Giappone. Il paese senza satira

17 Marzo 2014

1. Un paese senza satira

 

In Italia abbiamo sempre avuto grandi comici che fanno satira politica. Senza scomodare mostri sacri come Dario Fo, in questi ultimi vent’anni abbiamo avuto Paolo Rossi, i Guzzanti, Antonio Albanese, Daniele Luttazzi, e ultimamente abbiamo un grande Maurizio Crozza che troneggia su più canali, facendoci sentire sotto la risata esattamente la voce che una gran parte del popolo vorrebbe sentire.

 

Non sono in grado di illustrare una storia precisa di questa tradizione italica, ma dobbiamo ammettere che pur perdendo le sue maschere dopo Goldoni, il sangue della Commedia dell’Arte continua a scorrere nelle vene degli italiani. Un amico regista mi ha recentemente confidato: “Qui è facile. Io tengo numerosi seminari di Commedia dell’Arte e ogni volta che illustro la maschera di Pantalone, spiegando che è ricco e che gli piacciono le giovani donne… già scoppiano a ridere prima ancora di fare alcuna allusione”.
E se non ci fosse la satira? Se essa ci mancasse, così come è già successo in Giappone? Un paese senza satira: come sarebbe la vita?

In Giappone la televisione pullula di una miriade di comici televisivi, detti owarai gheinin. Owarai significa “risata”, gheinin è “artista di scena”, quindi gli owarai gheinin sono i “comici”. Ma in Giappone la maggior parte di questi owarai gheinin appartiene alla scuderia di una singola agenzia, la Yoshimoto Kôgyô, che sta monopolizzando ogni e qualsiasi spazio televisivo. Quasi ad ogni ora su qualche canale televisivo questi owarai gheinin si esibiscono non solo con i loro numeri, ma a volte in qualità di conduttori di qualche programma.

 

 

Sono davvero molto popolari. Eppure, nessuno di loro fa satira. Nessuno di loro si fa beffe dei politici, né del potere in genere, né tantomeno prende in giro l’idiozia della massa abbindolata dal potere (politico, economico). Sembra che stiano tutti molto attenti a non fare mai battute su esponenti dei vari partiti politici, sulla TEPCO, sul pericolo di diffusione della radioattività, insomma, su argomenti scomodi. Portano in scena situazioni quotidiane comiche o raccontano le birbonate combinate in passato, o le proprie disavventure, ma mai che prendano in giro il mondo politico o il potere, come tanti i comici che vediamo su Zelig o altri show televisivi anche qui in Italia. La differenza è che in Giappone non abbiamo che owarai gheinin. E quel che è peggio, nessuno sembra preoccupato per quest’assenza di comici satirici. Tutti i teatranti giapponesi di mia conoscenza mi dicono, “Se fai satira, il giorno dopo non avrai più la possibilità di esibirti in tv. E comunque sono divertenti questi owarai gheinin, che male c’è?”.

 

Il fatto è che all’ agenzia non conviene che i suoi comici si facciano licenziare dai programmi. Dal loro punto di vista sarebbe un danno economico molto grave. In base ai puri criteri di gestione capitalista, si può immaginare che l’agenzia detti ai suoi comici le linee di comportamento da seguire. Il denaro reprime la satira. Eppure, perfino un re assoluto come Luigi XIV di Francia pranzava spesso da solo con Molière che prendeva di mira tutti i potenti dell’epoca (religiosi, medici, ecc.), e perfino sotto le feroci dittature dei paesi dell’Est il teatro ha saputo mantenere vivo quello spirito irriverente. Se la risata perdesse questa funzione fondamentale per la società, come potremmo valutare lo stato di salute di un paese?

2. Kyogen, la Commedia dell’Arte addomesticata

 

Pare che la storia si ripeta. Non è la prima volta che in Giappone perdiamo i veri giullari. Nel nostro medioevo avevamo anche noi una vera commedia satirica, chiamata Kyogen. La parola Kyogen significa “parola folle”, cioè la parola di un vero buffone.

 

Immagino che molti di voi conoscano o almeno abbiano sentito parlare del teatro Nô, una forma di teatro tradizionale giapponese creata, o meglio, definita da Zeami, il grande interprete, autore e teorico del teatro Nô che visse tra il Trecento e l’inizio del Quattrocento. Prima di Zeami, le varie arti sceniche in Giappone non erano così chiaramente distinte, e balli, canti e acrobazie formavano insieme un genere chiamato Sarugaku, da cui nel Trecento si distinsero due forme gemelle: una poetica e tragica recitata con maschere (Nô) e l’altra comica (Kyogen), come nel teatro dell’antica Grecia.

 

Si suppone che il Kyogen, nella sua origine, assomigliasse molto alla Commedia dell’Arte italiana sotto più aspetti: gli attori dovevano saper fare di tutto (cantare, ballare, recitare, fare acrobazie), si usavano le maschere (anche se non per tutti i personaggi), i personaggi erano quelli che potremmo definire archetipi della commedia, tra cui la coppia composta da padrone e servo, molto importante anche nel Kyogen. Inoltre, anche il Kyogen veniva recitato sia davanti al pubblico popolare che davanti a nobili e samurai di alto rango; i testi non erano fissati e gli attori erano chiamati a improvvisare; e gli spettacoli contenevano spesso critiche sociali (quindi si trattava di una vera e propria satira).

 

 

Prendiamo un esempio. C’è un’opera famosa intitolata Kazumô, ovvero “fare sumô con una zanzara”. Il Sumô, come certamente sapete, è una lotta tradizionale tra giganti, di origine religiosa, che si disputa ancora oggi. Ed era molto popolare anche nel medioevo. Nell’opera in questione, il padrone è amante del sumô a tal punto da voler ingaggiare dei lottatori in casa in modo da poterli ammirare sempre da vicino. Ma non avendo mezzi sufficienti, decide alla fine di ingaggiarne solo uno e manda il suo servitore a cercarlo.

 

Nel frattempo arriva dalla campagna una gigantesca zanzara travestita da uomo. Si lamenta che c’è la crisi, i contadini sono morti di fame e non forniscono più un buon sangue da succhiare, così ha deciso di trasferirsi nella capitale in cerca di qualche riccastro per succhiare un sangue migliore. Il servo e la zanzara s’incontrano per strada e il servo, non avendo mai visto un vero lottatore di sumo, si lascia abbindolare dalla zanzara e finisce per ingaggiarla. Così insieme i due tornano dal padrone, il quale affronta un incontro di sumô contro questo pseudo-campione che invece è una zanzara. Ovviamente Kazumô non è una storia fantascientifica ante-litteram dove gli uomini lottano contro gli insetti: in realtà, il personaggio della zanzara è la straordinaria metafora di un giovane campagnolo molto scaltro e molto affamato (esattamente come Arlecchino). Con questi personaggi, l’opera rappresentava all’epoca una feroce critica sociale contro i ricchi che sperperavano i soldi per stupidaggini in tempi di crisi. Sarebbe tuttora incredibilmente attuale.

 

Entrando nel Seicento, però, d’un tratto, le due arti sceniche compirono (o meglio, subirono) una grande trasformazione. All’inizio del Seicento, dopo un lungo e sanguinoso periodo di guerre civili, una sola famiglia di samurai, i Tokugawa, riuscì a prevalere su tutto il Giappone e il paese entrò in una lunga pace governata dal potere concentratissimo del Bakufu (il governo dei Tokugawa) situato a Edo, l’attuale Tokyo. Da quel periodo in poi, sia il Nô che il Kyogen furono monopolizzati dai samurai d’alto rango e relegati al ruolo di loro hobby prediletti, perdendo del tutto il contatto con il pubblico popolare, con la società civile. Così iniziò un profondo processo di istituzionalizzazione, mascherato come “evoluzione stilizzata” delle due arti.

 

Quanto al Kyogen, per evitare brutte sorprese o incidenti per battute “inappropriate”, l’autorità ordinò di fissare i testi, intervenendo anche con una propria censura, e tutto fu codificato. Queste tracce di censura sono evidenti anche nella già citata Kazumô. Nell’originale, vista la critica sociale che l’opera conteneva, il padrone perde l’incontro decisivo contro la zanzara. Nella versione tramandata oggi in alcune scuole è invece il padrone a uscirne vincitore: il senso del finale fu completamente storpiato. Non solo. Oggi quest’opera viene rappresentata come se fosse una pièce surreale dove l’uomo combatte contro l’insetto, senza che né gli interpreti né il pubblico abbiano idea che la figura della zanzara rappresenta in realtà un povero campagnolo. Nel processo di stilizzazione, il senso stesso dell’opera si è completamente smarrito. E Kazumô non è l’unico esempio.

Anche a livello di esecuzione, in nome dell’estetica, per favorire la bellezza del movimento e della voce, e questo naturalmente per compiacere i gusti dei samurai, tutto si rallentò, sia nel Nô che nel Kyogen. Per quanto riguarda il Kyogen, è come vedere la Commedia dell’Arte al rallentatore. In questo modo, è vero che le movenze sono diventate davvero controllate e graziose, ma sono andati completamente perduti i tempi comici, e in numerosi punti delle varie opere il senso originale dell’azione e del testo non si capisce più. Il Kyogen ha acquistato la grazia ma perso la coerenza vitale della commedia. È come vedere Crozza trasformato in Carla Fracci. Ammiriamo la sua bellezza istituzionale, ma non troviamo più l’istinto comico che ha generato il Kyogen, lo stesso che infondeva una linfa importante alla salute della società.

Ma ciò che è più triste è che oggi, tranne qualche rarissimo esempio come Tadashi Ogasawara di Osaka, la maggior parte degli attori di Kyogen non mette in discussione l’attuale forma così come viene ereditata dai rispettivi maestri, sebbene in realtà sia come abbiamo visto molto lontana dalle forme originali. Qui la parola “tradizione” tradisce, perché la forma del Kyogen attuale è, ripeto, solo una deformazione posteriore, definita tra il Seicento e l’Ottocento come risultato di repressione e di censura, non il frutto di una creatività spontanea degna di essere chiamata arte della commedia. Nonostante questi fatti storici, gli attori contemporanei giustificano ancora la loro arte attuale sostenendo che è una forma molto più evoluta e raffinata rispetto alla commedia rozza e volgare che era il Kyogen originale (e questo in parte è vero), dicono che si tratta di waraku, ovvero l’arte pacifica e armoniosa che regala gioia a tutti. Infatti il Kyogen di oggi non offende più nessuno, forse dimenticando che in questo modo offende se stesso.

 

 

3. Minoru Torihada, un comico clandestino che si traveste da ultradestra


Ovviamente nei decenni passati ci sono stati numerosi esponenti del teatro giapponese che hanno tentato di fare satira, e lo stesso spirito da grande buffone si poteva trovare anche nella danza di Kazuo Ohno, il grande danzatore di Butoh. Ma guardando gli owarai gheinin odierni, devo tristemente constatare che l’arte della commedia in Giappone è oggi quasi completamente addomesticata, proprio come il suo antenato Kyogen. Si fa fatica a trovare un comico pericoloso che dica cose scomode e sufficientemente fastidiose per chi detiene il potere nel paese.


O almeno lo credevo fino a poco tempo fa, quando un giovane amico mi ha fatto scoprire un comico alquanto eccentrico che si chiama Minoru Torihada. Torihada (che in giapponese significa “pelle d’oca”, un nome d’arte davvero beffardo) si presenta come un esponente dell’estrema destra giapponese, spesso in divisa militare, e i suoi repertori forti sono presentati in forma di comizio, come quelli che fanno in piazza i candidati per le elezioni. Il suo spettacolo si svolge per lo più per strada, sul tetto di una vettura, ma talvolta anche in teatro. Non comparendo quasi mai in televisione il grande pubblico giapponese lo ignora, ma è capace di riempire anche un grande teatro.

Prima di proseguire con Torihada, due parole sull’estrema destra giapponese (U-YOKU). Si dichiarano fedeli all’Imperatore e non nascondono l’odio contro tutti coloro che criticano o ostacolano in qualunque modo l’azione del Giappone. Si vestono in divisa militare, si radono le sopracciglia, sventolano le bandiere della marina imperiale nipponica. Fanno spesso manifestazioni molto aggressive e violente e in questo ricordano l’estrema destra di tutto il mondo, realizzando parate di autoblindo attraverso i centri delle città (immaginate le vetture blindate della polizia italiana, ma dipinte di nero con degli slogan scritti in bianco), lanciando dai megafoni ad altissimo volume slogan nazionalisti e xenofobi insieme a un vecchio inno militare come sottofondo. Si dice che siano in parte alleati con gli Yakuza, la mafia giapponese, e visto il loro comportamento non stentiamo a crederlo. Come potete immaginare, in questo momento i loro insulti sono concentrati sui cinesi ai quali il Giappone contende l’arcipelago di Senkaku.

 

 

Minoru Torihada usa tutti i vocaboli denigratori tipici di quel gruppo, inneggia alla guerra, attacca tutti i partiti politici e in particolar modo il partito Kômeitô, legato al gruppo religioso buddhista Sôka Gakkai di cui anche il nostro Roberto Baggio è membro. Ma il suo intento beffardo è evidente. Sulle sue vesti ha spesso cuciti addosso a grandi caratteri alcuni slogan tipici dell’estrema destra. Ma a quel punto la divisa diventa un vestito da clown, una perfetta maschera comica. A volte appare addirittura completamente nudo di fronte al pubblico, cosa assolutamente tabù in Giappone. Salito sul palco, inizia il discorso dicendo: “Sono un raccomandato della famiglia imperiale, ma sono un oratore senza messaggio, non ho niente di utile da dirvi. Realizzerò una politica mia, fatta da me, solo per me…”. Da vero comico non dice niente di serio, ma è anche l’unico a parlare di alcuni argomenti che in Giappone sono tabù, compreso quello della stessa estrema destra, della famiglia imperiale, rendendo infine molto ridicola quella compagine politica.

 

Con questo suo fare ricorda un po’ Anselm Kiefer all’inizio della sua carriera artistica, quando si faceva fotografare alzando il braccio destro nel saluto nazista di fronte a numerosi monumenti storici. Molti all’epoca lo bollarono come neonazista, ma in realtà Kiefer sbeffeggiava ciò che era il nazismo cercando di viverlo dal di dentro attraverso quel gesto compiuto da grande clown. Anche in Minoru Torihada possiamo scorgere una simile tensione, anche se non posso non riconoscere che un filo di ambiguità rimane.

 

Torihada ha fatto anche qualche esibizione televisiva, ma la maggior parte delle parole da lui pronunciate non erano trasmettibili e si sentiva solo qualche preposizione tra i vari “Bip!!! Bip!!! Bip!!!” che coprivano il resto, cioè, le parolacce e gli insulti politicamente molto scorretti. Con lui spesso le trasmissioni sono state interrotte prima del previsto. Effettivamente Torihada non ha fatto niente per non farsi espellere dal mondo della televisione. Ma espulso lui, in televisione non è più rimasto nessuno che parli di alcuni temi scomodi. Se non è questo il compito dei comici, chi altro lo deve fare? Direte voi: i giornalisti! Ma anche per loro la vita sarà sempre più dura in Giappone.

4. Angolo morto crescente


L’assenza di veri comici è legata inevitabilmente a un’altra importante assenza in Giappone, quella dell’opinione pubblica. Se chiedete alla gente per strada cosa significa “opinione pubblica” (in giapponese seron) molti non sarebbero in grado di rispondervi. Perché essa in Giappone è davvero molto impalpabile, quasi inesistente. In Giappone, semplicemente, non si discute. “È roba da vertici, da leader, da classe dirigente, noi cittadini comuni dobbiamo solo eseguire quello che ci dicono…” Questo è, anche se si stenta a crederlo, l’atteggiamento comune di molti giapponesi. Mancanza di senso critico? Certamente.
Sentenziare è facile, ma la realtà è complessa.

 

Come si fa a spiegare a qualcuno che non è accettabile l’idea che molte cose non siano da discutere? Anche molti argomenti che qui in Italia suscitano discussioni e polemiche continue laggiù rimangono indiscussi, come se i problemi non esistessero affatto: i diritti degli omosessuali (il matrimonio gay è proibito in Giappone come in Italia, ma da noi nemmeno se ne parla, anzi: quasi nessun gay ha il coraggio di manifestarsi come tale), la condizione della donna (siamo molto in basso sulla scala internazionale), le condizioni dei detenuti in carcere (nessuno in Giappone parla del carcere o dei detenuti, come se si pensasse che una volta che hai commesso un crimine sei un reietto e non sei più degno di qualsiasi attenzione umana), la pena di morte (in Giappone tuttora esiste e vengono eseguite esecuzioni ogni anno), il razzismo (non avendo che pochissimi immigrati sul territorio per ora nessuno ha dovuto discuterne, ma in realtà è un popolo che non ha mai superato l’esame in questa materia, e i trascorsi di espansionismo imperiale non depongono a nostro favore), la Difesa (abbiamo un vero e proprio esercito che ipocritamente chiamiamo “Difesa”, ma in Giappone la Costituzione proibisce espressamente di avere forze armate, quindi la sua presenza è chiaramente anticostituzionale), l’energia nucleare (dopo l’incidente di Fukushima è finalmente iniziata qualche discussione, ma è ancora molto debole e repressa sistematicamente dal governo, mentre ci vengono nascosti tutti i dati scomodi)… Sono tutti argomenti quasi mai discussi, né affrontati sui grandi media.

 

Rispetto alla società italiana o europea in generale, è come se avessimo un gigantesco angolo morto che non si deve guardare, di cui non si deve sapere né parlare. Anche in Italia esiste l’angolo morto, eccome! ma quello giapponese è molto più grande. Si estende sotto una repressione apparentemente soft, in realtà formidabile e invisibile e silenziosa, la stessa che è riuscita a eliminare man mano quasi tutti gli spiriti satirici. È una società che cova dentro di sé un enorme spazio di non-pensiero, dove puntualmente s’interrompe qualsiasi ragionamento.

 

Non è finita. Recentemente è stata varata una nuova legge sulla protezione dei segreti di stato che dovrebbe entrare in vigore entro un anno. Significa la morte annunciata del giornalismo che era già comunque molto debole. Significa che quell’angolo morto crescerà ancora smisuratamente.

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