Il male scaltro di Léo Malet
“Ti amo. Non abbiamo a disposizione che queste parole che sono state usate e strausate, pronunciate da labbra impure e grondanti di menzogne…” Non sono le frasi struggenti di un romanzo sentimentale, ma una parentesi inattesa e malinconica di un duro romanzo francese noir, “La vita è uno schifo del 1947 che fa parte con Il sole non è per noi e Nodo alle budella della Trilogia Nera di (Fazi 2022). Uscirà soltanto nel 1969 con la copertina di Magritte e con l’impegno di un editore controverso, Eric Losfeld, noto nell’ambiente dei post surrealisti per aver ospitato opere discusse e marginali come quelle di Boris Vian, o fumetti, horror, scritti erotici come Emmanuelle. L’autore di questi romanzi è Léo Malet, gloria nazionale del poliziesco, celebrato come il padre del “néo-polar”, colui che ha sdoganato “l’hard boiled” americano.
Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale il romanzo poliziesco entra in crisi per le difficoltà di accedere alla produzione anglosassone e Malet intravede l’opportunità di inserirsi in quelle pagine divenute silenziose. Da Montpellier, in cui era nato nel 1909 e cresciuto da un nonno anarchico ed anticonformista, nel 1925 raggiunge Parigi dedicandosi alle più svariate attività per sbarcare il lunario, da venditore al dettaglio ad assistente regista, da imballatore presso Hachette a chansonnier nel cabaret “Poète Pendu” gestito con la moglie Paulette.
Casuale è l’incontro con il surrealismo e Malet così l’ha raccontato: “Ero andato a consegnare un bidet in rue de Clichy, c’era una libreria con La révue surréaliste in vetrina. L’ho comprata, ho approfondito”. Gli si spalanca un nuovo mondo: addentrarsi nell’universo del crimine sotto l’influsso surrealista, utilizzare il poliziesco per fini ‘poetici’. Stringe amicizia con Breton, Bataille e grazie al Prévert sceneggiatore compare in film celebri, “Il porto delle nebbie” e “Alba tragica” di Marcel Carné, il “Casco d’oro” di Jacques Becker, e anche in “Il viaggiatore di Ognissanti” dal romanzo omonimo di Simenon.
Al rientro da Amburgo dove fu detenuto per diciotto mesi a causa del passato trotskista, scrive il suo primo libro, 120, rue de la Gare dove compare Nestor Burma, detective bohémien, cinico, anarchico, seduttore seriale, titolare di un’agenzia investigativa dall'insegna programmatica ("Fiat Lux"). Nestor Burma è la maschera del suo autore con la predilezione per il culto di Bacco/Tabacco/Venere, munito di una vecchia auto scassata, dall'argot insolente e dal pedigree politico di chi ha combattuto nella Guerra di Spagna, conoscitore analitico della Parigi notturna ancora ferita dalla guerra e dall’occupazione nazista. Pur fumando la pipa, con il fornello a testa di toro come Malet, non ha nulla a che fare con il corposo, incorruttibile e casto Maigret, salvo per la “pietas” amara e dolente verso i perdenti, i più poveri, i disgraziati.
Con fatalismo sostiene che non bisogna giudicare l’umanità, ma cercare di coglierne l’ambiguità sotto le apparenze, convincersi che tutto è imprevedibile e nulla è come sembra. Non crede in nulla, non sopporta di essere gabbato, sembra distratto ma nota ogni particolare. È un antieroe simpatico, uno screanzato spregiudicato incarnato da svariati attori su schemi e teleschermi. Molti appassionati però lo avrebbero visto volentieri nei volti di Yves Montand o Jean-Paul Belmondo.
Malet si fa così promotore, in generale, di una rottura, di un cambiamento di atmosfera e i gialli da salotto vengono messi in soffitta. Nella struttura classica del giallo le forze del bene e della ragione alla fine trionfano, la scoperta del criminale consente di ripristinare l’ordine sociale infranto. Esistono regole: con la razionalità il detective ricostruisce i meccanismi del delitto, insegue il colpevole, riporta ordine nel caos. Il “noir” invece non segue programmi, è un territorio in cui il bene e il male non sono facilmente distinguibili e i protagonisti attraversano il delitto senza ricomporlo. L’attenzione si concentra sulla vittima, protagonista di una discesa senza ritorno perché ritorna al punto di partenza.
La narrazione vuole sviscerare il contesto in cui è maturato il crimine, le sue cause sociali o psicologiche, immergendosi nel torbido e nell’oscuro dell’animo umano. L’investigatore non è un giustiziere che incarna verità e infallibilità, ma una persona suscettibile di errore, esposta ai sentimenti e alle emozioni. I confini tra il bene e il male appaiono appannati, confusi e il lettore viene condotto nell’universo disturbante e angoscioso di un reale che è nella società, malgrado si tenda a esorcizzarlo. “Nel giallo tradizionale il delitto è un evento eccezionale che altera provvisoriamente l’ordine sociale costituito. Il noir invece si pone come narrativa della disillusione, dell’innocenza perduta, della salvezza impossibile.”
La Trilogia Nera entra a pieno titolo in questa visione dominata dalla poetica dei perdenti, da un male scaltro che si annida nel lato oscuro dell’apparente normalità, che predilige la meschinità degli esseri umani.
La vita è uno schifo del 1948 narra la vicenda di un giovane, Jean Freiger, che entra in una banda di anarchici in clandestinità diventando assassino per un amore sfortunato e la disperazione che ne segue. Rimane solo, vive una vita schifosa, scivola sempre più in basso, il destino non gli lascia scampo, i delitti sensazionali e sfrontati sono utili solo per un effimero compiacimento nel leggere i giornali del giorno dopo. L’amore per una donna bella e sfuggente sembra far sorgere una speranza, ma anche amare è una follia inutile e una disperazione.
Le turbe lo squassano, è inutile anche l’intervento di un medico, tutto finisce nella sconfitta perché “la vita è uno schifo e il colore che la circonda è il nero.” Jean attraversa la vita lasciando alla sua pistola il compito di pareggiare i conti con un’esistenza sgangherata. Questo viene raccontato quasi con noncurante e tagliente cinismo, non senza momenti di amara ironia e sarcasmo.
Il sole non è per noi del 1949 è un romanzo di formazione che culmina in una storia d'amore tenerissima, folle, autodistruttiva. André Arnal è un minore che conduce una vita di espedienti, è senza famiglia, entra in prigione per vagabondaggio. Il suo destino è segnato: quando si apre la porta del carcere scende più in basso e nasce in lui una rabbia incontrollabile, fine a se stessa, senza la luce di un riscatto sociale. André segue un itinerario di sangue e di omicidi, sembra intravedere sponde che in realtà si rivelano abbagli. Nemmeno l’arrivo dell’amore riesce a salvarlo da un destino segnato.
Nodo alle budella del 1969 descrive Paul Blondel che ha lo stesso destino di André e Freiger, ribelli contro la società senza esito, in lotta con il male commettendolo. Paul entra in una banda per amore di una donna, cresce di ruolo come delinquente, vittima di ossessioni e di amori sbandati fino alla caduta e all'autodistruzione.
I romanzi raccolti nella Trilogia, scritti in prima persona come memoriali autobiografici, sono una sorta di palinsesto su cui il noir francese ha potuto trovare le proprio linee guida, rappresentando un territorio narrativo dove “ci sono l’azione, l’angoscia, la violenza, i pestaggi e i massacri e gli stati d’animo che si traducono in gesti; l’amore, spesso animalesco, la passione senza freni, l’odio senza misericordia si esprimono in modo ben poco accademico in cui fiorisce dappertutto, rosa o nero, lo humour” (Gosetti, I colori del nero, Mysfest, 1989). I tre giovani protagonisti hanno un destino comune, un'identica qualità della voce, rauca, ritmata dall'argot, laconica perché narcotizzata da fumo e alcolici, conducono una vita tra interni claustrofobici, camere d'affitto e tavoli di squallide trattorie dove sulla tovaglia cerata i fondi di bottiglie e i bicchieri disegnano cerchi violacei e spettrali.
Sono fratelli nella sventura, vittime di un destino a cui non si può sfuggire, predestinati a una vita breve, attratta inesorabilmente da un abisso di violenze, ossessionata dal sesso e il cui tessuto connettivo è fatto solo di angosce e cupezze. I loro fallimenti inducono a un’amara compassione perché si capisce come ogni loro sforzo di redenzione sia destinato all’insuccesso, predestinati alla sconfitta come mosche intrappolate nella ragnatela. Tutti e tre sono travolti dal desiderio e dalla voglia di affermarsi in un mondo che li respinge e li ritiene soltanto feccia umana. Tenteranno di dare una svolta alle loro esistenze ma nessuno ci riuscirà, irretiti in un mondo senza luce.
Lo squallore ambientale, il contesto di miseria, il senso di una sconfitta preventivamente annunciata per la legge del più forte. Lo sfondo è Parigi, ma se la Parigi di Simenon ha una topografia scontata, la città di Malet ha contorni sfumati ma incombenti, gravidi di nebbie e di ombre (Marchetti, La Parigi di Malet, Assoc. Il foglio, 2016). Non è una città da riconoscere con lo stradario, ma una giungla ostile, un labirinto infernale, un fondale "crudo e ironico". Lo scrittore dichiara di amare Parigi, aggiungendo però di non avere alcuna inclinazione a consumare le suole sui suoi selciati. Dunque quella città sulfurea, dove il sole è assente o malato, è il solo contesto possibile per le storie della Trilogia nera.
Malet, che morirà nel 1996, vive assillato da un cruccio: essere stato escluso dalla “Série Noire”, l’edizione di romanzi polizieschi francesi più prestigiosa, fondata nel 1945 da Marcel Duhamel, che svolse un ruolo rilevante di rinnovamento, importando in Francia i grandi classici americani come Hammet e Chandler intrisi di violenza urbana e di turbamento quali tragiche eredità della guerra. Il programma della serie è chiaro: niente indagini all’anglosassone, niente morale o buoni sentimenti: “Il detective simpatico non sempre risolve il mistero, spesso non c’è neanche mistero.
Ci sono angoscia, violenza, pestaggi e massacro”. Nel 1957 Duhamel scrive sul talento di Malet riconoscendolo innegabile, aggiungendo però che le trame sono troppo fantasiose per la serie che dirige. “L'autore dà l'impressione di non credere alle sue storie, di esitare tra il romanzo populista, il pretendente e la polizia. Ad esempio Il sole non è molto accattivante per noi, ma così com'è: troppo sistematicamente scuro e un po' troppo improbabile. Peraltro, il genere investigativo della polizia non è la nostra specialità”. Scelte editoriali che non hanno intaccato il successo di un autore irregolare, scomodo, ribelle, divenuto e rimasto di culto negli anni. Per questo siamo lieti di rileggerlo.