Image Capital: visione e potere
Una mostra, ma prima ancora un progetto di ricerca, che rivela un’idea di partenza intelligente e utile per comprendere come la fotografia si coniughi oggi sempre di più con il potere e con gli sviluppi industriali ed economici più avanzati. Image Capital non è infatti tanto una mostra di fotografie quanto sulla fotografia, su come sia divenuta e stia divenendo sempre di più una vera e propria forma di capitale e valore grazie ai suoi innumerevoli utilizzi legati allo scambio e all’uso di informazioni visive all’interno dei processi di produzione in ambito scientifico, culturale, industriale e più in generale produttivo.
Curata da Francesco Zanot presso la Fondazione Mast di Bologna (fino all’8 gennaio 2023), la mostra nasce da un lavoro a più mani tra il fotografo Armin Linke e la ricercatrice dell’Università di Basilea Estelle Blaschke, ideatori di questo progetto. Se a Linke va il merito di presentare una serie di video e immagini attuali, dal taglio documentario e incisivo, a Blaschke quello di aver scritto vari testi, trovato interviste, immagini d’archivio e pubblicazioni e altri oggetti originali utili a ricostruire come già nel passato la fotografia potesse divenire un utile alleato negli ambiti sopra indicati.
Tra i molti spunti significativi la sua ricerca evidenzia, ad esempio, come intorno alla metà del Novecento, fosse diffuso un uso della fotografia in funzione dello sviluppo economico impetuoso di quegli anni, quando i processi gestionali e amministrativi di aziende e istituzioni si stavano espandendo e necessitavano di essere ottimizzati. Simbolica al riguardo è una pubblicità della Recordak del 1955 dal titolo decisamente esplicativo: “Tutti questi assegni in 30 metri di rullino. Un bel risparmio”. Pubblicità che presenta una fotografia ancor più esplicita, in cui una giovane donna mostra un rullino che sta nella sua manina, mentre di fronte a sé ha una montagna di ingombranti assegni cartacei che occuperebbero un armadio.
Meglio memorizzarli tramite fotografie che stanno in un rullino o tenerli in originale occupando spazi che costano e ingombrano? Come si capirà, tale messaggio anticipa di un bel po’ gli inviti, ormai sempre più pressanti, a servirsi sempre meno della carta, per privilegiare sempre più l’immagine digitale da scambiare via e-mail, visionare sullo schermo del computer o mostrare dal cellulare. Nonostante la loro diversità, tutti questi materiali – video, fotografie, testi e altro ancora – vengono nella mostra presentati senza gerarchie, né ordine cronologico, per offrire agli spettatori un’esperienza immersiva, stratificata e soprattutto aperta come sono aperte e in divenire le dinamiche in continua trasformazione che mettono in luce.
Che questa mostra s’impegni a presentarsi più come una ricerca in divenire, protesa a sottolineare come la fotografia sia un oggetto “mutante” e duttile, lo dimostra il fatto che non vi sono esposte fotografie nel modo in cui così vengono abitualmente presentate, cioè appese ai muri, incorniciate per bene o valorizzate per la qualità della loro stampa. Armin Linke, ci tiene, ad esempio, a dichiarare che le sue opere (per altro presentate in modo egregio) vanno intese come installazioni, e che proprio per questo non ha voluto venissero appese, ma solo appoggiate ai muri o sorrette da basamenti.
Molte immagini d’epoca sono stampate inoltre su strutture di vetro che tolgono loro un tono vintage per dargli un tocco più immateriale, così come immateriali sono le foto contemporanee che si possono cancellare con un click. Non si pensi però di trovarsi di fronte a una mostra confusa o labirintica: convinti giustamente – come scrive Zanot nel piccolo catalogo della mostra – che «nella società capitalistica la fotografia non domina soltanto l’immaginario, ma molto di più», perché il suo uso e potere ha «fondamentali ricadute sul piano economico e politico», curatore e autori hanno diviso il percorso in 6 sezioni per iniziare una sorta di ricognizione sul potere semi occulto – e finora poco indagato – del mezzo fotografico.
Abbiamo dunque la sezione Memory, dedicata alla capacità delle immagini di immagazzinare informazioni ed estendere la memoria dell’uomo in molteplici direzioni. Poi troviamo Access, sezione sulle nuove modalità di archiviazione, indicizzazione e reperimento delle immagini: dai bei vecchi archivi coi loro cassetti ben numerati (come si può vedere da un’immagine di Armin Linke scattata alla Fototeca di Firenze) si è infatti passati a complessi sistemi basati su diversi tipi di metadati, come parole chiave, hashtag e dettagli tecnici che le rendono sempre più accessibili e pervasive.
La sezione Protection indaga invece le strategie per la conservazione a lungo termine sia delle immagini sia delle preziose e molteplici informazioni che contengono. Veniamo così condotti nel sito di stoccaggio e conservazione dell’Iron Mountain (Pennsylvania, USA): un immenso deposito sotterraneo (ricavato in una ex miniera di calcare), dove lavorano oltre 2500 persone e sono conservati documenti e dati di circa 2300 clienti tra cui enti governativi (come l’ufficio Brevetti e gli Archivi Nazionali degli Stati Uniti), società private, musei e società di comunicazione. Una foto del 1955 mostra l’ingresso della miniera prima che venisse riconvertita. Armin Linke ne documenta l’esterno dove campeggiano mura di pietra viva che rendono il sito praticamente invisibile a chi non ne conosce l’esistenza.
Poi lui penetra all’interno e in uno dei caveau ci rivela dove viene conservata la celebre lastra della fotografia Lunch atop a Skyscraper (1932) di Charles C. Ebbets, in cui si vedono undici operai che, sospesi su una trave al 69° piano del Rockefeller Center in costruzione, pranzano assieme indifferenti all’abisso che sta sotto di loro. Riprodotta praticamente ovunque, attribuita a Ebbets solo nel 2003, tale fotografia evidenzia quanto sia importante conservare e proteggere dati che legittimano il diritto di proprietà e quindi i guadagni connessi al relativo copyright.
Tale immagine di Linke si trova però nella sezione Currency, dove viene sottolineato come fotografie riconducibili a dati e metadati siano divenute una merce di scambio da sfruttare a fini estremamente diversi: contribuire alla ricerca scientifica, alla sorveglianza, alla pubblicità e altro ancora. E questa foto di Ebbets, conservata qui, immaginiamo che sia stata una fonte di guadagni notevoli legati al diritto d’autore: ha infatti funzionato ampiamente come pubblicità, è stata proposta in forma di scultura e pure trasformata in un modellino dalla LEGO, tanto per fare qualche esempio sul suo uso pervasivo, e sulle sue possibilità di essere “monetizzata”.
Con la sezione Mining si entra nel mondo delle fotografie usate per controllare e migliorare la produzione e la distribuzione delle merci. Qui, grazie alle immagini di Armin Linke, ci si può fare un’idea precisa e non astratta di come venga usata la computer vision: ovvero masse di immagini indicizzate che consentono lo sviluppo di software per il riconoscimento e che operano come un “occhio intelligente”, capace non solo di vedere ma anche di capire e agire in modo “autonomo”. Sempre più diffusa e utilizzata nei campi dell’ingegneria e dell’industria manifatturiera, la computer vision – come dimostrano una volta di più le fotografie e i video di questo autore – viene ampiamente usata anche nell’industria agraria.
Linke ci mostra, ad esempio, in che modo l’azienda Ter Laak Orchids (Olanda) la usi quale strumento di differenziazione ottica per analizzare la dimensione di ogni pianta di orchidea, stabilire la fascia di prezzo e il mercato di destinazione sulla base dei gusti rilevati dei consumatori di ogni paese: così in Italia arrivano piante già perfettamente fiorite, mentre nel nord Europa quelle che presentano più boccioli. Vedere questi fiori visionati e smistati in modo ipertecnologico, per di più in un ambiente asettico come un ufficio, fa francamente impressione, e soprattutto fa comprendere perché i Paesi Bassi abbiano conquistato una posizione leader nella produzione vivaistica.
Tanto per dare un’idea, gli olandesi vantano una esportazione intra ed extra UE del 70/%, con un giro di affari di più 7 miliardi di euro (contro i circa 630 milioni di euro dell’Italia che pure si classifica al secondo posto per quanto riguarda l’esportazione). La concorrenza oggi, a parte le nicchie basate sulla qualità e l’originalità dei prodotti, si gioca quindi sempre di più sulla ricerca, sulla capacità di investire nelle tecnologie più avanzate.
Ma torniamo alla mostra che, con la sesta e ultima sezione Imaging analizza come la fotografia fin quasi dai suoi esordi possa visualizzare processi e situazioni che non riescono ad essere percepiti dall’occhio umano (e qui basti pensare agli esperimenti cronofotografici realizzati da Eadweard Muybridge ed Ètienne-Jules Marey per studiare i movimenti di uomini, animali e oggetti). Il tutto anche grazie anche a emulsioni fotosensibili capaci di rilevare tracce di radioattività o radiazioni cosmiche, come dimostrano le ricerche del fisico italiano Giuseppe Occhialini (1907-1993).
Luminare nella ricerca scientifica, fuggito in Inghilterra nel 1944 a causa del regime fascista, Occhialini studiò i raggi cosmici grazie a speciali emulsioni fotografiche che permisero alla sua equipe di lavoro di raggiungere risultati di portata fondamentale nel campo della fisica spaziale. Oggi le capacità di visualizzazione della fotografia si sono invece spostate verso sofisticate pratiche di rendering digitale e modellazione degli oggetti usati nell’architettura, nell’industria dei videogiochi ma anche nell’ambito delle simulazioni aereodinamiche legate alla progettazione di auto, aerei o barche.
Grazie a un’immagine scattata nella High-Performance Computing Center di Stoccarda, Linke fa comprendere come non ci sia più bisogno o quasi dei tunnel del vento per testare un’auto. In questo centro all’avanguardia, infatti, tutte le fasi di sviluppo e test si svolgono in tempo reale sulla base del modello digitale dell’automobile, coinvolgendo ingegneria, design e marketing aziendale in un lavoro collettivo basato sulla simulazione. Come scrive giustamente Zanot: «Anziché essere soltanto i soggetti delle fotografie, gli oggetti del nostro mondo vengono oggi costruiti sulla base delle fotografie stesse e delle loro rielaborazioni, invertendo un rapporto precedentemente unidirezionale».
Questa mostra/laboratorio ci auguriamo sia una sorta di inizio per indagare come l’uso di sempre più sofisticati (e a volte anche perturbanti) modelli di visione risulti decisivo non solo nell’industria, in ambito scientifico e culturale, ma anche, più in generale, nella gestione stessa del mondo.
Basti pensare al loro utilizzo nel campo del controllo sociale (tra telecamere di sorveglianza, body scanner ovvero screening di sicurezza usati negli aeroporti che permettono ispezioni corporali senza alcun contatto fisico con gli addetti alla sicurezza, e dispositivi di riconoscimento facciale) o in quello militare (dai simulatori per l’addestramento alla tecnologia thermal imaging che capta, in situazioni invisibili all’occhio umano, le differenti lunghezze d’onda emesse dai corpi; dagli aerei teleguidati all’uso dei droni, che – come dimostra l’attuale guerra tra Ucraina e Russia – sono divenuti sempre più determinanti per il dominio del territorio e il controllo dei movimenti del nemico). Insomma, gli strumenti di visione “aumentata” o digitale, come chiaramente ci rivela questa mostra, si stanno sempre più intrecciando con il potere economico e politico. Sarà il caso di tenerne conto.
Armin Linke, CERN, Large Hadron Collider (LHC), cablaggio, Ginevra, Svizzera, 2019.