Donne inadeguate
Dietro la storia de Le piene di grazia (Rizzoli 2015) sembra di cogliere gli echi delle molte donne vittime di violenza. È un grido forte, ma composto. Il silenzio delle pinete e il frinire delle cicale nascondono un terribile segreto, ma il suono dei lamenti risulta ovattato dalla bellezza del paesaggio, da una piccola comunità apparentemente integra e inoffensiva. Ritornano in mente i lucenti campi di grano tra i quali era imprigionato il bambino-ostaggio del celebre Io non ho paura di Niccolò Ammaniti. L’ambientazione del romanzo infatti rassicura e spaventa contemporaneamente; è lo specchio di un' Italia del sud chiassosa e stereotipata che preferisce celare i suoi soprusi nel silenzio dell’omertà.
La realtà tratteggiata dall'autrice da una parte si rivela una piacevole madeleine che riporta involontariamente alla memoria il folklore del meridione, il pane con le olive e le buffe superstizioni di paese, dall'altra prende la forma di una vicenda di cronaca in cui si consuma un atroce femminicidio. Tra processioni e pranzi domenicali – “Ho mangiato la pasta e il bis della pasta. Ho mangiato le salsicce e le braciole. I peperoni, il formaggio, il salame. Ho mangiato tutto, ma al dolce non ce l’ho fatta” – si colloca la tragica storia di Maria Rosaria una ragazza timida, dalla bellezza virginale, innamorata e incinta dell’uomo sbagliato. La famiglia del fidanzato Cosimo, non accettando la gravidanza e lo scandalo che ne deriverebbe, decide di rapire la giovane per costringerla ad abortire. “Volevi prenderti mio fratello, noi ci prendiamo tuo figlio” – dice infatti Nunziata, sorella di Cosimo e principale artefice del rapimento. La “vergogna” deve essere insabbiata e allontanata dai perfidi giudizi della comunità. Violenze e umiliazioni però sfuggiranno al controllo degli improvvisati aguzzini e la giovane pagherà il suo “errore” con la vita. Unico sostegno di Maria Rosaria, durante i giorni che precedono il suo omicidio, è la sorella Palma che dopo otto anni deciderà di vendicare l’assassinio (rimasto impunito) uccidendo lei stessa Nunziata, carnefice della sorella. “Palma è brutale e piena di pudore” pensa Maria Rosaria, e questa frase esplica perfettamente il fondamento contradditorio delle protagoniste del romanzo, donne vulnerabili e dignitose pronte però a compiere brutalità al pari degli uomini, indiscussi detentori del potere in una società retrograda in cui i più semplici diritti umani vengono quotidianamente calpestati.
Società che è sempre stata maschile – tornano in mente le celebri parole di Simone de Beauvoir, – e in cui il potere è sempre appartenuto agli uomini. Ma queste donne vittime di soprusi, sono anch'esse capaci di violenza, come se la cultura degradata che le accoglie fin dall'infanzia fosse perfettamente interiorizzata nel loro essere vittime e carnefici. La scrittura è asciutta, secca. La tragedia delle protagoniste è vissuta con pacata disperazione. Maternità, omicidio e vendetta sono le forze primitive e ataviche che percuotono la vicenda, ma nonostante ciò spicca una sorta di quiete, un “brutale pudore”, la silenziosa rassegnazione di chi in fondo già conosce la propria sorte.
C’è chi invece non conosce predestinazione, anzi, sembra che il proprio destino lo costruisca da sé “con le unghie e con i denti”; è il caso delle originali protagoniste del romanzo Malefica luna d’agosto (Fazi Editore 2015), saga famigliare, dall’evidente ispirazione marqueziana, ambientata in una maremma toscana esageratamente luminosa, tra gli ultimi eredi di una nobiltà decaduta. Al centro della narrazione si situa Villa Guastaldi, che a volte risulta una vera e propria entità animata; ricercata nell’architettura e circondata da una natura variopinta e lussureggiante, la villa sicuramente non passa inosservata così come coloro che vi abitano.
Nella famiglia, in cui le donne sembrano detenere l’autorità, spicca la figura di Donna Marisa, madre e casalinga per scelta. Donna Marisa è un personaggio ricco di vitalità ed esprime costantemente allegria e spensierata leggerezza. Ama la vita con tutti i suoi piaceri, è di una bellezza strepitosa e inganna la noia con giovani amanti di passaggio in attesa del ritorno del marito Ugonotto (i nomi eccentrici e pomposi saranno un' ironica prerogativa del romanzo). Ignavo e indifferente a moglie e famiglia, Ugonotto, detto anche il Cavaliere, è sempre lontano da casa. Egli è una sorta di uomo senza qualità, ma è venerato per un inspiegabile carisma, per la sua “aura speciale fatta di niente”. Donna Marisa, nonostante gli amanti, è infatti completamente devota al consorte per cui inizialmente prova un sentimento puro, altruistico e disinteressato. Ci sono poi i tre figli che apparentemente sembrano ordinari nei loro limiti umani, ma che con lo snodarsi della storia riveleranno, ognuno a suo modo, un potere straordinario. I tre ragazzi possiedono qualità al limite del sovrannaturale che l’autrice sa descrivere con intelligente ironia e una “spruzzata” di fantasy. Il primogenito è Giuliano, ritardato e amorevolmente “recluso” dalla madre in una zona prestabilita della casa affinché non crei troppo scompiglio con il suo infrenabile istinto distruttivo; egli è dotato di una forza sorprendente e il suo fisico prestante ricorda un bronzo di Riace. Poi c’è Daria, coraggiosa, androgina e perennemente in competizione con gli uomini, irrisolta nella sua femminilità mascolina e nel suo desiderio deluso di attenzioni da parte dei familiari. Infine Laurina, la figlia minore, che trasuda erotismo dal suo corpo di adolescente proiettando precocemente la spiccata sensualità della madre; deciderà di concedersi per la prima volta al rozzo buttero Toni, cinico traditore e casanova del paese, che ovviamente finirà per innamorarsi dell’ingenua sbadataggine della ragazzina. A coronare lo stravagante nucleo familiare la nonna, personaggio marginale, ma ricco di fascino. La vecchietta passa le sue giornate leggendo giornaletti scandalistici, è in grado di prevedere il futuro e trascorre le ore in compagnia di Pier Maria, un cagnolino che crede la reincarnazione del defunto marito. A rompere i già fragili equilibri dei Guastaldi sarà l’arrivo di Gaddo, il detestato gemello di Ugonotto, che si materializza improvvisamente nelle vesti di uomo-pipistrello. Annoiato dalle sadiche scorribande a cui è dedito sin dall’infanzia, tornerà dai parenti per riscuotere un’eredità. Intenzione ironica? Il fatto che il lettore si chieda il perché di questa improvvisa incursione nel fantasy dimostra come il romanzo non sia risolto nell'intonazione narrativa di fondo. Segreti di famiglia, tare ereditarie, visioni, magie e improvvisi capovolgimenti descrivono una realtà in cui il male non è definito e in cui ogni personaggio è intriso di egoismo e cattiveria, ma anche di inaspettata umanità, che spesso viene sottolineata dalle “metaforiche” qualità dei personaggi.
La realtà magica dei Guastaldi si contrappone all’asciutto realismo de Le piene di grazia, due romanzi diversi per tematiche e per struttura narrativa, ma stranamente affini nel delineare la rappresentazione dei personaggi femminili. Le donne ritratte dalle due autrici, indiscutibili protagoniste e “motori” della narrazione, sono sempre in qualche modo inadeguate al loro ruolo e ai loro desideri. Maria Rosaria, protagonista de Le piene di grazia, non è all’altezza della sua gravidanza, non è in grado di ribellarsi e di contrastare le consuetudini fortemente maschiliste della sua cultura, non sa (e non può) opporsi a Cosimo e alla sua famiglia. Allo stesso modo Palma, la sorella, accecata dal desiderio di vendetta, dalla sua insaziabile sete di giustizia, non riesce ad essere una madre e una moglie presente: soffrirà infatti per la rancorosa indifferenza della figlia Loredana cresciuta esclusivamente dal padre durante gli anni della sua detenzione. Se si vuole un po’ estremizzare, Palma, con il suo omicidio, empaticamente giustificato dal lettore, si ritrova involontariamente ad essere parte integrante della comunità violenta e spregiudicata che la circonda e a negare quindi quel ruolo di eroina dell'emancipazione femminile che si era prefigurata di assumere. Anche il sereno dominio matriarcale di donna Marisa si sgretolerà non appena si scoprirà debole e innamorata di quello strano essere, calato dal mondo fantasy, che è il pipistrello Gaddo. Laurina è inadeguata di fronte ai progetti di Toni, che facendosi inaspettatamente serio vorrebbe lasciare moglie e figli per ufficializzare la loro relazione. Il suo precoce erotismo si dissolverà rapidamente lasciando spazio solo più alla sua ingenuità e leggerezza di bambina. E infine Daria che non è né carne né pesce, la cui incerta omosessualità resterà repressa, che non otterrà le attenzioni che cerca, che finirà per essere sempre sovrastata da una più forte personalità.
Queste donne sentono la necessità di realizzare i propri desideri, di emanciparsi e di poter scegliere autonomamente il proprio destino. Questo non avviene, gli eventi lo impediscono e le protagoniste non sono mai completamente padrone del proprio destino. Non parliamo della bambola di ibseniana memoria, ossia del giocattolo per l’uomo, relegata sempre e soltanto all’ambito domestico e ai desideri del marito, ma di quella che a mio parere si configura come la fase successiva di un’ emancipazione che fatica ad affermarsi. Donne apparentemente libere, a tratti anche disinvolte (basti pensare a Donna Marisa e alla sua schiera di amanti), ma pur sempre vincolate ad un prototipo, ad un’ideale di fronte al quale risultano inadeguate. Donna che deve, non importa l’ambito, conta il fatto di dover essere qualcosa. Ambiziosa lavoratrice, ma anche comprensiva casalinga. Provocante seduttrice e moglie rassicurante. Si potrebbe continuare all’infinito ad elencare ciò che la donna dovrebbe essere, ciò che in qualche modo, “sbaglia comunque” (e qui torna alla mente il celebre e acutissimo monologo di Gaber).
I personaggi femminili dei due romanzi sono un po’ questo, la personificazione della sfrenata corsa verso un modello rispetto al quale non si può mai essere all’altezza. L’esito peggiore di questa “psicosi contemporanea” è la triste storia di Palma che si farà “uomo” per affermare i propri diritti.