Riformiamo il servizio pubblico?
La notizia da cui partiamo è questa: il Consiglio superiore per l'audiovisivo, l'organo governativo che regola il settore radio-televisivo in Francia, ha eletto come nuovo direttore di Radio France, l'azienda di servizio pubblico radiotelevisivo francese, Mathieu Gallet.
E perché questa notizia dovrebbe interessarci? Perché il signor Gallet ha 37 anni. Nicola Sinisi, l'attuale direttore di Radio Rai, tanto per intenderci, ne ha 59.
Immagino che ora i lettori over 50 stiano già provando un certo livore perché pensano di intuire dove andrà a parare l'articolo. Vi fermo subito, questo articolo non parla di rottamazione, anche se all'inizio, avendo anche io 37 anni, ne sono stato tentato.
Questo articolo parla solo di servizio pubblico radiofonico e di strategie più o meno lungimiranti, francesi e italiane.
Prima di partire teniamo a mente alcuni dati: Radio France detiene il 28% di share dell'ascolto radiofonico francese, contro il 17% di Radio Rai (dati EBU 2012). Il canone costa 120 euro contro i nostri 113,5 ma offre più canali radiofonici nazionali (7 contro 5) e una rete di emittenti regionali (France Bleu) inesistente in Italia. Radio France dà lavoro a circa 4500 persone, contro le 750 di Radio Rai. France Inter è la seconda radio più ascoltata tra i canali generalisti, mentre Radio1 in Italia è scesa al sesto posto.
Radio France produce ancora molti documentari e molta fiction, generi che il servizio pubblico italiano, tranne rare eccezioni, ha ormai abbandonato da anni perché troppo costosi. I francesi scaricano circa 8 milioni di podcast al mese dalle radio pubbliche, contro i 4 milioni della Rai (dati relativi al 2012). E soprattutto, per nominare un direttore, il CSA, oltre a tener conto di appartenenze politiche come accade in Italia (Gallet è un uomo del UMP, il partito di Chirac e Sarkozy) chiede ad ogni candidato di presentare di fronte al consiglio il suo programma. Insomma, il CSA fa l'esame ai candidati, mentre in Italia i direttori vengono scelti semplicemente attraverso nomine politiche.
Perché proprio un 37enne?
La decisione del CSA di eleggere Gallet sembra andare nella direzione di un maggiore investimento nell'innovazione tecnologica, visto che Gallet è stato finora il direttore dell'INA (Institut National de l'audiovisuel), una struttura a capitali pubblici con due missioni principali: gestione e commercializzazione degli archivi TV e Radio; formazione di giornalisti e altre professioni nel settore audiovisivo. Finora l'INA ha messo su Internet gratuitamente 100.000 documenti d'archivio, con 10.000 ore di programmi.
Non sapendo nulla di questo nuovo direttore, ho chiesto ad Albino Pedroia, consulente strategico per il settore radiofonico francese, un'opinione su questa elezione.
Mathieu Gallet
Albino Pedroia: “Indipendentemente dalla sua età, Gallet non ha nessuna esperienza in campo radiofonico, salvo probabilmente l'ascolto della radio ma la sua gestione, da due anni, dell'INA è positiva: ha rispettato gli impegni presi, ha dinamizzato e accelerato la digitalizzazione degli archivi e curato la politica commerciale della struttura pubblica. Ha sorpreso i membri del collegio del CSA per la freschezza e l'audacia delle sue proposte di riforma di Radio France. Propone delle riforme radicali delle due stazioni pubbliche più in difficoltà (la radio per i giovani Le Mouv' e la all news France Info, entrambe in sofferenza per la concorrenza di internet), propone una riforma della politica musicale e in particolare sul funzionamento delle due orchestre e dei due cori di Radio France, propone una nuova struttura di gestione di Radio France (4500 dipendenti e un budget di 620 M€) e il rilancio del dialogo con le parti sociali (a Radio France i sindacati hanno un potere enorme).
Penso che in realtà la realizzazione delle proposte di Gallet si scontrerà con la pesantezza della struttura, ma si deve sottolineare che la presentazione fatta davanti ai membri del CSA era, sul piano della comunicazione, perfetta. Aveva di fronte cinque concorrenti molto competenti ma super tecnocrati. La presentazione e l'audacia delle proposta hanno fatto la differenza.
Sul piano più tecnico Gallet ha: 1) messo in primo piano la digitalizzazione della radio (presenza su tutte le piattaforme di diffusione/distribuzione); 2) insistito sulla radio 'Media caldo" = molto più di diretta del video; 3) collaborazione/federazione di tutte le società del servizio pubblico: Radio France, France Télévision, INA, France Media Monde; 4) fare appello a altri modelli economici come l'abbonamento; 5) più grande attenzione all'informazione internazionale (e in particolare all'Europa) nei radio giornali”.
In effetti, a leggere il programma di Gallet che Le Monde ha pubblicato online, si trovano idee innovative e molto lucide sul futuro del servizio pubblico. In un passaggio scrive anche di voler incrementare i lavori di fiction di drammaturgia e creazione radiofonica da parte di giovani autori e scrittori. Anche se fossero solo parole, sono delle buone parole.
Un programma per Radio Rai
Non sappiamo se davvero il giovane Gallet sarà in grado di mantenere le promesse fatte e se Radio France migliorerà grazie alla sua direzione. Non ha una faccia simpatica e la sua giovinezza (ma a 37 anni si può essere considerati ancora “giovani”? non credo) non è garanzia di efficienza. A noi questa storia interessa come esempio di una possibile riforma della radio pubblica italiana.
Facciamo un gioco, qui, sulle pagine di Doppiozero: se foste candidati alla direzione di Radio Rai, cosa proporreste per migliorarla?
Io provo a immaginare la mia proposta, soggettiva, discutibile e personale. Vi invito a fare lo stesso, qui sotto, nei commenti. Proponete le vostre soluzioni, le più concrete possibili, per Radio Rai.
1. Più partecipazione.
Le abitudini di consumo di prodotti mediali stanno cambiando velocemente. Sempre meno persone si siedono tranquille sul divano in attesa di ascoltare qualcosa passivamente. Sempre più persone vogliono fare qualcosa con i contenuti che consumano, sia anche soltanto condividerli sui propri social network.
Come suggerisce la studiosa dei media norvegese, Gunn Enli (2008), il servizio pubblico nell'era dei social media dovrebbe aggiungere il principio della Partecipazione ai tre – Informare, Educare, Intrattenere – formulati da John Reith, il primo direttore della BBC e che tuttora informano i servizi pubblici europei. Gunn sottolinea l'importanza della partecipazione del pubblico nella co-creazione di contenuti sia come strategia di legittimazione delle aziende pubbliche sia come mezzo per l'espansione su altre piattaforme.
Prendersi cura del proprio pubblico digitale e connesso significa assolvere a una nuova funzione del servizio pubblico, necessaria nel quadro della società di reti digitali. Come ha sottolineato nel 2012 la direzione della Newsroom della BBC, Mary Hockaday, il servizio pubblico si sta spostando verso una nuova triade di principi: “Informare, Educare, Connettere”, il che significa che non basta più produrre contenuti e trasmetterli sperando che qualcuno li segua, ma bisogna andare a cercare il pubblico sui social network, mettere in relazione tra loro le persone attraverso i nostri contenuti e costruire con loro nuovi contenuti”.
I contenuti hanno una vita sempre più sociale, sono fatti non per essere consumati da singoli isolati nel mondo, ma per essere fruiti da individui connessi tra loro, che li usano, li remixano, li commentano e li rimettono in circolazione, creando nuove connessioni e relazioni sociali attraverso quei contenuti. Ecco perché ciò che è stato trasmesso dalla radio pubblica deve essere disponibile sempre, on demand, su più piattaforme possibile e rilasciato usando nuove licenze tipo Creative Commons.
2. Meno contenuti generalisti
Molti servizi pubblici europei si orientano sempre più verso un'offerta differenziata di contenuti, tematizzata, che mira a soddisfare non più un pubblico nazionale, ma ad aggregare pubblici differenti con stili di vita differenti. La Francia ha una sola rete generalista, poi una dedicata tutta all'informazione (France Info), una per la musica classica (France Musique), una interamente parlata, con dibattiti culturali, documentari, fiction e drammaturgia (France Culture), uno per i giovani (Le Mouv'), uno per i contenuti regionali (France Bleu), uno per la musica leggera senza dj (Fip Radio). BBC ha invece un canale dedicato solo agli asiatici e uno solo per le notizie in tempo reale e le cronache sportive (BBC 5), uno solo musicale per i giovani mainstream (BBC1) e per quelli più alternativi (BBC6). La Spagna ha tante reti regionali per venire incontro alle necessità delle sue minoranze linguistiche e comunità geografiche.
Non serve essere creativi ed avere idee originali. Basterebbe decidere che per far fronte alla crisi di ascolti e di entrate si deve investire di più, non tagliare. Basterebbe allora prendere esempio da questi paesi e adattare quei modelli al contesto italiano. Si potrebbe creare un canale fm dedicato alle diaspore etniche presenti nel nostro paese, come ha fatto la Germania con l'esperimento web Radio Multikulti. Oppure un canale musicale interamente (non dalle 9 di sera in poi) dedicato alle fasce più giovani, aggressivo nell'uso dei social media e nella presenza su tutte le piattaforme di streaming musicale.
Moltiplicare Radio3 in due canali, uno culturale e d'approfondimento e uno musicale, trasformare Radio1 in una macchina da guerra informativa, realmente all news, sul modello francese di France Info.
3. Più contenuti “radiogenici”
Questo è un punto ambiguo, perché la “qualità” dei contenuti è sempre un argomento scivoloso e soggettivo. Però qui basterebbe copiare il programma di Gallet: “incrementare le produzioni di giovani autori e scrittori. Commissionare più lavori creativi per la radio, dai documentari alla fiction. Cercare idee nuove tra i nuovi autori emergenti. Farli scrivere. Farli produrre. Ricostituire una tradizione drammaturgica e creativa, libera dai vincoli dei soliti clientes, autonoma e audace nelle scelte. Testare continuamente nuovi format e nuove voci, produrre ore e ore di puntate pilota.
I contenuti “radiogenici”, cioè di qualità si ottengono con scelte editoriali autonome e con budget importanti. Pagare bene gli autori è fondamentale per pretendere lavori eccellenti. Il continuo abbassamento dei compensi degli autori, conduttori e registi esterni a Radio Rai significa non solo un impoverimento economico per chi lavora ma soprattutto uno s-prezzamento del loro lavoro. Pagandoli poco, chiedendogli di aprire partite Iva e di stare a casa ogni tanto per non creare continuità nei rapporti di lavoro si sta attribuendo poco valore ai loro prodotti.
4. Meno manuale Cencelli
La lottizzazione è una brutta parola. Quando feci il test d'ingresso per entrare all'università, nell'esame di cultura generale tra le domande ci si chiedeva cosa fosse la “lottizzazione”. Risposi “spartizione politica dei ruoli di potere istituzionale”. Non accade solo in Italia, certo, ma il servizio pubblico italiano ne è particolarmente condizionato. È una nostra lunga tradizione. Ecco. È ora di smetterla.
Mi fermo qui. Ma di suggerimenti e idee ce ne sarebbero molte. Siamo tutti molto affezionati a certe voci e a certi programmi di Radio Rai e ci teniamo al suo futuro. Ci meritiamo il meglio, perché ogni anno tiriamo fuori 113,5 euro per sostenerla (in realtà i soldi del canone vanno al 98,5% alla televisione, come dimostro in questo libro). E siccome questo servizio pubblico appartiene un po' a tutti noi, sarebbe bello che ce ne prendessimo più cura, provando ad immaginarne il futuro o anche solo migliorarne il presente. I commenti sono aperti, partecipate e scrivete qui sotto il vostro programma di riforma della radio. Cosa c'è che non va? Cosa cambiereste?