23 maggio 1956 / Andrea Pazienza torna a Bologna
La casa dove abitava Andrea Pazienza è sulla via Emilia, nella periferia ovest di Bologna. Rispetto a come l’aveva disegnata lui, in una tavola de Gli ultimi giorni di Pompeo, diverse cose sono cambiate: al posto del bar sotto casa c’è un centro estetico, e dove una volta c’era un cinema (a luci rosse) ora c’è una banca, una delle tre che circondano l’edificio. Il traffico che sfreccia sulla strada forse è un po’ meno frenetico, ma siamo pur sempre sulla via Emilia. Da qualche anno il Comune ha messo una targa per ricordare che qui visse l’artista Andrea Pazienza, ma siamo troppo lontani dal centro perché questo luogo possa diventare una meta per turisti o per aficionados del fumettista. Del resto non c’è molto da vedere. Ecco perché la mostra Andrea Pazienza. Fino all’estremo, che si svolge dal 7 maggio al 26 settembre a Palazzo Albergati, nella centrale via Saragozza, è un po’ un ritorno per il fumettista che legò il suo nome al capoluogo emiliano fin dal suo esordio, Le straordinarie avventure di Pentothal, una specie di cronaca onirica della Bologna del ’77.
La mostra arriva in un momento particolare per la città. Non solo perché è una delle prime a segnare la riapertura di musei, teatri e cinema, ma anche perché in questi giorni Bologna sembra alle prese con il suo recente passato, e in particolare proprio con il periodo in cui Pazienza abitava qui. Dai cartelloni sulle strade compare la figura di Umberto Eco mentre chiede la parola durante un’assemblea al Dams. È uno scatto di Enrico Scuro e fa parte della mostra No Dams!, uno degli eventi che celebrano i 50 anni del Dipartimento di arti, musica e spettacolo dell’Università di Bologna, a cui anche Pazienza era iscritto. La mostra è al museo della Musica, che fu la prima sede del Dams, e in quelle ex aule c’è ancora il murale che raffigura Luciano Lama, il segretario della Cgil che fu allora contestato dagli studenti, in versione Frankenstein. La leggenda vuole che l’autore sia proprio Andrea Pazienza: che sia vera o meno, testimonia quanto il fumettista e la Bologna di allora siano inestricabilmente legati.
Perdonerete a questo punto una parentesi personale, ma con un fumettista come Pazienza credo sia non solo inevitabile ma quasi doveroso, in fondo una conferma di quanto la sua opera sia capace di toccare nel profondo. Vivere a Bologna per tanti anni, come ho fatto io, significa prima o poi incontrare qualcuno che ha conosciuto personalmente Andrea Pazienza. Sono sempre molto colpito dal modo in cui ne parlano queste persone, come se fosse successo ieri, con una memoria così vivida. E pensare che oggi (il 23 maggio) Pazienza avrebbe compiuto 65 anni.
Io sono arrivato dopo, ma sono comunque molto coinvolto, perché quando avevo 19-20 anni Pazienza è stato il primo autore a farmi pensare che fare i fumetti poteva essere una buona idea (ci avrei messo dieci anni buoni però!) e soprattutto che si poteva vivere e disegnare fumetti, mentre l’idea che avevo avuto fino ad allora dell’autore di fumetti era quella di un signore che sta chino sulla scrivania 12 ore al giorno. Come tante letture fatte da ragazzo, i fumetti di Pazienza hanno sempre avuto un posto d’onore nella mia libreria, ma in realtà li ho ripresi in mano molto raramente e sempre con una certa inquietudine. Ammettiamolo, con la paura di non ritrovare il fumettista che avevo amato allora, o di essere io cambiato (in peggio!). L’ultima mostra dedicata ad Andrea Pazienza a Bologna risale al 1997, in un’epoca pre-Pazienza per me (non l’avevo ancora mai letto), quindi è la prima volta che mi trovo di fronte alle sue tavole originali. Con tutta l’inquietudine di cui sopra.
Fino all’estremo si concentra sui personaggi creati dal fumettista – Pompeo, Zanardi, Pentothal, tutti e tre si muovono a Bologna – più che sul Pazienza personaggio. Camminando nelle sale della mostra si procede a ritroso nel tempo, si comincia quindi da Gli ultimi giorni di Pompeo, forse il capolavoro di Pazienza. Doveva essere un fumetto catartico, in cui raccontare la dipendenza dall’eroina. È per sfuggirle che Pazienza lasciò Bologna e si rifugiò a Montepulciano. Le cose sono purtroppo andate diversamente, e così Pompeo è diventato una specie di inquietante presagio.
Le tavole originali sono sorprendentemente piccole (un formato A5?) rispetto a come siamo abituati a vederle stampate, e in mostra sono accompagnate dalle stazioni della via crucis dipinte da Giandomenico Tiepolo a metà del ‘700 nella chiesa di San Polo a Venezia. L’urgenza con cui Pazienza raccontò questa storia risulta evidente dai disegni, spesso tracciati direttamente su carta quadrettata, con i quadretti che si fanno via via più fitti man mano che la storia precipita verso l’inevitabile conclusione. E dal modo in cui la mano di Pazienza – forse l’unico fumettista in grado di farlo – passa da uno stile all’altro, dal cartoon all’underground, anche all’interno della stessa tavola. Oggi non ci si farebbe nessun problema a raccontare in prima persona un’esperienza del genere, sotto forma di autobiografia dichiarata. Mi colpisce quindi che Pazienza si sia invece preoccupato di creare un personaggio: Pompeo è chiaramente Pazienza (anche fisicamente), ma rimane un personaggio di fiction, un "Pentothal qualche anno” dopo come lo definì lo stesso Pazienza, cosa che gli permette di morire alla fine della storia. È uno dei “tanti rovinati” dall’eroina: anche qui basta parlare con qualcuno che abbia vissuto a Bologna negli anni ’80 per sentirsi raccontare di quanto abbia colpito duramente l’eroina in quegli anni – c’è anche chi pensa che sia stata diffusa di proposito in città, per affossare il movimento. Pompeo in questo senso è un vortice che nelle sue tavole risucchia tutta la stagione precedente.
Questa capacità di Pazienza di creare personaggi/simbolo è ancora più evidente per quanto riguarda Zanardi. L’adolescente bolognese dai capelli biondi e dal naso aguzzo, sempre accompagnato nelle sue avventure dai compagni Colasanti e Petrilli, è un’antenna (come lo definiva Pazienza): perfido e intelligente, rispecchia la violenza della società in cui vive. Zanardi è cattivo, di più, è l’allegoria della cattiveria: come tale può muoversi tra le epoche, nella Bologna anni ’80, tra motorini e spacciatori, ma anche in un immaginario medioevo, e può perfino scontrarsi con il suo creatore! In mostra ci sono tavole da diverse storie realizzate da Pazienza nel corso degli anni. Ho sempre sentito parlare della noncuranza con cui Pazienza trattava i suoi disegni originali, mi sorprende perciò trovare in queste tavole poca sregolatezza e anzi una precisione e perfezione dell’esecuzione: le tavole di Verde matematico (personalmente la mia storia preferita di Zanardi) sembrano opera di un amanuense, incise fino al più minuscolo dettaglio. Anche le “pecette” – pezzettini di carta appiccicati sulla tavola per correggere gli errori, come si usava in quell’epoca pre-digitale – sono talmente perfette da risultare quasi invisibili.
Proseguendo il viaggio a ritroso proposto dalla mostra, torniamo al ’77 e all’esordio di Pazienza, quando il primo episodio de Le straordinarie avventure di Pentothal comparve su Alter Linus, praticamente in contemporanea con gli eventi del marzo bolognese. Sono solo 15 pagine, in realtà, ma quanto basta per costruire una mitologia della Bologna studentesca, fatta di movimenti, assemblee, file immense per le mense, concerti, sbronze, storie d’amore. La politica è presente, molto presente, ma è sullo sfondo, qui il 21enne Pazienza si dipinge come uno “tagliato fuori” dal movimento, schierato ma disimpegnato (o meglio non abbastanza impegnato). Bologna pian piano si forma, prima è un disegnino stilizzato alla finestra della camera di Pazienza, poi compaiono singoli elementi architettonici, e infine esplode in questa tavola con le due Torri e uno scontro tra studenti e forze dell’ordine sullo sfondo, e i portici di una immaginaria via Pier Paolo Pasolini in primo piano. Pentothal è anche un esercizio di stile nella costruzione delle tavole, e forse questa è una delle più riuscite. Dalle puntate successive Pentothal in realtà si stacca dalla realtà bolognese, diventa un viaggio onirico, una specie di Little Nemo in Slumberland, con Pazienza nella parte di Nemo. Ma quelle 15 pagine rimangono geniali.
Tra le oltre 100 opere esposte in Fino all’estremo c’è anche la tavola che chiudeva il primo capitolo di Pentothal, in cui il protagonista ascolta dalla radio le notizie di quei giorni. Completa la tavola una nota di Pazienza rivolta ai lettori: “Mentre lavoravo a queste tavole nel mese di febbraio ’77, ero convinto di disegnare uno sprazzo, sbagliando clamorosamente perché era invece un inizio. Ne avessi avuto il sentore, avrei aspettato e disegnato questo bel marzo”. Forse la radio disegnata da Pazienza è proprio Radio Alice, la radio del movimento che fu chiusa “in diretta” dalle forze dell’ordine, forse no, comunque in questi giorni Bologna ha perso un pezzo importante di quella stagione. La storica emittente Radio Città del Capo, che affondava le sue radici proprio nell’esperienza delle radio libere, ha cessato definitivamente le trasmissioni, dopo la vendita dell’ultima frequenza a un altro network (ed è scomparso anche il ricco archivio di notizie e podcast presente sul suo sito). Una storia piuttosto triste che ha raccontato bene il collettivo di scrittori Wu Ming.
Verso fine del percorso espositivo c’è una parete di specchi, con la firma Paz e la sagoma nera di Zanardi che impugna un bastone chiodato. Come a ricordarci che i personaggi di Pazienza non sono altro che questo, uno specchio, neanche troppo deformato, della realtà in cui il loro autore si trovava a vivere. In mostra c’è anche una vignetta che Pazienza disegnò sulle pagine di un diario: “Quando sto bene disegno malesseri, quando sto male benesseri”, dice un Pazienza dal naso spropositato. “I miei biografi impazziranno”.
Tutte le opere di Andrea Pazienza sono state recentemente riproposte in nuove edizioni curate da Coconino Press.