Una conversazione / Franco Vaccari. Migrazione del reale onirico
Franco Vaccari (Modena, 1936) nutre profondo interesse per la dimensione onirica, fin dall’infanzia. Dal 1975 il sogno entra anche nella sua ricerca artistica. Diventa una sorta di correlativo oggettivo di un dispositivo concettuale. Attraverso cinque Esposizioni in tempo reale – oltre a una vasta produzione di opere e annotazioni su quaderni, dove fotografia e pittura convivono per rappresentare sogni notturni, soggetti e forme suggeriti dai meccanismi dell’inconscio o da un’alterità misteriosa – Vaccari indaga e rende visibile il profondo legame tra il mondo dei sogni e il suo ruolo di artista, inteso come innescatore di processi: «il ruolo di "controllore a distanza" si dissolve a sua volta in quanto il sogno funziona da attivatore di realtà, cioè da pretesto per dirottare una situazione apparentemente definita verso esiti imprevisti, verso il reale inaspettato».
Nella mostra Migrazione del reale, allestita alla Galleria P420 di Bologna, il reale inaspettato è un asteroide interstellare, che giunge da una ineffabile lontananza e incombe in uno spazio siderale, avvicinandosi sempre più alla nostra coscienza. Questo asteroide è “realmente” il primo oggetto interstellare a incrociare i piani orbitali dei pianeti del sistema solare, per poi dirigersi nuovamente nello spazio profondo. Vaccari lo ha percepito come esistenza reale, come un sogno premonitore. E lo ha messo in relazione con appunti segnici e letterali, collegamenti e interpretazioni dei suoi sogni notturni, con le immagini che sono giunte da un’altra dimensione. Abbiamo posto alcune domande all’artista, come se fossimo giunti in un luogo arcaico, dedicato all’attività oracolare, come a Dodona o a Delfi, attendendo una visione o un ulteriore enigma da risolvere, come al cospetto di Pizia, di Cassandra o di una Sibilla, di fronte a una divinazione per ispirazione del nume o intuitiva, affidandoci all’oniromanzia.
Mauro Zanchi: Da dove provengono i sogni?
Franco Vaccari: Su che cosa siano i sogni e quale sia la loro funzione ci sono opinioni tra loro diversissime. Però hanno sempre colpito l’uomo dai tempi più antichi, per la forza delle immagini e per la superiore estraneità rispetto al nostro vissuto. Riescono a dare importanza a tanti aspetti del nostro vissuto, pur essendo apparentemente così estranei. Siccome ero un sognatore piuttosto accanito, ho pensato di non disperdere questo patrimonio onirico, che mi sembrava una sorta di ricchezza in potenza, non sapendo come avrei potuto utilizzarla. Scrivendo dei testi che si riferissero ai sogni, quando mi colpiva qualche immagine particolare, provavo anche a disegnarla. Non mi interessano gli aspetti dello straordinario e dell'eccezionale nel mondo onirico, nemmeno la dimensione surreale o straniante, e neppure quella psicanalitica. Mi affascina la dimensione reale del sogno. Mi sembra che il mondo reale si sia svuotato di realtà. Immagino che gli aspetti più misteriosi e rivelatori del reale siano migrati verso la dimensione del sogno.
Hai vissuto anche sogni preveggenti, o visioni simili a quelle che sono state descritte da antropologi venuti in contatto con sciamani di altre culture?
Sì, io ho fatto anche quei sogni che tu chiami “preveggenti”. Non sono stati esposti in questa mostra, per il semplice fatto che costituiscono un nucleo che non andrebbe disperso in mezzo ad altre immagini, ma potrebbero essere l’argomento di un’altra mostra, dove si potrebbe concentrare l’attenzione proprio su questo aspetto dei sogni.
Cosa evochi in Migrazione del reale e attraverso l’installazione video, che ha per soggetto un asteroide interstellare, proveniente da un luogo indefinito o indeterminato?
La notizia dell’apparizione di questo asteroide, nel campo di osservazione dei nostri mezzi di indagine dello spazio, è recente. L’asteroide ha suscitato molte curiosità, per la forma e per la provenienza, che pare essere extragalattica. È quindi un’apparizione momentanea, prima di sparire di nuovo nell’universo. Quello che mi ha colpito è il fatto che sia stato scoperto dall’osservatorio delle Hawaii e che le popolazioni di quell’arcipelago, dopo aver visto le immagini di questo asteroide, lo abbiano battezzato col nome “Oumuamua”, che nella lingua locale sembra che voglia dire “Messaggero che arriva per primo da lontano” o “Visitatore che giunge da un luogo indefinito”. Siccome stavo preparando la mostra alla Galleria P420 sul tema dei sogni, ho trovato che il nome dato a questo asteroide – che mi aveva colpito per la sua immagine e per la forma, assolutamente imprevista per un corpo che viene dallo spazio celeste – andasse perfettamente d’accordo con il tema delle mie opere, che era il tema del sogno. I sogni sono immagini, che sembrano provenire da chissà quale spazio, non soltanto interiore. Quindi ho unito – anche se i due soggetti sembrano apparentemente distanti – lo spazio dedicato alla mia opera con quello dedicato a questo asteroide.
Alcuni sogni che hai vissuto ti hanno portato intuizioni, che sono poi entrate nelle opere della tua ricerca?
Beh, ci sono dei sogni che mi hanno comunicato intuizioni, quelle che possono essere verità particolari. Per esempio, c’è quello dove ci sono pugni, che tengono stretta l’asta di certe bandiere. Lo trovo uno dei miei sogni più significativi, dove si vedono mani che tentano di tenere in pugno la sabbia e oggetti raccolti. Ci sono anche dei tumuli di sepoltura, che tentano di resistere all’azione del vento e, invece, vengono dispersi dal vento. I pugni che tentano di tener stretta la sabbia o questi oggetti che sono stati raccolti in realtà vengono svuotati dall’azione del vento. Il vento chiaramente rappresenta, secondo me, il tempo. E la parte veramente interessante, anomala, rispetto ad altri sogni, è che c’è qualcosa che viene da lontano, come il corpo celeste, l’asteroide. Qui si ode una voce fuori campo. Dice qualcosa che mi ha molto colpito: “Non bisogna resistere all’azione del vento, perché è uno sforzo inutile destinato al fallimento. Invece bisogna fare come le bandiere, che si dispiegano e prendono vita nel vento”.
È inutile opporsi all’azione livellante del tempo, ma bisogna approfittare del tempo per dispiegare la propria natura. E trovo che sia un consiglio veramente meraviglioso.
In una delle opere esposte alla Galleria P420 c’è anche un riferimento all’opera d’arte che è entrata in un tuo sogno: un segno di Capogrossi. Ci puoi parlare del sottile rapporto fra sogno, opere d’arte di altri artisti, cose viste, segni, figure, idee, concetti, che entrano nell’immaginario?
Nel sogno subentrano tantissime cose. Quando ho dovuto rendere l’immagine che vedevo sulle superfici delle uova, mi è venuto in mente Capogrossi. Ma, in realtà, forse l’immagine più precisa erano i cromosomi, nel momento in cui si suddividono, dando luogo ai corpi, allo sviluppo. Nel mio sogno c’era qualcosa che mi ricordava l’inizio dello sviluppo dei corpi. Allora questa danza dei cromosomi mi è sembrata abbastanza simile alla danza dei segni misteriosi presenti nelle opere di Capogrossi, che non sono solo decorativi, ma vogliono probabilmente dire anche qualcos’altro e hanno radici più profonde.
Ora ti pongo una domanda che si sposta verso il futuro. Come immagini ulteriori possibilità del medium della fotografia e della fotografia contemporanea ibridata con altri media o questioni?
La fotografia è in un momento il cui argomento è in eclisse, per quanto mi riguarda. Noi vediamo tante immagini e le immagini fotografiche sono un po’ sommerse da questa quantità. Qui, proprio poco fa, nella galleria è venuto in visita Erik Kessels, che è diventato famoso per aver fatto delle mostre dove vengono esposte caterve di immagini, milioni di fotografie, che lui non so in che modo riesca a stampare in brevissimo tempo. Allora la fotografia in questo senso perde buona parte dell’interesse. Tu immagina quella che era la magia dell’apparizione dell’immagine fotografica ai primordi della sua invenzione. Oggi è estremamente banalizzata. Però, secondo me, la fotografia subisce un po’ un processo di normalizzazione, dove lo stupore passa quasi totalmente, come per la luce nel telefono. Anche le telefonate nel loro apparire potevano essere oggetto di mostre. L’apparizione della voce di un corpo, di un essere, che per noi poteva significare tanto, ma a distanza enorme, doveva essere fonte di una meraviglia incredibile. Però adesso con la telefonata chi è che riesce a emozionarsi più sentendo una voce? Anche se ci sono situazioni in cui questo ancora si verifica, come per esempio è accaduto a Rigopiano qualche tempo fa, dove una valanga di neve ha sepolto un albergo. Ci sono state telefonate da parte di persone, che poi sono morte, che da sotto la neve si erano messe in contatto con i loro cari o con quelli che avrebbero forse potuto andare a salvarli.
Un altro aspetto molto importante della tua ricerca è stato l’inconscio tecnologico. Ha lasciato il segno negli anni ’70 e nei decenni successivi. Adesso, a distanza di anni, che cosa trovi di pulsante e vitale in questa tua intuizione?
Adesso siamo nel momento in cui si sta preparando una rivoluzione tecnologica incredibile, della quale non sappiamo lontanamente quali potranno essere gli sviluppi e gli approdi. È la comunicazione dovuta all’Intelligenza Artificiale. Quando i mezzi tecnologici avranno a disposizione gli strumenti dell’Intelligenza Artificiale, soprattutto quelli nati dalla meccanica quantistica, in cui gli scambi di informazione e di operazioni para-mentali subiranno un’accelerazione tale da ridicolizzare il funzionamento del nostro sistema nervoso. Quindi lì ne succederanno di tutti i colori.
Quindi come immagini tu l’utilizzo di una macchina fotografica quantistica? Che immagini potrà realizzare?
Ah, non so. Dicono, per esempio – è una notizia apparsa in questo ultimo periodo – che l’immagine più importante del 2019 sia la fotografia del buco nero. Non è stata ottenuta attraverso un apparato, che con lo schiacciamento di un bottone restituisce un’immagine, ma è nata dalla sovrapposizione e dall’interferenza di una quantità di immagini ottenuta con dei mezzi incredibili, in cui l’intero apparato di recezione è stato il globo terrestre. Queste informazioni, che sono state raccolte con un apparato che era diffuso sul globo terrestre, hanno portato alla produzione di un’immagine che non poteva essere ottenuta attraverso l’uso di un mezzo classico. Quindi, non riesco proprio a figurarmi cosa ci mostrerà la macchina fotografica quantistica, nel momento in cui il passato, il presente e il futuro potranno essere colti nello stesso istante.
Ammettiamo che sia ora possibile mettere in commercio la macchina quantistica, e che inneschi una nuova rivoluzione fotografica. Se porta con sé tutte le questioni dello spazio-tempo e le scoperte della fisica quantistica, sarà possibile secondo te fare fotografie anche di qualcosa che accadrà in futuro? La fotografia non sarà più un documento, uno scatto di qualcosa che viene colto in un determinato momento presente, ma potrà essere una previsione, un istante del futuro?
FV: Ah beh, sarà l’eclisse del mito di Cartier-Bresson.