Parisi: la fisica per salvare il Pianeta
Prima che il conferimento del premio Nobel lo portasse alla ribalta, Giorgio Parisi aveva ricevuto nel 1992 un altro premio, per alcuni versi ancor più significativo, quello dedicato a Ludwig Boltzmann, il fisico tedesco strenuo difensore dell’atomismo, morto suicida nel 1906. Oltre ad aver dato fondamentali contributi nell’ambito della termodinamica, Boltzmann aveva aperto promosso, insieme a J. W. Gibbs, lo sviluppo della meccanica statistica, lo studio cioè dei fenomeni che coinvolgono grandi numeri, insiemi composti da una molteplicità di elementi in interazione, come le molecole di un gas. Non potendo determinare le singole traiettorie delle molteplici particelle che formano un sistema complesso, si deve ricorrere a metodi probabilistici, un lavoro che ha ricevuto contributi fondamentali dall’avvento dei computer. Non possiamo stabilire con esattezza il prodursi di un evento, come non possiamo prevedere la traiettoria di volo di un singolo storno fra le decine di migliaia che compongono lo stormo svolazzante nei cieli autunnali di Roma (un esempio caro a Parisi); possiamo però indicare la probabilità del prodursi di un processo, indicare la forma che potrebbe disegnare l’apparente caos dello stormo in fuga dagli assalti di un falco.
La “complessità” era diventata oggetto dell’interesse scientifico a partire dagli anni Settanta, anche se gli studi che ne avevano segnato l’inizio erano già emersi con gli articoli del meteorologo Edward Lorenz (occorre ricordare l’“effetto farfalla”?), risalenti al 1963 ma passati quasi sotto silenzio. Anche se c’era chi, come Carlo Emilio Gadda, narratore di dinamiche caotiche, aveva abbozzato, nella Meditazione milanese del 1928, fra mentalità ingegneresca e suggestioni filosofiche, una “teoresi” fedele al “senso della complessità” che rintracciava ovunque nella realtà. All’inizio degli anni Ottanta la rivista “Scientific american” dedicava un famoso articolo agli “attrattori strani”, sottotitolo “schemi matematici fra l’ordine e il caos”, firmato da Douglas R. Hofstadter, autore del libro di culto Godel, Escher e Bach (1979, Adelphi, 1984). Poi le ricerche nei diversi ambiti della ricerca scientifica e della filosofia si sono diffuse, insieme alle opere divulgative come il famoso Caos di James Gleick (Rizzoli, 1989). Con l’abituale cautela dello scienziato, Parisi ricordava però che il termine “complessità” va usato con prudenza e non come alibi per la nostra ignoranza: sistemi che non comprendiamo possono rivelarsi solamente complicati, manifestare un ordine soggiacente, offrirsi alla decifrazione di un algoritmo. Meglio riservare il termine “complessità” ad insiemi non omogenei e disordinati, ad esempio quelli che la fisica incontra a fine Ottocento quando Henry Poincaré riflette sul problema dei tre corpi, anomalia, per dirla con Kuhn, nel tessuto “armonioso” dell’universo newtoniano. Se può essere semplice descrivere l’interazione di due masse (ad esempio un pianeta e il suo satellite) in base alla legge di gravitazione, le cose si fanno appunto “complesse” quando consideriamo le reciproche interazioni fra 3 o più corpi: le soluzioni cominciano a essere approssimate, sfuggono al determinismo che consente di prevedere con certezza il momento di un’eclissi lunare o il passaggio della cometa di Halley.
Di un sistema complesso possiamo scrivere le equazioni, ma non riusciamo a integrarle; e questo perché basta cambiare di pochissimo le condizioni iniziali per ritrovarsi con un’evoluzione del sistema del tutto diversa. La scienza classica confidava nella possibilità di ripetere esperimenti in condizioni pressoché uguali, dalle stesse cause diceva di poter trarre gli stessi effetti. Facendo eco a quanto scriveva David Hilbert in seguito alla scoperta delle antinomie nella teoria degli insiemi – “siamo stati cacciati dal paradiso che Cantor aveva costruito” –, Parisi ricordava che anche i fisici sono stati “cacciati dal paradiso delle equazioni lineari” (Gli ordini del caos, manifesto libri, 1991). In fondo, Newton ha avuto fortuna o si è facilitato il lavoro: il semplice è in realtà sempre e soltanto il semplificato. In un sistema dal comportamento lineare, l’interazione fra due componenti è indipendente dal resto del sistema e la reazione di ogni componente è proporzionale alla perturbazione esterna. Così (riprendendo esempi di Parisi) nelle molle di buona qualità, l’allungamento è proporzionale alla forza, per cui se due persone utilizzano una bilancia possiamo prevedere che, pesandosi insieme, il valore sarà la somma dei loro pesi separati. Lo stesso accade quando calcoliamo il formarsi di due onde piccole che si incontrano: formano un’onda alta esattamente la somma delle loro altezze, per poi separarsi mantenendo l’altezza originaria. È per questo che un sassolino lanciato in un laghetto forma increspature perfettamente concentriche che si allargano allontanandosi dal punto di caduta. Ma se considero dei cavalloni marini che si scontrano, con l’acqua che schizza da tutte le parti e le onde che si frangono, il loro comportamento deve tener conto di altre variabili interagenti, come la presenza di altre onde, che finiscono per far perdere ai cavalloni l’energia iniziale e diminuire la loro altezza; il sistema è non lineare, e aspetti minimi possono provocare effetti imprevedibili e di ampia portata.
Un sistema complesso non è riducibile alla causalità classica in cui, come voleva la logica scolastica, l’effetto è proporzionale alla causa. È quanto Parisi ha mostrato nell’ambito di quegli strani oggetti da lui scoperti che sono i vetri di spin (spin glass); oggetti di laboratorio, “fattizi” direbbe Bruno Latour, leghe composte in gran parte d’oro e con una piccola percentuale di ferro. Ora, magnetizzandoli, gli atomi di ferro dovrebbero disporsi tutti secondo uno stesso orientamento, ma la presenza dell’oro fa assumere ai “magnetini” direzioni casuali, non uniformi. Non potendo esplorare tutte le possibili configurazioni di questa dinamica caotica, Parisi ha proposto modelli matematici e algoritmi che individuano gli stati energetici di energia minima e che consentono di calcolare le probabilità degli stati di energia superiore. Si tratta di modelli che hanno ampia applicazione, ad esempio per le configurazioni di ripiegamento di quei mattoni degli organismi che sono le proteine, o per le reti neurali, che cercano di simulare il complesso funzionamento del cervello umano senza ricorrere alla metaforica computeristica. Quando ci troviamo di fronte a sistemi complessi la non linearità risulta irriducibile, la sensibilità alle condizioni iniziali (come il battito d’ali della farfalla) rende in sostanza impossibile una predizione accurata. Possiamo però descrivere quale forma assumerà il disordine, verso quale attrattore strano si disporrà la dinamica caotica, quale isola d’ordine potrà apparire nel mare del disordine. Il che riguarda ambiti di realtà che vanno ben oltre il campo della fisica. Basti pensare a un ecosistema dalle risorse limitate dove convivono erba, conigli e volpi; la possibile evoluzione demografica può diventare caotica, anche se all’interno del disordine possono delinearsi isole di stabilità provvisoria (un equilibrio fra le componenti o l’estinzione di una specie).
Anche le ricerche di Parisi aprono alla scienza lo sterminato campo che dalla fisica si spinge verso il mondo del vivente. Non si tratta di riproporre l’antico sogno riduzionista, ricondurre quanto avviene fra gli organismi alle sottostanti interazioni molecolari o atomiche, semmai di prendere atto di quella “nuova alleanza” che il premio Nobel Ilya Prigogine affermava nel testo omonimo (1979, Einaudi, 1981). L’universo della materia che dicevamo inerte non è più quello del meccanicismo classico, obbediente servitore di leggi necessarie che impongono la ripetizione dell’identico, come avviene per i moti planetari. Nel contesto della natura ridotta a materia e moto la vita finiva per apparire un “miracolo”, evento prossimo all’impossibile, estraneo alle leggi di funzionamento dell’universo: era ancora questa la convinzione del biologo Jacques Monod, per il quale “il nostro numero è uscito alla roulette”, come scriveva in Il caso e la necessità (1970, Mondadori).
Sempre più oggi molti fenomeni biologici si comprendono in base a quelle dinamiche del caos che sono già attive in ambito fisico-chimico; in esse il caso convive con la necessità, il disordine non è solo stadio terminale (come voleva l’equilibrio entropico della termodinamica dell’Ottocento) ma può essere anche sorgente di forme ordinate (order from noise, secondo la formula di von Foerster), se non organizzate, come le strutture dissipative di Prigogine che si formano in condizioni lontane dall’equilibrio.
Lo stesso Parisi ricordava, sulle pagine di “il manifesto” (intervento raccolto in Dalle forze ai codici, manifesto libri, 1992; una delle sue poche pubblicazioni in italiano, in attesa dell’imminente ristampa di La chiave, la luce e l’ubriaco, Di Renzo editore, risalente al 2006), che molti ricercatori del passato – da Jam Watson, lo scopritore insieme a Francis Crick della doppia elica del DNA, a Salvador Luria – erano passati dalla fisica alla biologia. Ma, a differenza di quei ricercatori che avevano quasi rimosso la loro formazione, ora gli scienziati utilizzano le metodologie apprese in fisica nello studio dei sistemi complessi per affrontare il mondo del vivente, dalle strutture cellulari ai meccanismi dell’evoluzione, dalle dinamiche degli ecosistemi alle relazioni fra organismi ed ambiente. Si tratta di una svolta rilevante che segna la fine del predominio delle scienze “dure”, il cui modello eminente era l’andamento regolare del sistema solare. Ora il riferimento primario è passato alle scienze della Vita e della Terra, dove predominano sistemi complessi nei quali avvengono processi frutto di interazioni e scambi dagli esiti non del tutto prevedibili, come testimoniano l’ecologia e la meteorologia. La fisica classica mirava a rintracciare le leggi fondamentali della natura, a determinare i costituenti base della materia e le forze che agiscono su di essi, come fino all’altro ieri accadeva nello studio delle particelle sub-atomiche. Il nuovo “paradigma” muove dalla consapevolezza che conoscere le leggi che regolano i comportamenti dei componenti di un sistema non implica di per sé la comprensione del suo comportamento globale. Secondo l’esempio proposto da Parisi, dalle forze che agiscono fra le molecole dell’acqua non si deduce immediatamente che il ghiaccio sia più leggero dell’aria. La meccanica quantistica ci offre le leggi che regolano il comportamento di un elettrone, ma ancora non sappiamo offrire una spiegazione di come il comportamento collettivo degli elettroni dia luogo al fenomeno della superconduttività. La difficoltà non sta nel formulare leggi fondamentali, quanto nello scoprirne le conseguenze, sapendo che non si potranno semplicemente dedurre dalle leggi; non si può che ricorrere a leggi fenomenologiche in cui, oltre alle osservazioni, occorre procedere per intuizione e indizi (la logica del detective o del cacciatore), formulando ipotesi di lavoro via via da raffinare in base al controllo delle predizioni. Conosciamo molto delle reazioni biochimiche di un batterio in apparenza semplice come l’Escherichia coli, delle interazioni fra le migliaia di proteine che lo compongono, ma questo non basta a comprendere il funzionamento di un organismo vivente. Abbiamo svelato molti dettagli funzionali dei miliardi di neuroni che si agitano nel cervello, ma resta ancora difficile capire come i loro collegamenti disordinati attivino le modalità di pensiero.
Il problema odierno della biologia, notava Parisi, è come passare dalla conoscenza del comportamento dei costituenti di base alla deduzione del comportamento globale del sistema, un problema appunto tipico della meccanica statistica. La tradizione semplificatrice della fisica, che va in cerca di principi universali e necessari, si scontra con l’approccio del biologo che, anche con il supporto della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica, deve tener conto della dimensione concreta e singolare dell’esistente. I sistemi biologici non sono l’esito di una programmazione a tavolino, sono il frutto di un’evoluzione durata miliardi di anni, a cui hanno contribuito sia la selezione naturale che le mutazioni genetiche: gli organismi sono figli di circostanze passate al filtro dell’adattamento all’ambiente ed è questo a renderli unici.
Nella cerimonia improvvisata che si è svolta alla Sapienza alla notizia del conferimento del premio Nobel, Parisi ha ricordato che, entrando da studente nel 1966 nell’Istituto romano di Fisica, aveva raccolto l’eredità di una lunga tradizione scientifica, aveva potuto poggiare sulle spalle di giganti. Parisi ha insegnato Fisica teorica sia a Roma Tor Vergata che alla Sapienza e la prima cattedra di Fisica teorica in Italia era stata assegnata a Roma nel ’26 al venticinquenne Enrico Fermi, premio Nobel nel 1938, che poi guiderà “i ragazzi di via Panisperna”. Parisi ha condotto i suoi primi studi muovendosi nell’ambito di quella meccanica quantistica che Fermi aveva introdotto in Italia; e la fisica delle particelle subatomiche e della cromodinamica quantistica, a cui Parisi ha dato fondamentali contributi, era stato un campo su cui Fermi aveva lavorato nel dopoguerra, quando dirigeva la scuola di Chicago, mentre la “scuola romana” veniva proseguita da Edoardo Amaldi. Ma da allora la funzione della scienza ha assunto nuove connotazioni. Fermi ha collaborato senza pentimenti al progetto Manhattan per la produzione della bomba atomica, al punto che lo storico della scienza Giuseppe Bruzzaniti lo ha definito “il genio obbediente” (Enrico Fermi, Einaudi, 2007).
Convinto che la vocazione della scienza fosse di “spostare in avanti le frontiere della nostra conoscenza”, Fermi era un fervente sostenitore della neutralità della ricerca, il che lo induceva a ritenere che si dovessero lasciare ai politici le decisioni sull’utilizzo delle scoperte. Come uno dei suoi maestri, Marcello Cini, Parisi è stato a partire dagli anni Ottanta un collaboratore del quotidiano “il manifesto”; si è schierato con decisione per la sinistra ecologista e ha promosso, in qualità di presidente dell’Accademia dei Lincei, un’illuminata opera per sconfiggere l’analfabetismo scientifico in Italia. Dall’epoca in cui la fisica si lasciava sottomettere dal “potere della morte”, la Thanatocrazia di cui parlava Michel Serres, si è passati alla fisica che cerca di promuovere la salvaguardia del pianeta. Le ricerche di Parisi offrono modelli per la comprensione di quelle dinamiche complesse che sono in gioco nel cambiamento climatico, un campo su cui anche gli altri due altri scienziati premiati con il Nobel hanno dato importanti contributi. Syukuro Manabe ha dimostrato le implicazioni fra eccesso di anidride carbonica ed aumento della temperatura terrestre, mentre Klaus Hasselmann ha proposto modelli sulle variazioni climatiche, che trovano conferma nel moltiplicarsi di eventi atmosferici estremi.
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