Ridateci il nostro futuro / Gabriele Del Grande: fermate le guerre, non le persone
"Sarà domani o sarà tra vent'anni, ma un giorno tutto finirà. Solo allora, poco a poco, a milioni ritorneranno nelle loro case da tutto il mondo. E noi rimarremo qui intrappolati nelle nostre mappe e nei nostri egoismi. Stretti tra i muri che abbiamo costruito per tenerci al sicuro e di cui capiremo il significato profondo soltanto quando dall'altra parte del filo spinato ci saranno i nostri figli. Perché la storia è una ruota che gira e non sempre perdona".
Gabriele Del Grande, 14 aprile 2016
"Quando hai visto la guerra, non è facile convivere con quello che sai. Non parlo di segreti o di scoop. Parlo di storie, di emozioni, di dolore. Alla fine devi fare qualcosa, prendere posizione. Forse più per te stesso, per non rimanere schiacciato dal peso di quel dolore. A maggior ragione se la guerra che hai conosciuto esce dai suoi confini e ti arriva in casa".
Gabriele Del Grande, 18 settembre 2016
Avete presente la generazione precaria, o perduta, quella che ha visto la morte della propria innocenza al G8 di Genova, la generazione spesso disgustata dalla politica e dalla diplomazia?
In questo momento a quella generazione, la nostra, manca una delle voci di cui ha più bisogno. Gabriele Del Grande per molti di noi è un compagno di strada, un amico, un fratello. E quando è stato arrestato era ancora una volta in prima linea, a raccontarci come nessun altro quello che succede nel nostro tempo.
Gabriele è uno dei pochi ad aver parlato sempre, da sempre, di libertà di circolazione – è stato tra i primi a farci sognare un mondo aperto, senza confini né frontiere. Ha incominciato tanti anni fa a viaggiare nel Mediterraneo, lungo i confini dell'Europa, “alla ricerca delle storie che fanno la storia. La storia che studieranno i nostri figli, quando nei testi di scuola si leggerà che negli anni duemila morirono a migliaia nei mari d'Italia e a migliaia vennero arrestati e deportati dalle nostre città. Mentre tutti fingevano di non vedere”.
Noi l'abbiamo conosciuto in un enorme cimitero a cielo aperto. Ci siamo stretti la mano a Birkenau, nella penombra dei lumini con la quale terminavano all'epoca i viaggi della memoria che abbiamo condiviso con migliaia di ragazzi e ragazze, in questi anni. Era il 2009 e Gabriele, al ritorno da quel viaggio, ha aggiunto queste parole, come una sorta di epigrafe, al suo blog Fortress Europe, nel quale da anni raccontava il suo, il nostro presente annegato, riportando alla luce con passione e rigore le decine di migliaia di storie che si perdono irrimediabilmente al largo delle nostre coste.
Gabriele ha continuato a camminare, poi, a vivere tra le due sponde del Mediterraneo – una delle sue tante case è stata anche la nostra Torino, per un po'. Ha continuato a cercare storie e a generarne: quattro anni dopo quel primo incontro ci ha telefonato per raccontarci di un progetto magnifico e folle, che sfidava il senso comune per provare a ribadire il diritto di viaggiare che ciascuno dovrebbe avere, indipendentemente dal luogo in cui gli è stato dato in sorte di vivere. È nato il meraviglioso documentario Io sto con la sposa: tre di noi – Daniele, Elena e Ruben – sono riusciti a prendere parte all'avventura, e la macchina dei “torinesi”, quella che apriva la finta carovana nuziale del film, si è guadagnata il soprannome di “auto-sonda”. Tutti noi abbiamo riso e abbiamo pianto, alla proiezione veneziana del film, pensando a come la caparbietà possa farsi sogno, ogni tanto. Tutti noi, in questi anni, grazie a Gabriele e alla rete sorprendente, viva e vera che è riuscito a creare intorno al suo lavoro, intorno alla sua vita, abbiamo creduto in un mondo in cui non è il pezzo di carta che abbiamo in tasca a renderci persone titolari del diritto a costruirsi un futuro e a viaggiare, ma il fatto stesso di esistere.
Gabriele ha amici e pezzi di famiglia – di quel genere di famiglia che ci si sceglie – in così tanti luoghi che spesso ci siamo chiesti se ne esiste uno in cui si senta a casa davvero. Lo guardiamo con ammirazione, perché non sappiamo se saremmo in grado di regalare se stessi al mondo come ha fatto lui in tutti questi anni. Da quando è in mano alle autorità turche, l'enorme famiglia che lui è riuscito a costruire ha iniziato a sussurrare la propria preoccupazione, e poi a gridarla. Perché i nostri occhi e le nostre voci sono in carcere con lui, perché di lui questa Italia e questa Europa hanno un immenso bisogno. Perché il cuore della nostra generazione sta sanguinando, nella cella in cui Gabriele ha iniziato lo sciopero della fame.
In molti ci dicono di non urlare, perché questo non facilita l'azione diplomatica. Sarà anche vero, probabilmente lo è, ma forse non è del tutto chiara la posta in gioco. L'Italia sarà una democrazia credibile, e l'Europa un fragile sogno con ancora un briciolo di futuro possibile, se Gabriele sarà rilasciato immediatamente, e senza condizioni. Se potrà tornare a casa, “ovunque essa sia”, come dice lui, se potrà continuare a essere gli occhi, la voce e il cuore della nostra generazione, quella che è stata abbandonata a se stessa, quella che – secondo molti – non sa immaginarsi grande.
Gabriele ha sempre saputo farci vedere com'è fatto un altro futuro, quello in cui non esiste un “noi” che si cerca individuando, circoscrivendo e criminalizzando un “loro”, quello in cui in tanti oramai credono, alla faccia di chi spranga confini, brandisce identitarismi e costruisce muri. “Alla faccia di chi, da una parte e dall'altra, vorrebbe solo dividerci”, come scriveva il 30 gennaio del 2017 Gabriele, raccontando di una proiezione di Io sto con la sposa a Raqqa mentre Trump stava vomitando i suoi piani di militarizzazione del confine con il Messico.
“Fermate le guerre, non le persone” era uno degli hashtag con cui Gabriele ha lanciato Io sto con la sposa. Siamo travolti dalla paura e dalla rabbia di saperlo fermo, incagliato in una prigione turca, e ogni giorno che scorre aumenta il nostro sconforto, le distanze si fanno incolmabili, gli errori prendono la forma degli incubi – ma continuiamo a vedere il futuro in cui Gabriele ha tenacemente creduto, in questi anni, e vogliamo guardarlo di nuovo negli occhi e brindare con lui e con un bicchiere di grappa (secca) al mondo che verrà. E allora fateci chiudere ancora con le sue parole, con quelle che lo definiscono e ci definiscono per quello che siamo: degli anywhere, figli del lato umano della globalizzazione che rivendichiamo, figli dell'Europa dei diritti che pretendiamo vengano rispettati.
È una lettera aperta a Paolo Gentiloni, datata 6 febbraio 2017, che non ha ancora ricevuto una risposta.
"Tra la repressione in frontiera e l'assistenzialismo in casa, c'è un terzo modello. È il modello della cittadinanza globale. L'idea che modernità è anche poter scegliere dove inseguire la propria felicità. Ovunque essa sia. Fosse anche una chimera. Sapendo che potrai sempre tornare a casa. Perché c'è una porta girevole. Per una metà della nostra generazione, quella dei passaporti rossi e blu, è già realtà. Per l'altra metà, quella dei passaporti verdi e neri, è soltanto un miraggio.
Nel mezzo c'è una zona grigia. Anzi una zona colorata. È un incredibile intreccio di fili che legano milioni di nuove famiglie euro-africane, euro-asiatiche, euro-arabe, euro-latine, euro-americane divise a metà da un'idea di confine ormai sorpassata dai fatti.
Inutile ingaggiare la Nato. Il flusso non si può fermare. Si può soltanto governare, dirigendolo verso gli uffici consolari e da lì verso gli aeroporti internazionali. Esattamente come avveniva fino alla fine degli anni Ottanta, prima che l'Europa alzasse i muri dei visti senza capire che l'improvviso aumento dell'immigrazione extra-europea non era dovuta all'eccessiva semplicità di rilascio dei titoli di viaggio, bensì alla globalizzazione.
Noi di quella globalizzazione e di quelle migrazioni siamo i figli. Orgogliosamente nati nelle nuove città-mondo europee e cresciuti viaggiando."
Il tempo delle domande è finito.
Vogliamo delle risposte.
Vogliamo Gabriele libero, a festeggiare con noi il 25 aprile.
Torino-Cracovia, 20 aprile 2017
Alice Ravinale
Carlo Greppi
Daniele Regoli
Elena Bissaca
Ruben Bianchetti
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