Giorgio Griffa / A Continuous Becoming
Molteplici riferimenti a diversi ambiti del sapere trovano espressione organica nella poesia visiva del vocabolario pittorico e nei testi scritti di Giorgio Griffa (Torino, 1936). Dopo aver conseguito la laurea in legge nel 1958, Griffa decide di dedicarsi completamente all’arte e intorno al 1968 giunge alla formulazione del suo linguaggio specifico che si sofferma sugli elementi essenziali della pittura, eliminando qualsiasi figurazione. “Io non rappresento nulla, io dipingo”, afferma per la prima volta in occasione della mostra tenutasi presso la galleria Godei di Roma nel 1972. E in continuità con quest’affermazione, lo scorso 25 gennaio 2018, in conversazione con Martin Clark, direttore del Camden Arts Centre, spiega: “Se la pittura rappresenta se stessa, allora il pittore può rappresentare la musica e la poesia.”
A Continuous Becoming, è il titolo della mostra a lui dedicata, visibile fino all’8 aprile 2018 nelle gallerie espositive dell’istituzione londinese, che presenta opere dagli anni Sessanta fino ad oggi. Tuttavia A Continuous Becoming non vuole essere intesa come una retrospettiva, spiega Sophie Williamson, curatrice al Camden Arts Centre, ma come una mostra viva, così come i dipinti stessi di Giorgio Griffa sono entità vive che continuamente evolvono. Il percorso dunque non segue un ordine cronologico per fare emergere il dialogo continuo che sussiste tra opere realizzate in diversi periodi. “I lavori di Griffa sono invece, come il pensiero scientifico, espressione di un continuo, inarrestabile fluire dinamico, che – come la struttura autosimile di un frattale – si ritrova entro ogni singola opera, ma anche nell’insieme delle opere, nel modo in cui esse sono articolate e correlate temporalmente”, scrive Mario Rasetti, Professore di Fisica Teorica presso il Politecnico di Torino, nel suo contributo al catalogo Giorgio Griffa. Uno e due della GAM di Torino nel 2002.
Nella prima sala espositiva, attraverso una selezione di opere degli anni Sessanta e Settanta, si coglie la fisicità del suo procedimento pittorico: le tele, volutamente senza telaio né cornice, sono appese a sottili chiodi e fluttuano nello spazio. Scegliendo di volta in volta pennelli o spugne diversi, le tinte, ottenute diluendo acrilici, acquerelli e tempere, sono applicate alle tele grezze stese a terra. Le righe della piegatura, con cui le opere sono riposte quando non esposte, costituiscono una griglia materica che s’interseca organicamente con i segni di colore: nelle pieghe del tessuto si ritrova la consuetudine del gesto dell’artista, la costanza della sua pratica quotidiana ripetuta nel tempo.
Giorgio Griffa riflette sui concetti di moltiplicazione e di ripetizione di segni. Le linee si muovono da sinistra a destra, come nella scrittura occidentale, ma anche da destra a sinistra; ora occupano uno spazio in alto della tela, ora in basso; “la linea segue la crescita di un fiore, il passo dell’uomo, lo scorrere del tempo, il percorso del sole”, scrive l’artista in Drugstore parnassus (Martano Editore - Ottenhausen Verlag, 1981).
La pittura si presenta nelle sue infinite possibilità e inesauribili combinazioni: ora più brillante, ora più opaca, ora più densa e spessa, ora più trasparente e liquida. L’unicità di ogni opera è data dalla scelta dei pigmenti, dalla loro diluizione, dallo spessore del pennello, così come dalla scelta del supporto, dalla consistenza materiale, più rigida o più morbida della tela, e dalle variazioni di tonalità del cotone, della canapa, del lino o della juta. Dal macro al micro, questa unicità caratterizza il singolo segno di ciascun dipinto, sempre connotato da una sua identità e mai identico a un altro. Ogni tratto è diverso perché il gesto che lo produce è unico e inscindibile da un tempo determinato: “(…) l’apparente ripetizione dell’ordine prestabilito delle pennellate si rivela in realtà una perenne novità di ogni atto della vita. (…) così come ogni atto della vita è sempre nuovo e irrepetibile per sua natura e non esiste la possibilità di atti totalmente identici in tutta la storia dell’umanità, ogni segno è esemplare per sé stesso.”, afferma l’artista in Cani sciolti e antichisti (Martano e Samanedizioni, 1980 pp. 55-57).
Il colore entra nelle fibre della tela e si fonde con essa in un unico oggetto che conserva migliaia di anni di memoria. La pittura si confronta con la storia dell’umanità e della poesia, simbolo della creazione artistica, il cui fondamento mitologico avviene quando Apollo consegna la lira a Orfeo.
Come in Tre linee con arabesco n.91 (1991), negli anni Novanta l’artista inizia a numerare le sue tele enfatizzando il ritmo costante, persistente e progressivo del suo lavoro, che riunisce armonicamente rigore e invenzione. La linea arabesca è eco dell’attività creativa dell’uomo attraverso i secoli: allude alla potenzialità espressiva dei segni nella loro forma essenziale che soggiace nelle incisioni primitive così come nelle grandi opere artistiche e architettoniche. Come la poesia, che trova nella metrica la scansione dell’ordine delle parole e dei versi, per Giorgio Griffa anche la pittura persegue i principi di costruzione ritmica. La pittura è parte integrante della realtà e per questo motivo le linee e i segni non giungono mai alla fine della tela: le opere sono sempre non finite per esprimere il fluire costante della vita, il principio che Eraclito enunciava in Panta Rei, nel continuo divenire di tutte le cose.
L’arte è per Griffa uno strumento di conoscenza. Intorno agli anni ’80 scrive: “Sto in questo tempo ponendo mano a un lavoro, che s’intitola “frammenti”, il quale vuole essere una metafora del metodo conoscitivo, del fatto che la percezione avviene per frammenti mentre la conoscenza si raggiunge usando la memoria per collegare questi frammenti e metterli in relazione (Cani sciolti antichisti, p. 7). Ritagli di tele, dai formati e dal tessuto diversi ondeggiano sulla parete mentre tracce diverse sono accostate in una composizione variabile e transitoria.
Negli stessi anni avvia la serie di lavori Alter Ego, dedicati esplicitamente ad artisti con i quali condivide temi e aspetti della sua ricerca, non solo a livello formale. Tra questi in mostra sono presenti Lavagna Beuys (1982), dedicato a Joseph Beuys e Paolo e Piero (1982) rivolto al pittore rinascimentale Paolo Uccello e all’amico Piero Dorazio. Le linee oblique sulla tela richiamano alla mente le aste tese in ogni direzione nella Battaglia di San Romano (1438 circa) così come i movimenti dei tratti di colore che contraddistinguono l’astrazione di Dorazio.
(IN)VISIBILE (2007), prende il titolo da un’opera dell’amico Giovanni Anselmo che si riferisce alla possibilità di esprimere attraverso l’arte forze ed energie fisiche intrinseche alla realtà.
Giorgio Griffa è interessato all’intelligenza della materia, della pittura in sé, e considera i colori e le tele nella loro consistenza molecolare. La soglia della realtà esterna, della dinamica dei segni sulla tela, si coniuga con la soglia dell’emozione, della continuità e della persistenza di un gesto cosicché l’intelligenza della pittura si fonde con l’intelligenza spirituale della memoria dell’uomo. In accordo con il metodo scientifico, le sue opere esprimono una tensione conoscitiva verso la realtà, e verso ciò che è invisibile, tentando di mostrare il confine della ragione umana. Giorgio Griffa osserva la sezione aurea, i procedimenti matematici e geometrici, le regole della proporzione, e spiega come, in seguito alle teorie di Einstein, difficilmente siano attuabili le regole prospettiche del mondo tolemaico: una parte della realtà resta inafferrabile dalla ragione umana, come sostiene il principio d’indeterminazione di Heisemberg.
Nella serie Canone aureo, degli anni 2000, il numero aureo 1,618033988744820458… compare accanto a linee e segni spiraliformi dai colori accesi, che si spingono verso una sospensione infinita, verso lo spazio indefinito e ignoto dell’esistenza.
“E se vi è contraddizione nel dire, ciò accade anche per il fare. Cioè la pittura, chiede di essere viva. Contraddittoria è la vita. Nella fisica quantistica uno stesso fenomeno presenta aspetti differenti e contemporanei, infinite storie parallele.” (Giorgio Griffa, Post Scriptum, Hopefulmonster, Torino, 2005, p. 37).