Un gesto antico / Inginocchiarsi
Il ginocchio che premeva sul collo di George Floyd non era solo quello di Derek Chauvin e dei razzisti di tutto il mondo: era anche il ginocchio degli antenati. È così che da sempre gli uomini impongono la propria forza sugli animali, schiacciandone il corpo per impedirne i movimenti. In questo modo Mithra, un dio orientale venerato in tutto il mondo romano durante l’età imperiale, sgozza il toro puntandogli il ginocchio sul dorso.
Si è fatto così, per secoli, in uno dei più importanti riti contadini, l’uccisione del maiale. Il gesto è ben testimoniato nel Trecento da un Tacuinum sanitatis (una sorta di manuale di medicina); indifferente alla successione temporale, il miniatore descrive due uomini che macellano il suino, mentre il norcino con un grembiule bianco lo sta ancora uccidendo; una donna si china in avanti per raccogliere il sangue (la tazza e il recipiente servono in cucina per preparare i sanguinacci).
In una scena di Novecento (Bernardo Bertolucci, 1976) il rito che abbiamo visto nel manoscritto medioevale si ripete quasi identico; questa volta tre inservienti prendono per le zampe il maiale, poi interviene Olmo (Gérard Depardieu) con un grembiule bianco, preme il ginocchio destro sul ventre del maiale, e lo uccide.
Pensiamo il corpo come unità, ma lo avvertiamo anche come somma di più organi e di più parti. L’importanza di ciascuna di esse cambia a secondo delle latitudini e delle epoche. In Grecia il ginocchio ha un’importanza speciale, basta osservare quante volte ricorre in Omero. Le ginocchia – prima di tutto – sono elemento essenziale del rito della supplica: bisogna abbassarsi per abbracciarle e per baciarle (e nel frattempo si può sfiorare e accarezzare il mento).
Nell’Iliade, questa articolazione delle gambe appare spesso nelle scene di combattimento; un guerriero “mosse i veloci ginocchi per fuggire”; un altro “cadde in ginocchio e si appoggiò al suolo con la mano robusta”; l’espressione “sciogliere le ginocchia” ricorre più volte per indicare la conseguenza di una ferita mortale.
Ciascuna parte del corpo ha una sua morfologia naturale che, a sua volta, suggerisce un numero (limitato) di “tecniche del corpo”. In base ad esse, attribuiamo a questa o a quella parte una maggiore o una minore espressività; la mano ne è carica più del piede (che non ne è affatto privo), il volto più della mano. Il ginocchio ha la sua: è quella della forza, della costrizione, della minaccia. Non è casuale che nella Grecia antica gli schinieri – gli elementi dell’armatura destinati alla protezione della zona inferiore delle gambe – presentassero a volte – proprio in corrispondenza del ginocchio – il volto spaventoso e terribile della Gorgone.
Invece, posare il ginocchio a terra significa annullare la sua forza, rinunciare al movimento, dichiarare la propria intenzione di non nuocere. L’atteggiamento è sottinteso nel rito antico della supplica ed è ben presente nel mondo romano come segno di resa dei barbari sconfitti; ma è col cristianesimo che entra definitivamente nel codice della cultura occidentale. Il gesto appare nei vangeli come sinonimo di implorazione: “venne a lui un lebbroso e, buttandosi in ginocchio, lo pregò dicendo (…)” (Marco 1:40).
Come ci si inginocchia? Lo chiarisce, se ce ne fosse bisogno, un altro passo evangelico, quello della derisione di Cristo da parte dei soldati romani (Marco 15:19): “e gli percotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, mettendosi in ginocchio, si prostravano davanti a lui”; il testo greco (tà gónata) e quello latino (genua) chiariscono che si trattava di tutte e due le ginocchia. Questa infatti è la forma più completa di sottomissione e di supplica: l’iconografia cristiana ci offre innumerevoli figure di santi in questa posizione, in preghiera da soli nel deserto o davanti alla Vergine Maria.
Esiste però un’altra maniera di inginocchiarsi, ed è proprio quella che in questi giorni abbiano visto nelle manifestazioni e nelle celebrazioni seguìte alla morte di George Floyd: inginocchiarsi su una sola gamba. C’è differenza?
Nella Messa di Bolsena (1512), uno degli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane, un gruppo di cinque giovani assiste all’evento miracoloso: sono i “sediarii”, gli uomini che avevano il privilegio di portare a braccio la sedia su cui si spostava il papa, la sedia gestatoria. Eleganti nell’abito e nel portamento, si inginocchiano, in maniera ben diversa rispetto ai porporati alle loro spalle, su un ginocchio solo. I gesti non sono traducibili in parole (come pure ci piacerebbe), ma è del tutto evidente che questo è un inginocchiarsi a metà: è un rendere onore, è un celebrare, ma non è un totale sottomettersi, neppure un venerare.
Eccolo infatti in un dipinto che forse ha un suo posto nell’immaginario americano di oggi: lo sbarco di Cristoforo Colombo dipinto nel 1862 dallo spagnolo Dióscoro Puebla.
Da tempo, insomma, il gesto è uscito dall’ambito religioso; ecco perché negli Stati Uniti, già prima dei fatti di Minneapolis, è comparso più di una volta sui campi di football, durante l’esecuzione dell’inno nazionale; mentre tutti sono in piedi e con la mano sul petto, gli atleti inginocchiati introducono una secca discontinuità: celebrano così le vittime del razzismo e trasformano il gesto antico in segno di protesta non-violenta.