Traditi dal digitale
Per certi versi, questo libro di Vanni Codeluppi, I 7 tradimenti del digitale (Laterza 2024) sembra essere il gemello complementare del libro di Gabriele Balbi, pubblicato dallo stesso editore, L’Ultima Ideologia.
La collana in cui questi due volumi sono inseriti è pensata per parlare a un pubblico ampio, oltre i confini universitari, ma con l’accuratezza e la chiarezza della ricerca accademica. Mentre il libro di Gabriele Balbi ricostruiva – e decostruiva – con rigore storico e originalità l’ideologia rivoluzionaria dell’ascesa dei media digitali, il libro di Codeluppi fa il punto su trent’anni di internet per le masse e su come le promesse libertarie e democratiche dell’infanzia di internet siano state tradite dalla sua trasformazione in un mercato controllato da poche grandi aziende tecnologiche. Il libro si inserisce nel filone degli studi critici dei media digitali, di cui Vanni Codeluppi è una delle voci più rappresentative in Italia e nella sua accessibilità e capacità di riassumere 30 anni di evoluzione del digitale è sicuramente utile per ricordare a tutti da dove eravamo partiti e come mai siamo finiti in questo modo.
Codeluppi ripercorre questa storia descrivendo 7 temi intorno ai quali le promesse della cultura sono state tradite dalla società digitale modellata dal capitalismo di piattaforma. La scelta semplifica un po’ la storia di questa evoluzione dall’utopia alla distopia, ma nella sostanza propone una visione critica affidabile e ormai consolidata in letteratura. Provo qui a riassumere ulteriormente questi sette tradimenti:
Primo tradimento: promessa di una società più democratica, simile alle comuni hippie.
Ma il senso di comunità conviviale che ha ispirato le prime comunità virtuali degli anni ‘80 e ‘90 si è trasformato nell’oligopolio autoritario dei social media sulla costruzione di comunità. Questa traiettoria – dall’utopia alla distopia – che ha caratterizzato la storia delle comunità virtuali, segue incredibilmente da vicino la traiettoria delle comunità fisiche create dalla controcultura americana. Nella maggior parte delle comuni americane, infatti, in un contesto privo di regole formali, o che rifiutava le vigenti norme sociali per sostituirle con l’utopia di una vita in comune senza gerarchie, emersero piano piano contrasti interni tra seguaci (follower) e guru (influencer), che via via prendevano il controllo delle comuni, esercitando il loro potere di influenza in forme che spesso sfociavano nell’autoritarismo o nel dispotismo.
Il tradimento delle promesse di nuove comunità virtuali, migliori di quelle fisiche, è esplicitato dall’ascesa di nuovi guru, da Zuckerberg a Elon Musk, che, secondo Codeluppi, mentre “comunicano esplicitamente di voler costruire un mondo migliore per tutti quanti, proprio come quei giovani hippie ai quali dichiarano di ispirarsi, in realtà sono poco convinti di questa possibilità e s’impegnano perciò nella costruzione di una via di fuga esclusivamente per loro. Riservata cioè soltanto a quei pochi che possono disporre delle ingenti risorse economiche necessarie” (p. 18)
Secondo tradimento: dalla cultura del do-it-yourself ai monopoli tecnologici
La controcultura americana, come racconta meravigliosamente Fred Turner nel libro From counterculture to cyberculture (2006) – che stranamente Codeluppi non menziona, e che meriterebbe finalmente una traduzione italiana – aveva sottratto i computer al loro destino di macchine al servizio della difesa e della ricerca, trasformandoli in macchine liberatorie, come le immaginava l’inventore dell’ipertesto, Ted Nelson. Da questa radicale deviazione della storia dei computer, emerge una nuova economia basata sulla vendita di computer domestici, che promette anch’essa di democratizzare il potere di calcolo, rendendolo alla portata di tutti. Ma anche in questo caso, nel giro di 40 anni, Apple e Microsoft sono passate dal mito della nascita in un garage, frutto dello scambio peer-to-peer tra nerd californiani, a costruire dei monopoli tecnologici che invece di innovare, distruggono l’innovazione acquisendo qualsiasi novità possa metterli in pericolo. Anche qui come nel caso del primo tradimento, abbiamo assistito a una parabola di progressiva privatizzazione di intelligenza collettiva, o bene comune digitale.
Terzo tradimento – dalla disintermediazione alla nuova intermediazione
In questo capitolo, scritto per il volume da Maria Angela Polesana, si analizza la promessa tradita della disintermediazione che internet avrebbe operato nei confronti dei tradizionali gatekeeper dell’informazione. Ma questo processo, a lungo andare, si è trasformato in un nuovo processo di re-intermediazione dentro l’orto concluso, il walled garden, dei social media e anche la cultura partecipativa del web 2.0 dei primi anni duemila è diventata un nuovo mercato dove il lavoro dell’utente è fonte di sfruttamento, non remunerato. Nel frattempo, gli “esperti” di una volta non esistono più, o hanno perso potere, mentre nuovi influencer emergono dalle piattaforme digitali, ma la lotta per la visibilità è sempre più precaria e determinata dagli algoritmi
Quarto tradimento – dalla privacy al capitalismo di sorveglianza
I dati personali sono diventati preziosi e Codeluppi analizza come nel passaggio dal web ai social media si sia progressivamente eroso il confine tra spazio pubblico e privato e come i nostri dati siano sempre più sottoposti a estrazione e sorveglianza. Qui il riferimento principale è al lavoro di Shoshana Zuboff sul capitalismo di sorveglianza, una nuova forma di capitalismo, differente dalla precedente, caratterizzata per la messa a valore di prodotti predittivi del comportamento umano.
Quinto tradimento – i pregiudizi dell’intelligenza artificiale
Codeluppi sostiene efficacemente la non neutralità dei sistemi di intelligenza artificiale, al contrario di quanto sostiene il filosofo Luciano Floridi. Ci avevano promesso che l’intelligenza artificiale avrebbe risolto problemi finora incomputabili, dal trovare il partner giusto per noi, a trovare soluzioni per il cambiamento climatico, ma la realtà è molto più complessa, perché questi sistemi spesso portano con sé i pregiudizi dei dati sui quali sono stati allenati, oltre a richiedere grandi quantità di acqua ed energia. Sistemi come ChatGPT inoltre sono totalmente inaffidabili per le attività di ricerca di informazione, e potrebbero essere molto pericolosi se usati al posto dei tradizionali motori di ricerca.
Insomma, non è vero che l’IA risolverà tutti i problemi, ma dovremo governarla attentamente per poterne beneficiare e mitigare le sue conseguenze. La sintesi delle critiche all’IA proposta da Codeluppi è anche qui accurata e utile per chi vuole approcciarsi a questi temi, ma è un peccato che l’autore non abbia considerato gli studi di Kate Crawford sul tema dei rischi dell’IA.
Sesto e settimo tradimento – dalla realtà virtuale al Metaverso
Nei capitoli finali Codeluppi ripercorre la storia delle tecnologie di realtà virtuale, come Second Life, antenati dell’attuale Metaverso. Anche qui la sua analisi è tipica del pensiero critico: l’obiettivo cioè, è sempre svelare l’ideologia che si nasconde dietro ciò che ci sembra una naturale evoluzione delle cose. Non è naturale che dalle prime ricerche sulla realtà virtuale siamo finiti ad indossare un visore che traccia tutti i nostri comportamenti.
La conclusione del capitolo è anche la conclusione di questo saggio. In “che futuro avremo” Codeluppi si chiede che mondo ci aspetta e sottolinea la differenza tra il web attuale, sempre più privatizzato, ma dove si confrontano ancora una dimensione pubblica e privata, e il Metaverso del futuro, un luogo completamente privato. Il futuro del Metaverso è quello di una socialità che avviene solo in maniera mediata dentro spazi privati come quelli di un centro commerciale, senza più alcuna piazza. In più, il Metaverso propone solo relazioni mediate dalla dimensione visuale, disincarnate, dove non si sta più insieme fisicamente. Il Metaverso, nella sua lettura, è un ulteriore passo verso la totale mercificazione delle nostre relazioni digitali, senza più alcuna via di fuga.
Alla fine del saggio siamo tutti più consapevoli di essere stati traditi, ma forse la lettura più corretta è che ci siamo illusi fin dal principio, almeno da quando il web ha cominciato ad essere anche un mercato. L’analisi di Codeluppi è corretta, ma il problema è come uscire da questo cul de sac. E come accade a molti saggi critici, anche questo manca di una strategia, di una proposta per uscire dal cul de sac. Certo, il ruolo di libri come questi non è quello di fornire soluzioni, ma innescare domande, rivelare a tutti che ciò che ci sembra naturale è solo il frutto di una particolare economia politica del digitale, ovvero quella del capitalismo di piattaforma. Ma c’è qualcosa che possiamo fare, una volta che abbiamo scoperto di essere stati traditi? Non basta annullare il matrimonio, anche perché vivere senza i nostri partner digitali è possibile certo, ma complicato. Come possiamo rifarci una vita dopo il tradimento? Possiamo salvare qualcosa del nostro rapporto col digitale o è proprio tutto da buttare via? Forse, dopo aver capito di essere stati traditi, dovremmo anche considerare le sfumature di questo rapporto.
Recentemente sono stato ospite a un festival olandese, Public spaces. Il tema di quest’anno era Taking back the internet e ho potuto incontrare tantissimi attivisti che stanno lavorando per la realizzazione di piattaforme digitali di servizio pubblico alternative a Google, device come il Fairphone più etici dell’iphone, cooperative di piattaforma, azioni legali, campagne divulgative sui nostri diritti digitali (vedi Bits of Fredom, per esempio). Se qualche anno fa questo mondo sembrava solo utopico, ora sta guadagnando terreno, perché l’Unione Europea non vuole più affidare il proprio sviluppo economico alle piattaforme commerciali americane. Non è certo l’unica soluzione possibile, ma è una delle strade da percorrere, accanto a quella dell’attivismo politico per normare e vietare certi usi deleteri dell’IA.