Mary MacLane diabolica
L’attesa del Diavolo di Mary MacLane è una piccola scoperta portata alla luce dalla neo nata Ago Edizioni, piccola casa editrice indipendente che si occupa di ridare vita a testi poco conosciuti di narrativa straniera del Novecento.
Anche se quando venne pubblicato per la prima volta all’inizio del ‘900 ebbe un inaspettato successo, il romanzo cadde poi nell’oblio, del tutto immeritatamente.
La storia dell’autrice e del libro meritano qualche cenno di approfondimento.
Mary MacLane nasce nel 1881 in Canada, si trasferisce ancora bambina in Minnesota e successivamente in Montana. A diciannove anni scrive I Await the Devil’s Coming, che verrà poi pubblicato come The Story of Mary MacLane per evitare la censura a causa del titolo che fa esplicito riferimento al diavolo.
Il libro ha un incredibile successo, soprattutto se si considera che l’autrice è una diciannovenne del Montana del tutto sconosciuta. Vende centomila copie.
La censura non tarda però ad arrivare: l’opera infatti viene considerata scandalosa a causa degli argomenti trattati, ma il successo permette all’autrice di abbandonare la provincia per approdare a New York. Lì condurrà una vita bohémienne, diverrà regista di un improbabile film muto, Men Who Have Made Love to Me, verrà indagata per furto e morirà a meno di cinquant’anni, nel 1929, forse suicida.
Pubblicherà altri due libri che non avranno però il successo del primo, ma nel frattempo L’attesa del diavolo sarà diventato una sorta di caso letterario e l’autrice un’inaspettata icona.
Nasceranno termini come MacLaneismo, verrà inventato un cocktail che prenderà il suo nome, la squadra di baseball della sua cittadina d’origine si ribattezzerà The Mary MacLanes. Articoli di giornale, scandali, moltissime chiacchiere. La spregiudicata MacLane diverrà l’idolo di centinaia di educande della bigotta provincia americana del primo Novecento. Pare infatti che molte studentesse si incontrassero segretamente nei dormitori dei collegi religiosi per recitare estratti dell’opera ed inneggiare all’autrice come se fosse il guru di una setta.
Tolta l’aura di scandalo e mistero che circonda il personaggio dell’autrice e il libro, L’attesa del diavolo si rivela un’opera estremamente interessante soprattutto in virtù della sua straordinaria modernità.
Risulta difficile classificarla in un genere, ha tratti del memoire, del diario e del ritratto. L’autrice scrive le sue riflessioni datandole giorno per giorno, ma è facile osservare tra le righe la sua mistificazione letteraria. Man mano che si procede nella lettura ci si accorge che non sono gli sfoghi e le riflessioni di un’adolescente tormentata, ma un autoritratto perfettamente orchestrato che si compone nella struttura di un diario solo perché più efficace agli occhi del lettore.
La scrittura del libro è caratterizzata da uno stile ricercato e da un’innegabile profondità, ma allo stesso tempo l’opera risulta disomogenea.
La narratrice alterna descrizioni evocative, scomposti flussi di coscienza e pensieri che ciclicamente contraddice, inducendo a dubitare del livello di consapevolezza che la donna ha di sé e della sua opera. La confusione delle sue riflessioni è voluta o reale? Ciò che ci affascina è l’ingenuo e allo stesso originale profluvio di pensieri o la brillante orchestrazione letteraria di un’autrice già matura che ha chiara la sua poetica?
Potremmo definire il suo stile cubista, ci mostra una prospettiva su di sé che si stratifica come in un prisma. Nel cercare di definire il genere della sua opera la stessa voce narrante ci viene apparentemente in aiuto affermando all’improvviso: “Questo non è un diario. È un ritratto. È la mia vita interiore messa a nudo”.
Ma anche questa esplicita dichiarazione è la prova del fatto che l’autrice si serva di raffinate messinscene, che giochi la parte della giovane confusa e tormentata, ma che abbia più chiaro di quanto voglia far apparire l’obiettivo del suo scritto.
La narratrice compone un racconto di sé e dei suoi tormenti. Vive a Butte, una cittadina di polvere e sassi, dove non accade mai nulla. Spesso il paesaggio diventa specchio e descrizione della protagonista, quasi un’estensione di sé. Il paesino minerario, la sabbia e la ghiaia in cui si muove, rappresentano l’aridità di un’esistenza percepita come deprimente e sprecata. Allo stesso tempo è proprio nel territorio che la circonda che identifica qualche segnale di speranza e bellezza.
“Oggi, uscendo, sono rimasta profondamente colpita dall’incredibile bellezza della Natura persino nella sua aridità. Le montagne più distanti avevano un aspetto imponente, puro, limpido, mentre quelle più vicine si erano del tutto trasformate, mostrando ora un atteggiamento malinconico e supplichevole che ricordava la mia vita […] Qualcosa di indefinito e di carezzevole aleggiava su tutto e penetrava nella mia anima, la scuoteva e la feriva. Nell’aria c’era quel senso di attesa che si avverte quando qualcosa sta per accadere. Solo che poi non accade nulla.”
Nella maggior parte del tempo passa le ore camminando per la provincia desertica e spoglia elucubrando e maledicendo la sua condizione.
Le persone che la circondano sono ordinarie, perbeniste e vuote. Detesta ogni essere umano, inclusa la sua famiglia. Spesso, nel suo desiderio di fuga e di fama letteraria, si domanda: “Perché non sono un uomo?”.
Il pensiero della MacLane è totalmente trasgressivo per i suoi tempi, poiché la donna non fa segreto del suo desiderio di emancipazione, del suo egoismo, dei suoi gusti sessuali non convenzionali.
“Sono fondamentalmente egoista per natura. La mia vanità e la mia arroganza si sono sviluppate in maniera impressionante durante le mie camminate nella solitudine della sabbia e dell’aridità. L’aspetto non meno impressionante è che conosco talmente a fondo il mio egoismo e la mia vanità da andarne fiera. Questi sono i tratti distintivi di un genio – e di una folle”
L’unico essere umano che pare degno di nota per l’autrice è Fannie Corbin, soprannominata dama dell’anemone. La dama è la sua ex insegnante di letteratura, l’unica persona da cui si sente compresa. Il personaggio in questione diviene metafora della bisessualità della protagonista; Fannie infatti sembra a tratti una figura centrale e poi improvvisamente diviene secondaria. Se vogliamo attribuire all’autrice una maggiore consapevolezza rispetto a quella che lei stessa propone di sé, vale a dire il suo porsi in maniera sempre caotica e contraddittoria, potremmo leggere questa figura (in fondo evanescente e mai veramente descritta) come un brillante stratagemma per interrogarsi sul proprio orientamento sessuale ed allo stesso tempo affermarlo.
L’insegnante è infatti una grande amica (così lei stessa la definisce).
“Conosce il peso opprimente della mia inquietudine e della mia infelicità. È affettuosa e comprensiva. È l’unica persona al mondo che mi è cara”
ma allo stesso tempo la giovane scrive:
“Provo per la dama dell’anemone una singolare attrazione sessuale. Sento in me un elemento maschile che, ogni qualvolta penso a lei, affiora a offuscare tutti gli altri. Perché non sono un uomo? – Dico alla sabbia e all’aridità con un certo intenso ardore – così da poter offrire a questa donna meravigliosa, preziosa, incantevole un amore assolutamente perfetto”.
Oltre all’insegnante di letteratura vi è solo un altro personaggio rilevante: il Diavolo.
A lui è infatti dedicata l’intera opera. A differenza della critica dell’epoca non intravvedo nulla di satanico nell’amore dell’autrice per questa figura mitica e maligna.
Il Diavolo della MacLane si può configurare in almeno due modi.
Da una parte rappresenta la solitudine di una giovane donna straordinariamente lungimirante e libera che anela a incontrare qualcuno che possa accettare e apprezzare il suo modo d’essere. Il Diavolo è la morte dell’ipocrisia, l’apertura dei costumi, un inno all’autodeterminazione, al libero arbitrio, all’emancipazione. Più che il Diavolo la MacLane sembra attendere una società più giusta, inclusiva e aperta, una forza colta e progressista che la liberi dal tedio di un’esistenza mediocre a cui la donna dei suoi anni è condannata.
D’altra parte sembra quasi che il Diavolo incarni un personaggio meno sfaccettato e frutto di una fantasia adolescenziale, quello che gergalmente potremmo definire un bad boy, un “bello e dannato” dei film americani.
Mary MacLane sembra desiderare un uomo belloccio ed il giusto menefreghista che la faccia perdutamente innamorare come capita a tutte le sue coetanee, che la instupidisca, che la semplifichi.
L’autrice più volte nel suo Ritratto contesta il matrimonio, ma quando racconta dell’agognata venuta del Diavolo si immagina come una sposa che vive con il marito in una bella casa di campagna.
“Immaginatevi di vivere assieme al Diavolo in una casetta spoglia in mezzo alla verde frescura, alla dolcezza e alla luce gialla – per giorni interi! […] regneranno una dolcezza e una bellezza inesprimibili. Sii felice adesso, mia stanca mogliettina – dirà il Diavolo”.
Il Diavolo quindi simboleggia anche la ricerca di una pace interiore etero normativa, a cui la donna si oppone, ma di cui sembra a tratti avere il desiderio poiché, a causa del suo modo d’essere, si sente emarginata e giudicata dal suo contesto.
Nonostante queste analisi, è realmente complesso, oltre che poco consigliabile, tentare di dare una lettura univoca dell’idea e della personalità che si annida in L’attesa del Diavolo. Mary MacLane è stata e ancora oggi rimane una outsider che resiste ad ogni tentativo di interpretazione (credo con sua profonda gioia).
Ossessiva, ironica, a tratti mitomane, è un personaggio che resta impresso e che è difficile mettere a fuoco anche a causa della ridottissima produzione letteraria e delle pochissime informazioni sull’autrice di cui disponiamo. Si descrive come bugiarda, buffa, originale, come un genio, come un impostore. Nel suo scritto c’è un elemento biografico puro ed ingenuo che coinvolge il lettore e che probabilmente ha contribuito al suo straordinario successo. Ma l’aspetto più interessante resta quello di una donna che è stata in grado di creare un profondo strappo con la sua società, infrangendo le regole e combattendo le convenzioni.
A più di un secolo di distanza, il pensiero di Mary MacLane oggi ci sembra sdoganato, ma contestualizzando storicamente e geograficamente l’opera, ci appare evidente la forza della sua opposizione ai valori consolidati del suo tempo, e non solo. La MacLane si mostra senza filtri urlando al mondo la sua bisessualità e la sofferenza causata dall’impossibilità di esprimerla; contesta il matrimonio e l’idea di famiglia tradizionale, condanna le ipocrisie della società e diviene lei stessa manifesto di tutti quei diritti che erano (e che a tratti sono ancora) negati alla donna.
Il fatto che L’attesa del Diavolo sia stato scritto ed apprezzato nel 1902 ci dona una speranza.
Visti gli slogan grotteschi e le affermazioni abominevoli che non ci sono risparmiate anche in questi giorni, mi sentirei di consigliarne la lettura, in particolare ai piani alti.
In copertina, Seven © Polly Nor 2017.