Voci per la riapertura / Nuovo Cinema Covid
L’assurdità, scriverebbe Albert Camus, della “peste” Covid-19 ci ha raggiunto con la forza di uno tsunami, lasciando implodere le idiosincrasie della nostra “ordinarietà”. La filiera cinema, di fronte al metaforico incendio delle strutture tradizionali, creative, sistemiche e di visione, si è dovuta confrontare, nel mezzo di un possibile collasso economico globale, con un’accelerazione vertiginosa dei processi di colonizzazione culturale messi in atto dalle grandi piattaforme e con una quanto mai necessaria riflessione sull’arte cinematografica che metta in discussione la tradizione, riaccendendone la vitalità che l'ha resa tale. Molteplici sfide in un brevissimo tempo. E una parola che riecheggia, incombe, declinata in molteplici significati e significazioni: innovazione. Sì, ma a quale prezzo? Con quali premesse? Innovazione rispetto all’arte cinematografica, alla tecnologia della visione o alla modalità di produzione? Il memorabile great lockdown che abbiamo vissuto – nella sua eccezione sanitaria ed economica – ha messo al centro le radici economiche dello sguardo cinematografico, ricordandoci da una parte la sua natura industriale dall'altra gli ammonimenti debordiani della riduzione a mera accumulazione di capitale. Da queste premesse, ascoltare le voci di chi la filiera cinema la sorregge quotidianamente è a mio avviso necessario per restituire una fotografia complessa e dialettica dello stato delle cose, quanto mai in divenire.
Le elaborazioni del trauma in un possibile output artistico sono state differenti, questionando modalità innovative di scrittura, di regia e produzione. Il maestro del reale Leonardo Di Costanzo, il cui set targato Tempesta sarebbe dovuto partire a luglio, nonostante il blocco forzato, si è trovato di fronte ad una sincronicità inaspettata e virtuosa: “Il mio terzo film, ambientato in un carcere nel quale improvvisamente per motivi di natura burocratica i detenuti vivono una sospensione irreale, ha evidenti affinità con la realtà che abbiamo vissuto. Gli stessi attori che avrebbero dovuto fare i workshop di preparazione si sono trovati, improvvisamente, in una condizione che simulava esattamente quella della finzione. Personalmente penso – dopo un primo tentativo di analisi e anche di azione – che tutto ciò che abbiamo vissuto entrerà nelle nostre produzioni, ma ne misureremo la portata, sia a livello individuale che collettivo, più avanti, grazie ad un piccolo distanziamento”.
Se qualcuno ha scelto l'ascolto, altri hanno deciso di agire nell'urgenza come Gabriele Salvatores con il progetto Viaggio in Italia che ha raccolto ad oggi quasi 16.000 video girati dagli italiani durante il lockdown e più recentemente Daniele Vicari con il film collettivo Il giorno e la notte che viene descritto dallo stesso autore come un'opera “domestica che pratica una sorta di smart filming”, con gli attori stessi chiamati oltre che a recitare, anche ad allestire il set a casa propria e a girare con un kit apposito fornitogli dalla cabina di regia.
Molte anche le opere collettive, nate sull’onda degli accadimenti e articolate secondo differenti Weltanschauung, che tentano di leggere il reale. A marzo è iniziato il percorso de Le storie che saremo prodotto da Ginko Film con la curatela di Marco Zuin in collaborazione con sei tra i maggiori archivi nazionali ricontestualizzati dallo sguardo di sei registi. La comunità di filmmaker milanese si è invece raccolta attorno alla “chiamata alle arti” del progetto Instant Corona prodotto da MIR Cinematografica, AIR3 e promossa dal Milano Film Festival: “Abbiamo voluto raccontare in un ibrido visivo – tra video-arte, finzione e documentario – e produttivo con la maggior parte delle attività in remoto”, racconta il produttore di MIR Francesco Virga, “una città che si auto rappresenta vincente e che, improvvisamente, si deve confrontare con le conseguenze di una pandemia globale. Il film, figlio di questo momento emergenziale ha avuto il merito di mettere in risalto la vitalità delle reti sociali, culturali, del volontariato della città, ma anche le difficoltà di chi vive sotto i livelli di povertà”.
I processi di accelerazione messi in atto dalla pandemia hanno avuto un impatto sulla produzione, nel peggiore dei casi bloccandola o in alcuni casi costringendo a ripensamenti di tipo editoriale e logistico. Laura Buffoni, incaricata dello sviluppo progetti per Fandango ha avvertito un progressivo cambio di metodo da parte degli stessi autori: “Abbiamo sperimentato dinamiche nuove, un tempo virtuale e differente. C'è chi si è paralizzato creativamente, in maniera assolutamente giustificata, e chi invece ha cercato un confronto più intenso. Ma per avere certezze è ancora presto. Al momento quello che ci interessa è capire come questo trauma collettivo andrà a sedimentarsi nelle storie: come per gli eventi c'è un tempo di storicizzazione necessario così per la creatività c'è un tempo in cui si passa da cronaca ad immaginario. Noi siamo ancora nel limbo che distanzia i due momenti”.
La transizione dallo script al set ha dovuto attendere Il protocollo siglato il 27 maggio, che offre una sorta di codice di autoregolamentazione firmato dalle associazioni che rappresentano tutta la filiera: tamponi preventivi e settimanali, mascherine protettive, strumenti monouso per i singoli componenti del cast, costumi di scena individuali e non condivisi dai generici, utilizzo delle app per il contact-tracing. Come racconta Bettina Pontiggia, costumista per registi quali Paolo Virzì, Alina Marazzi e Francesca Archibugi, “Il nostro è un lavoro fisico con un contatto diretto, di prossimità. La situazione ci ha fatto sentire davvero minacciati. Il cinema non è un mestiere che da grandi certezze economiche. Normalmente abbiamo lunghe pause tra un set all'altro, ma questa volta non abbiamo prospettive”. Giovanni Pompili, di Kino Produzioni, dichiara: “Il set è solo la punta di un iceberg di un lavoro, ad esso precedente, lunghissimo. Con due co-produzioni minoritarie in partenza e bloccate per la pandemia – non è stato infatti facile far passare la percezione all'estero di quello che stava accadendo qui – ci siamo concentrati nello sviluppare nuove storie, sul guardarci allo specchio e sul fare scouting per trovare partner creativi del futuro. Intanto attendiamo la ripartenza autunnale con molti interrogativi. Il set è un cantiere e si potrà sicuramente mettere in sicurezza, ma la difficoltà più grande è quella di garantire non tanto la troupe, quanto chi è di fronte alla macchina da presa. Aspettiamo metà luglio per capire il da farsi”.
Mentre i set sono in stand by, il sistema festivaliero, bloccatosi bruscamente dopo l'edizione 2020 della Berlinale, ha visto alcune manifestazioni convertite in una versione completamente online – tra le prime il Visions du Réel –, altre rinviate sine die – come il Bergamo Film Meeting e il Festival di Cinema Africano – o annullate del tutto – Locarno Film Festival –, altre ancora che si articoleranno in maniera ibrida, secondo le possibilità previsionali date dalla pandemia ancora in corso: proprio in questi giorni sono state confermate le edizioni 2020 del Cinema Ritrovato di Bologna (25–31 Agosto) e la Festa del Cinema di Roma (15–25 Ottobre). Confermata nelle date previste (2–12 settembre) anche la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, sebbene ancora non sia del tutto chiara la formula con cui la storica manifestazione si presenterà.
Pedro Armocida, direttore artistico della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, ha scelto con grande anticipo di annunciare un festival “in presenza” nelle tradizionali date estive. “Seguendo il movimento #iorestoacasa abbiamo, nella prima fase di lockdown, deciso di mettere online i lavori delle passate edizioni, sicuramente un'opportunità del virtuale rispetto ad un cinema sperimentale notoriamente poco visto. Sono però contrario al semplicistico mantra del doversi “ripensare” – che come concetto generale trova il mio totale supporto, ma che per la sala rischia di banalizzare il tema fondante dell'incontro tra film e il pubblico del festival. Come direttore non riesco ad immaginare il festival distaccato dal luogo fisico in cui si svolge. Ma affrontando l'emergenza, nell'incertezza normativa e con l'impossibilità di avere molti degli ospiti dall'estero, ho deciso comunque di coniugare la parte online per supplire alla mancanza di chi non potrà presenziare. Quest'anno l'edizione avrà un concorso aperto a minutaggi e formati differenti, una parte all’aperto più attenta al grande pubblico”.
Anche a Milano, tra le zone più duramente colpite della pandemia a livello nazionale, si reagisce attraverso una configurazione ibrida della storica kermesse del Milano Film Festival prevista dal 2 all'8 ottobre 2020. “La comunità festivaliera, tornata da Berlino quasi ad inizio lockdown si è trovata di fronte ad una improvvisa smaterializzazione del cinema. Sale chiuse, produzioni bloccate. Tutto è passato velocemente online”, racconta Alessandro Beretta, direttore artistico del festival, insieme a Gabriele Salvatores. “Con gli archivi, le cineteche, i canali a pagamento free e open la disponibilità di immagini in movimento è diventata enorme in pochissimo tempo, in un vortice bulimico di prodotti audiovisivi. Alcuni festival, che ho seguito, si sono trasformati velocemente, ovviamente a causa dell'emergenza, nella loro versione online. Trovo le soluzioni dettate dalla straordinarietà della situazione assolutamente lodevoli, ma preciso che per noi l’idea di festival è in primis un’idea di comunità e società civile, ma anche un’esplorazione condivisa del cinema. In questa versione Expanded avremo una parte online, ma cercheremo ad ogni costo di avere una parte fisica, per ovvie ragioni simboliche”.
Francesco Giai Via, direttore artistico del Festival di Cinema Italiano di Annecy e di Carbonia (6–11 Ottobre 2020) studia soluzioni sperimentali ed alternative per le due manifestazioni: “Una risposta obbligata per chi, nei contesti medi e piccoli, non può permettersi di fermarsi e sa che nel futuro dovrà agire in un contesto di crisi con il rischio enorme che non proponendo una soluzione emergenziale, l'anno successivo, non avrà le stesse economie”. Molti dubbi leciti e motivati sono scaturiti dalle difficoltà sorte nella riorganizzazione che ha scardinato molte consuetudini. “I festival sono esplosi per quantità, divenendo una sorta di circuito distributivo parallelo. Possiamo, dopo tutte queste ipotesi, pensare a delle modalità diverse? Quando si è dentro la consuetudine si rischia di perdere il quadro generale per il mantenimento di un generico status quo che si confonde con la tradizione. Non tutti i festival assolvono alla stessa funzione, per pubblico, per comunità di riferimento o per l’industria. Non sono un corpo unico. A mio avviso dovremmo ragionare sui temi della sostenibilità e al privilegio della nostra piccola comunità viaggiante che può avere accesso, con il pubblico locale, a certi film che esistono in quei contesti e basta”.
La possibile coesistenza tra piattaforme, nate nell'accelerazione imposta dalla pandemia, e gli esercenti delle piccole e medie sale cinematografiche, è proprio tra gli interrogativi che si pongono per gli scenari futuri. Anastasia Piazzotta, distributrice e responsabile di Wanted Cinema, ci racconta il processo decisionale che l'ha condotta alla creazione, a fianco alla propria attività di distribuzione, della piattaforma Wanted Zone. “Quando abbiamo capito che l'onda sarebbe stata lunga abbiamo pensato di trasferire l’attività distributiva sul digitale, coinvolgendo gli esercenti che seguono e sostengono le nostre uscite. Wanted Zone dava loro la possibilità di promuovere i nostri titoli attraverso la loro reti, programmando in una sala virtuale con orari scelti di comune accordo come per delle proiezioni fisiche. Dopo la prima newsletter di proposta abbiamo però raccolto opinioni divergenti, dubbi, paure giustificate. Domandavamo l'attività opposta che avevano sempre fatto: chiedere al pubblico di vedere film sul piccolo schermo e non in sala”.
Anche il direttore di MyMovies, Gianluca Guzzo, ideatore – con Andrea Occhipinti per Lucky Red e Antonio Medici per Circuito Cinema – della piattaforma MioCinema e gestore dell'infrastruttura web di #iorestoinsala, motiva l'iniziativa con il tentativo di arginare l'emorragia di quell'utenza che – senza un punto di riferimento per un cinema di qualità – migrava verso contenuti e piattaforme mainstream: “Confrontandoci abbiamo pensato ad una iniziativa che parlasse con lo stesso linguaggio delle sale cinematografiche, dando loro gli strumenti per dialogare con il proprio pubblico e allo stesso tempo tornare a guadagnare (il quaranta per cento dei ricavi della piattaforma va alla sala). MioCinema, a differenza delle altre piattaforme, ha infatti degli ambasciatori a livello nazionale che comunicano personalmente e territorialmente”.
Se molte delle piattaforme sono nate come strumento alternativo alla sala in attesa della riapertura e come possibile doppio schermo virtuale dell’esercente, alcune realtà ne hanno ravvisato differenti rischi: “Da piccola distributrice penso che il Covid abbia scoperchiato alcuni nodi nevralgici di un sistema che aveva già parecchi problemi” afferma Letizia Gatti, distributrice per Reading Bloom. “Sto lavorando, in maniera assembleare, affinché ci sia una politica culturale condivisa con tutti i soggetti della filiera indipendente, garantendo ai piccoli film un'uscita theatrical dignitosa nonostante i grossi rischi d'impresa che ne derivano. Non sono contraria dopo le prime settimane ad un'uscita online per i piccoli film che sicuramente ne gioverebbero, ma penso in maniera preminente alla sala come luogo di elezione del cinema”.
Stefano Boni e Grazia Paganelli, programmatori del Cinema Massimo, illustrano la posizione culturale della sala del Museo Nazionale del Cinema di Torino: “Il museo istituzionalmente ha scelto inizialmente di non aderire a progetti online, considerando la visione filmica come essenzialmente vincolata al grande schermo. Ci siamo allineati ad una generica e non ufficiale posizione dell'Agis, la quale sostiene che, in un momento così difficile, sottrarre prodotto alle sale per andare in streaming non sia da prendere in considerazione. Abbiamo quindi preferito non affrettare i tempi per reagire alla pandemia. È vero che il Cinema Massimo programma film di prima visione, ma la sua funzione primaria è quello di essere una sala cinetecaria che programma i classici della storia del cinema e le retrospettive. Il nostro compito è costitutivamente quello di invogliare il pubblico a vederli sul grande schermo”.
La previsione di riapertura del 15 giugno, voluta dall'ultimo DCPM governativo, nonostante la lunga attesa ha suscitato notevoli malcontenti tra i piccoli e medi esercenti “Chiaramente su questa data c'è stata una facile ironia” ci racconta Chiara Malerba del Nuovo Cinema Azzurro di Ancona, “In una città di mare, la stagione cinematografica volge al termine in primavera e la stagione distributiva termina con la proposta cannense. Il 15 giugno ci è sembrata una data fantascientifica sia per le richieste dei protocolli di contingentamento sia per l'investimento economico difficile da attuare dopo mesi di chiusura. Come gestori di un monosala abbiamo deciso di rinviare a settembre e abbiamo aderito per la stima rispetto ad un'istituzione come la Cineteca di Bologna, nonostante alcuni dubbi legate alla virtualità, a #iorestoinsala. Ma conosciamo il nostro pubblico e siamo sicuri che appena sarà possibile avrà voglia di venire a trovarci fisicamente”.
Se alle misure restrittive del DPCM per la riapertura del 15 giugno gli esercenti hanno risposto senza entusiasmo, per le sopra citate difficoltà, nelle varie aree nazionali metropolitane fioriscono nell’emergenza le arene estive come possibile soluzione non solo cinefila, ma anche puramente aggregativa. Non sono tuttavia mancate le polemiche: la più recente, dai toni assai aspri, ha visto contrapporsi l’associazione “Piccolo America”, che da anni anima periferia e centro di Roma con il “Cinema in piazza”, e l’Anica, per il presunto mancato ottenimento di alcune pellicole da proiettare durante la rassegna. A Torino, invece, Fulvio Paganin, organizzatore dell’arena di Palazzo Reale, afferma: “Inizialmente si è proposto il drive in come possibile soluzione che – personalmente – non ho mai condiviso. Mi sembra assai impensabile che il pubblico italiano, con una cultura lontana da quella americana, dopo mesi di isolamento e macchine non adeguate, possa far propria questa consuetudine”. Anche la costruzione di una arena tradizionale comporta però innumerevoli difficoltà che si stanno palesando nella chiusura dei programmi per la stagione estiva. Come sottolinea lo stesso Paganin, “Rispettare il DCPM per la costruzione dell'arena richiederebbe un’area enorme di allestimento, con una serie di rischi d’investimento aggravati dalle misure che cambiano continuamente e la paura di un nuovo picco di contagi. Inoltre, attualmente non conosciamo la risposta delle persone e la loro vera voglia di tornare al cinema. Siamo sicuri che si abbia voglia di separarsi dal proprio congiunto o dall’amico durante la proiezione? E magari per dover rimanere tutto il tempo del film con la mascherina sul viso?”.
Nel complesso quadro delineato dalle molteplici, ma strutturalmente non esaustive, voci chiamate a raccontare l'attuale stato delle cose della filiera cinematografica italiana emergono molteplici piani del discorso che richiederanno una necessaria e virtuosa concertazione governativa a partire dalle singole istanze delle associazioni di categoria. Se sul piano economico le esigenze di ripartenza del cinema come industria, secondo le feroci regole della domanda e dell'offerta, sono urgenti e prevedono soluzioni immediate – se pur transitorie, in perfezionamento, forse effimere – e se le tecnologie della visione si adeguano alle richieste cangianti del mercato con abilità mimetica, la radice emotiva riscontrabile nel discorso degli autori, in quella dei curatori dei festival e nel grido d'aiuto di piccoli e medi esercenti prende avvio dalle parole condivisione collettiva che rimangono il comune denominatore delle testimonianze raccolte. Starà a noi, come comunità cinematografica, comprendere, rimodulare e rendere onore a questo valore intrinseco e fondante, nel suo etimo originario e non alienato.