Frocie sfacciate e fiere travestite
Ma c’era proprio bisogno di ripubblicare Antologaia. Vivere sognando e non sognare di vivere: i miei anni Settanta, di Porpora Marcasciano (Alegre 2014)? La nostalgia della Contestazione è ancora tanto diffusa da giustificarne una seconda edizione? Sì, ce n’era bisogno. Ma no, non si tratta – almeno non soltanto – di un’operazione nostalgica.
Il testo, da tempo introvabile, appare in una versione rinnovata, frutto di un editing accurato a cura di Nicoletta Poidimani, che per un errore di cui Porpora confessa la responsabilità in una nota iniziale, non fu data alle stampe in occasione della prima uscita (Il dito e la luna, Milano 2007): l’avvincente, appassionante narrazione autobiografica ha quindi oggi assunto ulteriore eleganza. È inoltre accompagnata da una dotta prefazione di Laura Schettini, eminente studiosa della storia delle “trasgressioni di genere”, che con dovizia di particolari mostra come le sperimentazioni identitarie dell’autrice si iscrivano in una storia antica quanto l’umanità. È, infine, corredata di una nuova appendice, curata dalla stessa Porpora, utile strumento per orientarsi tra gli eventi, i luoghi, le associazioni, i partiti, le riviste, la radio libere, le letture, le musiche che fanno da cornice alle vicende raccontate. Ma tutto questo non basta a dare ragione di una seconda edizione.
Dalla prima sono trascorsi sette anni, in cui una nuova generazione di attivisti e attiviste è apparsa sulla scena dei movimenti LGBTQI (di lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender, queer, intersex), ma in cui ben poche sono state le conquiste che questi hanno ottenuto. Alla delusione per la lunga sequenza di promesse non mantenute da politici di sinistra e di destra, si aggiunge anzi la preoccupazione per l’emergenza sociale di una nuova intolleranza organizzata. La crociata lanciata dal Vaticano contro quello spettro che è ‘l’ideologia del gender’, le piazze costantemente occupate dalle Sentinelle in piedi, i convegni per difendere il diritto alla propaganda omofobica, il blocco – operato dal governo Renzi – della campagna educativa antidiscriminatoria dell’UNAR (Ufficio Nazionale Anti discriminazioni Razziali): nelle comunità LGBTQI tutto questo non può che suscitare sentimenti di fallimento e depressione, rispetto ai quali anche la migliore letteratura sul tema degli ultimi decenni offre più palliativi che rimedi.
Ad esempio, in Omosessuali moderni (Il Mulino 2001, II ed. aggiornata 2007) – spesso citata ancora oggi come la ricerca più ampia e dettagliata sulla condizione omosessuale in Italia – Marzio Barbagli e Asher Colombo quasi annunciano quell’happy ending di cui ancora siamo in attesa. Secondo i due illustri sociologi, proprio negli anni settanta è approdato anche nel belpaese quel processo di ridefinizione identitaria che ha trasformato invertiti e pederasti del passato in gay e lesbiche del presente. Questi ultimi, gli ‘omosessuali moderni’ – spiegano –, non appaiono più come uomini effemminati o donne mascoline che fanno sesso con uomini e donne eterosessuali, ma hanno un’identità di genere in tutto e per tutto conforme al loro sesso, e costruiscono relazioni d’amore ‘simmetriche’, basate su reciprocità ed eguaglianza, con persone simili a loro. Inoltre, non vivono più nell’ombra, ai margini della società, ma sono pronti a occuparne il centro e a esporsi alla luce del sole. Sono insomma i perfetti depositari dei valori progressisti della società neoliberale, fatti apposta per un matrimonio omosessuale che solo a causa della sua arretratezza lo Stato italiano è ancora recalcitrante ad approvare. Ancora un po’ di pazienza, sembrano suggerire Barbagli e Colombo: la modernizzazione è ben avviata, prima o poi si compirà.
Antologaia è invece un libro impaziente, che interviene con violenza sulle passioni tristi del presente, provocando un salutare shock. Il suo tono emotivo prevalente non è il rimpianto per un irriproducibile passato, ma l’entusiasmo per la ricerca di un’altra ‘modernità’, fuori tempo, che resta possibile oggi come allora. Negli anni settanta, sostengono gli esperti, si consolida nel senso comune la distinzione tra sesso, genere e orientamento sessuale che ha per sempre separato la soggettività omosessuale da quella trans (il processo di depsichiatrizzazione della prima si avvia infatti nel 1974, mentre la seconda è tutt’oggi considerata una patologia mentale). Ignaro di tutto questo, proprio in quegli anni un ambiguo e spregiudicato ragazzo del sud non cerca, ma sperimenta se stesso, incurante delle definizioni – premoderne, moderne o postmoderne – che si possono dare di lui. Sono in molti, attorno a lui, a voler cambiare il mondo. Ma non molti, come lui, fanno la rivoluzione partendo da sé. Ribattezzatosi Porporino (come il castrato napoletano protagonista del romanzo di Dominique Fernandez), poi Porporina e infine Porpora, anni dopo raccoglierà e racconterà altre storie (Tra le rose e le viole: La storia e le storie di transessuali e travestiti 2002, Favolose narranti: Storie di transessuali 2008): Antologaia, intanto, è la sua. Diventerà un giorno presidentessa del MIT (Movimento di Identità Transessuale), ma prima attraversa altre sigle, altri movimenti (Lotta Continua, gli Indiani metropolitani, il collettivo omosessuale rivoluzionario Narciso…), soprattutto altre identità. Non più invertito né pederasta, ma neppure gay o trans: travestita, finocchia o meglio frocia sono gli epiteti che più le si attagliano – nomi o meglio gridi di battaglia che annunciano il gaio comunismo:
«Tra gli etero mi sentivo gay, tra i gay mi sentivo trans, con le trans mi sentivo altro o meglio “oltre”. […] Non mi sono mai sentita maschio, né percepita come uomo, non per questo ho mai pensato di essere una donna, né di essere nata in un corpo sbagliato, ma piuttosto in un mondo sbagliato» (p. 28).
Prima più timida, poi sempre più audace fino a diventare sfacciata, nomade come i movimenti di quegli anni. A Napoli, a Roma, a Bologna, mai da sola. Lei e le sue compagne o meglio amiche o meglio ancora ‘amichesse’ non domandano diritti e riconoscimenti a uno Stato a cui per prime non riconoscono autorità. Corpi indocili e intensamente desideranti, semplicemente si reinventano la vita, contestando tutto e tutti, difendendosi da sé contro le squadracce di omofobi che disturbano i loro amori e i loro ‘battuage’. La rispettabilità la lasciano agli altri. A loro basta la ‘favolosità’:
«Eravamo convinte – e soprattutto decise – a vivere la nostra vita fino in fondo, mai e poi mai ci saremmo adeguate a qualcosa che non ci apparteneva. Volevamo tutto e lo volevamo subito, volevamo riprenderci la vita, viverla con orgoglio senza chiedere nulla ma prendendoci tutto. Eravamo frocie, figlie dei tempi, anticonformiste, avventuriere, comuniste, libertarie, peccatrici fiere di essere tali» (pp. 192-193).
La loro lotta politica non ha dunque il tempo del progetto, né dell’attesa. Mentre altri aspettano il sol dell’avvenir, per loro l’utopia è qui, è ora. Per Freud i legami sociali altro non sono che la sublimazione di pulsioni sessuali. Bene. Allora loro sono i reagenti che fanno precipitare la socialità contestataria degli anni settanta nella sua verità (in una delle sue verità) disvelando il sessuale che è presente nel politico-sociale. Subito. Nell’effervescenza dei movimenti la promiscuità è tanta: basta cogliere l’attimo, complici alcool e droghe che vengono consumate in quantità. Basta talvolta allungare una mano. Quando cala la notte, quando si allentano i freni inibitori, anche il più macho dei compagni può trasformarsi nel più tenero degli amanti:
«La purezza di genere è profonda presunzione, esiste solo raramente ed è un puro costrutto culturale. […] Io ero la finocchia sputtanata perché visibile, avevo i tratti ambigui, poco mascolini, mentre gli altri muscolari apparentemente impeccabili erano i cosiddetti “normali” (83). […] Una volta accertata e sancita la loro possibile integrità sessuale, riconosciuta la loro normalità di genere, ci si lasciava andare a pratiche degeneri (35). […] La sensazione diffusa era che ci stavano tutti, che tutti volevano scoprire cose nuove, che la sessualità stava uscendo dalle regole, si apriva al piacere, inseguendo/seguendo il desiderio. Il Sessantotto aveva aperto la breccia, il Settantasette aveva fatto saltare le barriere, messo tutto in discussione, e quello che ne scaturiva era una miscela frizzante» (p. 230).
Una grande festa, quindi. Più che una lotta continua, una cotta continua, un’orgia continua che cancella le barriere tra etero e omo-sessualità e al tempo stesso dimostra l’insufficienza della differenza, scolastica, tra identità di genere e orientamento sessuale. Ma non solo una festa. La nostra autrice non fa sconti alla realtà. Qua e là nel libro appaiono note luttuose, che si fanno assordanti nelle conclusioni. Perché gli anni settanta non finirono bene: lo stragismo, la violenza terrorista, la delusione, il riflusso, il disincanto, la crisi dell’Aids. E poi l’avvento di un capitalismo neoliberale, post-disciplinare, non più repressivo, dove nuovi moralismi convivono con la cooptazione della trasgressione nel mercato. Molte e molti dei coprotagonisti di Antologaia non sono sopravvissuti, portati via dall’HIV, dall’eroina, dalla propria disperazione (un nome per tutti: Mario Mieli, morto suicida nel 1983 – l’anno che pone fine alla narrazione). E poi dimenticati dai più, cancellati dall’avvento del mondo globale. Tuttavia, per chi legge, sul sentimento della sconfitta prevale quello della vittoria. Perché se le associazioni gay e lesbiche che dagli anni ottanta hanno puntato tutto sulle richieste dei diritti civili, per il momento – speriamo ancora per poco –, in Italia hanno perso, dalla sua storia Porpora esce invece come una regina in trionfo.
In questa fase difficile, i movimenti LGBTQI hanno bisogno non soltanto di coltivare la memoria, ma anche di mettere in dubbio il senso comune progressista e modernista interrogando le proprie aspirazioni e i propri desideri. Siamo sicuri che la risposta più efficace alla crociata contro la teoria del gender siano coppie di lesbiche e gay che con i loro nemici condividono l’aspirazione a un quieto vivere matrimoniale? Che cosa hanno perso le minoranze sessuali da quando la fede nuziale è diventata il loro unico vessillo? Porpora mostra che in un passato recente frocie sfacciate e fiere travestite hanno attentato all’ordine borghese e alle sue convenzioni. Alcune non ci sono più, altre sono tra noi, ma soprattutto altre ancora sono in noi, LGBTQI ma anche donne e uomini eterodissidenti. Hanno quindi ben ragione di temere, i custodi della tradizione veteropatraircale: non sarà certo il blocco della distribuzione degli opuscoli UNAR nelle scuole a fermare l’autodeterminazione sessuale!
Nell’apnea dell’attesa di diritti che appaiono prossimi e assieme sembrano non arrivare mai, di una seconda edizione di Antologaia si avvertiva insomma la necessità – come di una boccata d’aria fresca. Anche per far capire alle nuove generazioni globalizzate e poliglotte, se per caso ne avessero bisogno, che l’Italia non è obbligata a importare testi accademici dagli Stati Uniti per scoprirsi scandalosamente, favolosamente queer.