Je ne sais quoi / Una epifania dopo l'altra
Carissima Signora. Giacché mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti li Signori Ragazzi della Vostra Conversazione, ma la Neve mi ha rotto le tappe e non mi posso trattenere. Ho pensato dunque di fermarmi un momento per fare la Piscia nel vostro Portone, e poi tirare avanti il mio viaggio. Bensì vi mando certe bagattelle per cotesti figliuoli, acciocché siano buoni ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest'altro Anno gli porterò un po' di Merda.
…
La Befana (Giacomo Leopardi)
Questa deliziosa letterina, scritta da un dodicenne Leopardi alla Signora Marchesa Roberti, e che apre l'epistolario leopardiano nell'edizione Binni-Ghidetti (mentre il Moroncini la riporta in appendice), ci consente di ricordare anche, nel contempo, un grande scrittore che ci ha lasciato quest'anno: Alberto Arbasino. Egli infatti la usa come esergo di uno dei suoi libri più belli, Un paese senza (1980).
Comunque la letterina, che prosegue poi con una curiosa proposta di lotteria dei doni (con numeri estratti da un “Orinale”), per quanto segnata da una sorta di compiacimento infantile per le “brutte parole”, ci ricorda il legame indissolubile tra Befana e Dono.
Approfondendo un po', ma solo un po', io vorrei sottolineare il nesso tra epifania e dono.
Tutti sappiamo che befana è deformazione di epifania.
E questa parola, letterariamente, ha una nobilissima applicazione in Joyce. C'è un eccellente scrittore italiano, che casualmente faceva il critico, che ha dedicato splendide pagine al concetto di epifania in Joyce; si tratta di Giacomo Debenedetti, in Il romanzo del Novecento.
Qui viene rievocato l'episodio descritto nel postumo Stephen hero, là dove il protagonista, assistendo al dialogo tra una “signorina” e un “giovanotto”, viene assalito dal pensiero che quella triviale scenetta potrebbe essere una epifania e che ci sarebbe stata la possibilità di raccogliere molti di quei momenti “in un libro di epifanie”.
Ma che cos'è dunque l'epifania per Joyce?
“Per epifania Stephen intendeva un'improvvisa manifestazione spirituale, o in un discorso, o in un gesto, o in un giro di pensieri, degni di essere ricordati. Stimava degno per un uomo di lettere registrare queste epifanie con estrema cura”.
Debenedetti precisa che per uno scrittore, del Novecento, quello che conta è rappresentare fatti di per sé insignificanti, non più solo elementi significativi, come per uno scrittore pre-novecentesco; ma questi oggetti sono solo apparentemente insignificanti; in realtà essi “epifanizzano”, possiedono un potere manifestante: rivelano qualcosa che va oltre. Oltre la loro superficiale assenza di valore. Verso un valore più profondo, occulto, che li trascende e li giustifica allo stesso tempo.
Se c'è un poeta che ha portato all'estremo questa ricerca delle epifanie, beh, questo è, si sa, Montale.
Tutte le sue poesie brulicano di parole come “lampi”, “guizzi”, “baluginii”, “scintille”, “vampe” e così via.
Sono gli equivalenti visivi delle “Occasioni”, quei momenti privilegiati, ancorché a tutta prima banali, che rivelano. Rivelano il senso riposto degli eventi. La realtà vera, dietro la speciosa scena del mondo.
Il poeta è un cacciatore di barlumi. Perché il barlume illumina, anche se solo per un istante, la verità, la quale si dà solo a tratti, per frammenti, frantumi, schegge di luce.
È un po' come nella bellissima poesia di Baudelaire, dove una passante misteriosa che attraversa una caotica via cittadina è paragonata al fulmine che squarcia la tenebra: “Un éclair, puis la nuit”: un lampo e poi la notte.
Bene. Fin qui la letteratura.
Adesso però basta con i poeti, i libri, le pagine di cui tuttavia continuiamo a nutrirci avidamente.
Io vorrei augurare a tutti, e a me stesso, un anno pieno di epifanie. Un anno che ci doni tanti attimi distinti, ricco di tanti giorni segnati con la pietruzza bianca, nel corso dei quali non ci capiti niente di eccezionale, tranne che un'epifania dopo l'altra. Una miriade di fatti impercettibili, insignificanti, triti e ritriti, ma in cui noi riusciamo a cogliere, anche se solo in modo intermittente, una rivelazione che ci illumina.
Può essere una piuma che vola e che disegna nell'aria una figura amata. Può essere il raggio che gioca a rimpiattino tra i mobili. Può essere il rimando dello specchio di un bambino, dai tetti.
Oppure un bassotto festoso che latra nell'afa con la sua voce fraterna. O il ramarro che attraversa la strada improvviso in un giorno di canicola. O qualunque altro nonnulla, in cui però noi, per un istante, afferriamo l'essenza del tutto.
Buona epifania a tutti