visivi trattati da Leonardo è tale da spaventare qualsiasi filosofo dell’epoca, ma il genio di Vinci li affrontò con eroico coraggio perché riteneva che la loro spiegazione fornisse la conoscenza, la «scientia», assolutamente essenziale all’attività del pittore: «Perché spesse volte gli effetti mostrano la natura delle loro cagioni, io con quelli descriverò la natura dell’occhio e in che modo lui riceve dentro di sé le specie degli obbietti».

Nel f. 1004r del Codice Atlantico espone un vero e proprio programma di studio, comprensivo di una serie di fenomeni visivi, e manifesta l’intenzione di sperimentarli e descriverli esattamente come farebbe un fenomenologo contemporaneo. I punti elencati si riferiscono sia a fenomeni particolari, come le modalità di apparenza dei riflessi e la formazione delle ombre, sia a fenomeni più generali inerenti il processo visivo in quanto tale.

Ne elenchiamo alcuni:

 

perché alchuna cosa specchiata pare magiore che non è. Quale specchio è quello che mostra le chose a punto. Perché l’occhio va variando hora per hora, cresciendo e scemando. Perché essendo un edifizio tra la nebbia pare maggiore. Perché le chose vedute dall’occhio pervenendo drento all’occhio sono picchole e paiono grandi. Perché l’occhio non vede perfecto se non per linia retta. Chome e dua occhi fanno piramida nella chosa veduta.

 

Lo sguardo di Leonardo incarna e sintetizza compiutamente la complessa personalità di un pittore scienziato, fenomenologo e sperimentatore delle cause e degli effetti di innumerevoli fenomeni visivi osservati e descritti nelle differenti condizioni luministiche in cui si manifestano, per registrarne i più impercettibili e minuti mutamenti. Martin J. Kemp, eminente studioso del pensiero di Leonardo, nel suo saggio Negli occhi di chi guarda. Leonardo e gli “errori della vista” in teoria e in pratica lo definisce un eroico e ossessivo osservatore, un ostinato fautore dell’osservazione diretta che riteneva l’occhio un preciso strumento di indagine e misura dei fenomeni naturali.

 

Tale assoluto affidarsi alla vista in quanto via di conoscenza certa è a fondamento della presa di posizione di Leonardo contro quei filosofi (come i neoplatonici) che vedevano quale più alta forma di attività mentale l’intuizione interiore della verità trascendentale.

 

Leonardo Da Vinci, Diagramma colori delle ombre, penna e inchiostro, 1508 circa.


Per Kemp si deve proprio a questa fiducia nella visione la passione con cui Leonardo si dedicò allo studio razionale di tutti i suoi meccanismi ed errori, forse spinto in tal senso anche dalla lettura del trattato di Alhazen che, come abbiamo ricordato in precedenza, espose i fenomeni delle illusioni percettive in modo molto articolato ed esaustivo, in rapporto agli studi del tempo.

Alhazen suddivide gli errori della vista in tre categorie: errori di pura sensazione, ad esempio vedere scuro ciò che è chiaro; errori di riconoscimento, ad esempio confondere la forma degli oggetti; errori di inferenza, ad esempio giudicare in modo errato – come quando guardando scorrere l’acqua sotto un ponte dopo un po’ ci sembra che sia il ponte ad andare incontro all’acqua.

 

Inoltre individua e descrive le ventidue variabili visive fondamentali dalla cui combinazione l’occhio ricava le informazioni essenziali su qualsiasi tipo di oggetto e fenomeno, vale a dire: luce, colore, distanza, posizione, solidità, forma, grandezza, continuità, discontinuità, numero, movimento, staticità, ruvidezza, levigatezza, trasparenza, opacità, ombra, oscurità, bellezza, bruttezza, somiglianza e varietà.

Kemp rimprovera a Leonardo di non aver mostrato la stessa sistematicità di Alhazen, tuttavia gli riconosce di essersi dedicato ai fenomeni più «eversivi per la scienza del pittore», definiti dalla psicologia attuale «effetti soggettivi»: essi non sono spiegabili con l’ottica geometrica ma sono connaturati ai processi stessi della percezione e della cognizione, strutturali cioè agli stessi apparati visivo e cerebrale di cui disponiamo. «Nessun artista teorico prima di Leonardo, e nessun altro per anni a venire, dedicò profonda attenzione agli effetti soggettivi». Lo studioso suggerisce di suddividere i casi esaminati da Leonardo in quattro tipologie: percezione del movimento veloce adattamento dell’occhio a diversi gradi di luminosità; contrasti simultanei di luce e ombra; teoria del mutuo contrastarsi o identificarsi dei colori. Tuttavia i processi psicofisiologici e le strutture percettive che sono coinvolti nel passaggio dalla visione alla raffigurazione sono molto più estesi e articolati. Leonardo, infatti, dedica a questi fenomeni un numero ragguardevole di annotazioni e appunti che, a volerli soltanto trascrivere, richiederebbero lo spazio di un volume a sé. Descriviamo, quindi, soltanto alcuni fenomeni utilizzando le categorie adottate nei correnti manuali di psicologia della visione.

 

Leonardo Da Vinci, La scomposizione della luce, penna e inchiostro, 1508 circa.


Visione foveale e periferica. Tra i fenomeni visivi che Leonardo considerò particolarmente significativi figura, certamente, la scoperta della segmentazione del campo visivo in una zona centrale, di massima acuità (che oggi conosciamo come l’area della fovea), a partire dalla quale si ha una graduale perdita di nitidezza man mano che ci si allontana da essa (area della visione periferica).

 

Noi conosciamo chiaramente che la vista è delle più veloci operazione che sia, e in un punto vede infinite forme, nientedimeno non comprende se non una cosa per volta. Poniamo caso. Tu lettore, guarderai in una occhiata tutta questa carta scritta, e subito giudicherai questa essere piena di varie lettere, ma non conoscerai in questo tempo che lettere si siono né che voglin dire, onde ti bisogna fare a parola a parola, verso per verso, a volere avere notizia d’esse lettere.

 

Nel f. 232r del Codice Atlantico il Vinciano descrive con precisione il meccanismo della fissazione oculare e le ragioni geometriche della focalizzazione dello sguardo, il motivo per cui l’occhio vede in modo nitido soltanto una minima parte di un oggetto. Perché, argomenta, la linea centrica individua «donde meglio si giudica le cose, anzi si vede da quelle parti», diversamente ciò che gravita attorno a essa «sono di omore meno transparente, più confuse fieno viste le cose». «Solo la linia di mezzo dessa sensuale è qualle che cognosce e giudica i corpi e colori; tutte le altre sono false e bugiarde». In diversi fogli Leonardo collega l’attività dell’occhio direttamente al ventricolo cerebrale del senso comune, all’intelletto, e non a quello preposto a ricevere le informazioni che provengono da tutti gli altri sensi, ovvero al ventricolo dell’impressiva. Ovvero istituisce una continuità tra la visione e l’intellezione e la ragione, le attività più segnatamente cognitive ed estimative preposte ad argomentare e formulare giudizi, «e questo nome di senso comune dicano solamente perché è comune iudice de li altri 5 sensi» (fig. 5).

Ombre colorate. Nel f. 919149-52r RCIN - K/P, f. 118r della Collezione di Windsor, Leonardo spiega l’esperimento delle ombre colorate, disegnando anche un diagramma illustrativo sulla posizione dell’oggetto e delle due sorgenti luminose, una rossa e l’altra azzurra (fig. 6).

 

Leonardo Da Vinci, Prospettiva dei perdimenti e grandezza relativa, penna e inchiostro, 1510 circa.

 

Io vidi già l’ombre verdi fatti da le corde, albero e antenne sopra d’una pariete di muro bianco, andando il sole in ocaso. E cquesto acadeva che cquella superfitie d’esso muro che non si tignieva del lume del sole, si tignieva del colore del mare che lli era per obbietto.

 

L’argomento verrà trattato numerose altre volte. Nel Libro di Pittura, vol. I, § 248, f. 74v, invece, tratta il fenomeno della costanza dei colori.

 

Il lume del fuoco tinge ogni cosa in giallo; ma questo non apparirà essere vero, se non v’è al paragone le cose aluminate dall’aria. […] Ma senza tal paragone mai sarà conosciuta la lor differenzia, salvo che i colori ch’an più similitudine, ma fien cognosciuti, come bianco da giallo chiaro, verde dall’azzurro.

 

In un’altra pagina si chiede perché i margini dei corpi ombrosi, nella parte in ombra, si mostrano a volte più chiari o più scuri di quello che sono. «Li termini de’ corpi ombrosi si dimostrano tanto più chiari o più scuri che non sono, quanto il campo che con lor confina fia più scuro o più chiaro del colore di quel corpo che lo termina». Sorprendentemente descrive un fenomeno percettivo che si genera sul margine che separa una parte chiara, illuminata, da un’altra scura, coperta da un’ombra, oggi noto come fenomeno della «banda di Mach», dal nome del fisico e filosofo Ernst W. J. Mach (1838-1916) che lo descrisse come un effetto di natura fisiologica. Rileva l’incidenza del contrasto di chiarezza nella valutazione delle dimensioni apparenti: «Quando la cosa oscura fia veduta in campo chiaro, essa si dimostrerà minore ch’essa non è. Quella cosa chiara si dimosterrà di maggiore figura, che sarà veduta in campo di più oscuro colore». Altrove annota l’effetto del contrasto simultaneo che si genera fra l’oggetto chiaro su fondo scuro e viceversa. Si sofferma inoltre a descrivere come varia il modo di apparire di ciascun colore a seconda se sia un riflesso, compaia su una superficie illuminata, nella penombra, completamente immerso nell’ombra o in trasparenza. «Qui è da notare qual parte d’un medesimo colore si mostra più bello in natura, o quel che ha il lustro, o quel che ha il lume, o quel dell’ombre mezzane, o quel delle scure, o verso in trasparenzia». Il fenomeno dei diversi modi di apparenza del colore dell’aria e del fumo, rilevato in differenti condizioni fisiche e fenomeniche di osservazione, è trattato in una bellissima descrizione elaborata durante la scalata del Monte Rosa e riscontrabile nel f. 4r del Codice Leicester, argomento ripreso anche nel ms F, f. 18r.

 

Ma da dove vengono i colori? 

Origine dei colori. Leonardo si interroga sulla formazione dei colori chiedendosi se sono prodotti dall’occhio oppure se sono da considerare proprietà intrinseche degli oggetti, o infine se è il sole a produrli. Scorge sulle goccioline d’acqua appese sulla parete di un bicchiere, posto sul davanzale di una finestra, la manifestazione del fenomeno cromatico che gli dimostra che i colori non sono causati dal sole. Le gocce d’acqua, osservate controluce, in trasparenza, si comportano come dei piccoli prismi che, per effetto del diverso indice di rifrazione delle diverse lunghezze d’onda della luce solare, scompongono la stessa luce in piccoli arcobaleni. Leonardo scorge in questo fenomeno la formazione dei colori spettrali: osserva e descrive con i mezzi che gli erano accessibili al suo tempo il celebre «esperimentum crucis» che il famoso scienziato inglese Isaac Newton osserverà nel 1666 e pubblicherà nel 1672, rivoluzionando le teorie del tempo sulla natura della luce. In RLW, recto del f. 19149 della Collezione di Windsor, risalente al 1508 circa, Leonardo rileva in modo molto preciso questo fenomeno: sebbene non potesse avere alcuna possibilità di sospettare la composizione spettrale della luce, egli, come in moltissimi altri casi, fa suo l’obbligo di interrogarsi sulla natura del fenomeno e cerca di darne una spiegazione coerente, comunque utile a formulare delle ipotesi sulla natura dei colori e sulla loro origine.

 

Li colori dell’arco non nascan dal sole perché in molti modi si generan tali colori sanza sole, come accade nell’accostare all’occhio il bicchieri dell’acqua nel vetro del quale sia le minute visciche che esser sòle nelli vetri mal purgati. Le quali visciche, ancora che non si veda il sole, generan da un de’ sua lati tutti li colori dell’arco. […] Ma se tu poni tal bicchieri pieno d’acqua sul piano della finestra, in modo che dall’opposita parte lo ferischino i razzi solari, allora tu vederai li predetti colori generarsi nella impression fatta dalli razzi solari penetrata per esso bicchieri e terminata sopra il pavimento in loco oscuro a’ piedi d’essa finestra. È perché qui non s’adopera l’occhio, possian con certezza manifestamente dire tali colori non avere parte alcuna dall’occhio (fig. 7).

 

Tra i fenomeni visivi descritti sono compresi anche quello della persistenza retinica e dell’immagine postuma: «Guardando il sole o altra cosa luminosa e serrando poi l’occhi, la rivedrai similemente dentro all’occhio per lungo spazio di tempo. Questo è segno che le spezie entrano dentro». «L’occhio riserva in sé le immagine delle cose luminose che se li rappresentano».

Meriterebbe un capitolo a parte l’analisi che conduce sui fenomeni delle grandezze apparenti in relazione alla distanza, utilizzati dal nostro sistema visivo come indizi per ricavare informazioni sulla profondità spaziale e la distanza che intercorre tra l’osservatore e gli oggetti: «In fra le cose d’equal grandezza quella che sarà più distante dall’occhio, si dimostrerà di minore figura» (fig. 8).

La parallasse di movimento si rivela come un efficace indizio della profondità tutte le volte che l’osservatore è in movimento.

 

Quando l’occhio si move di sito stando fermo a un propinco a obietto, e’ li parrà che li obbietti remoti sieno velocissimi e che ’l primo sia sanza moto e che la stella si mova per la linia dell’occhio. Diciamo che l’occhio a stia fermo colla virtú visiva sopra l’obbietto c e che si mova corporalmente da a al b stando fermo colla vista in c, che la stella d veduta dalle linie non centrali dell’occhio gli parrà velocissima e nel tempo che l’occhio va da a al b, e la stella li parrà mossa tutta la parte del cielo d e (fig. 9).

 

Leonardo si interroga sul fenomeno della contraddittoria differenza che si può venire a creare tra la grandezza reale degli oggetti e quella apparente: «La pulce e l’omo possano venire all’occhio e entrare in quello per eguali angoli e per questo non s’inganna il giudizio che l’omo non paia maggiore che essa pulce. Domandasi della causa» (fig. 10). Degli indizi pittorici relativi alla disposizione delle luci e delle ombre, alla luminosità relativa, ai gradienti di luminosità parleremo nei capitoli seguenti, dove tratteremo in modo più esteso la teoria delle ombre.

 

Questo brano è un'anticipazione del nuovo libro di Giuseppe Di Napoli, Leonardo. Lo sguardo infinito, Einaudi, Torino 2019, da oggi in libreria.

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO