Gli scrittori delle Antille

10 Settembre 2014

Inauguriamo la rubrica Babel su doppiozero con una presentazione del festival a cura del suo direttore artistico Vanni Bianconi. L’edizione 2014 di Babel si terrà a Bellinzona dall’11 al 14 settembre e ospiterà le lingue delle Antille.

 


 

 

Babel è un festival letterario nato per osservare e interrogare la transizione, il farsi e il divenire. Il suo punto focale è la traduzione: già solo invitando i traduttori a dialogare con gli autori tradotti si rinnova il confronto del testo italiano con l'originale, mettendo così in luce la qualità fluida, per quanto rigorosa, del lavoro di traduzione, che mette in dubbio e risolve all'infinito. Questo approccio, che indaga motivi e necessità delle soluzioni linguistiche, non è sconosciuto agli autori, che spesso accolgono il pubblico in quel laboratorio mentale in cui la scrittura prende e dà la forma, e continua a farlo, anche a anni dalla pubblicazione di un testo. Inoltre, Babel tende a invitare scrittori che, per scelta o costrizione, si muovono tra più lingue o più culture, e che quindi già in fase di scrittura si trovano a operare forme di traduzione.

 

Babel si occupa di traduzione anche in senso stretto e concreto: organizza laboratori durante il festival e lezioni per le università, traduce libri e pubblica articoli, offre residenze e cura un fondo presso la biblioteca di Bellinzona, da quest’anno assegna un premio per giovani traduttori letterari. E in senso più lato, con i programmi di traduzioni tra i linguaggi artistici, che propongono rassegne di film, mostre d'arte e concerti che si confrontano con la lingua e la letteratura; lezioni sulla letteratura e la cultura ospite per le scuole cantonali; tour di letture per gli scrittori invitati.

 

Ma la traduzione è intesa innanzitutto come metafora di attraversamento e incontro in continuo divenire, è l'«ospitalità linguistica» che secondo Ricoeur ci porta ad andare verso l'altro per poterlo ospitare presso di noi, la storia di due asintoti. Questa metafora assume di anno in anno valenze nuove.

La prima edizione, nel 2006 a 50 anni dai Fatti di Ungheria, si è concentrata sugli scrittori della diaspora ungherese che scrivono in lingue diverse dalla loro lingua madre. L'edizione 2007, dedicata ai paesi balcanici, ha ospitato scrittori passati da una condizione condivisa, attraverso il trauma della guerra, alla progressiva divergenza culturale e perfino linguistica attuale, in tensione tra jugonostalgia e ridefinizione della specificità nazionale. Nel 2008, gli Inglesi Uniti d'America, scrittori provenienti dalle principali aree di immigrazione negli USA che hanno adottato la lingua inglese trasformandola dall'interno con influssi dei loro confini d'impero. E ancora la Russia, il Messico, la Palestina – ed è stata un'occasione per gli scrittori, provenienti dai Territori occupati e dalla diaspora, di esprimersi in termini artistici e non direttamente politici –, la Polonia e la sua letteratura non-fiction.

 

Con l'edizione 2013, dedicata alle letterature francofone dell'Africa, si è mosso un passo ulteriore nella ricerca sul divenire, imposto dal salto letterario compiuto dalle nuove generazioni: se fino alla generazione precedente di scrittori francofoni africani, quella tradotta e conosciuta, il lettore tanto reale che immaginato era l'occidentale, o parigino, a cui andava spiegato l'esotismo africano, gli scrittori più giovani, sconosciuti e non tradotti, a 50 anni dalle indipendenze, in uno scenario culturale pressoché immutato, ma che loro stessi contribuiscono a mutare con nuove case editrici, librerie, caffè letterari, laboratori ecc., sembrano raggiungere una consapevolezza diversa, e, senza dubbio, esiti letterari diversi. Questo lavoro di ricerca e di scouting ha portato a tradurre e far pubblicare per la prima volta in italiano vari scrittori giovani e molto giovani.

 

L'edizione 2014, dedicata alle lingue delle Antille, prosegue la ricerca dell'edizione africana. Si passa da un continente a un arcipelago strettamente legati, in primis dalla tratta degli schiavi, da una sola lingua a una varietà di lingue e contaminazioni delle lingue «standard», quasi assenti nelle letterature francofone africane. Le isole caraibiche presentano una molteplicità strabiliante di etnie e culture: vi si trovano tradizioni, riti, musiche e lingue che nei secoli hanno assorbito influssi diversi – dei vari paesi europei e africani, libanesi, indiani e cinesi, nord e sudamericani – e continuano a farlo in un divenire assimilante forse unico al mondo, il cui centro risiede nella stratificazione, che fa dell'arcipelago una vera e propria cerniera tra continenti, tale quale appare sulla mappa.

 

Se da questo punto di vista Babel ospita una cultura che è una ipertraduzione, dall'altro è Babel che si trova a fare da cerniera grazie alla sua ospitalità linguistica. Perché anche se in alcune isole più che in altre vi è un grande fermento culturale, la comunicazione tra le isole, in particolare quelle di lingue diverse, è molto limitata se non inesistente. Babel dà l'occasione di incontrarsi per la prima volta a molti scrittori che vivono a pochi chilometri di distanza, ma anche a operatori culturali caraibici, per esempio gli organizzatori del Bocas festival di Trinidad che da qualche anno stanno cercando di affrontare questa divisione interna grazie a eventi, premi, laboratori di scrittura e traduzioni. Proprio discutendo di queste cose con loro in febbraio, al tempo della votazione elvetica contro l'immigrazione di massa, a Babel è stato riconosciuto il minimo ma deciso gesto di resistenza che ricorda una Svizzera che è stata luogo franco – e non Franco – aperto all'ospitalità e all'incontro.

 

E un altro esempio di incontro e ospitalità è proprio la rubrica Babel su doppiozero.com che si apre con questa presentazione del festival: una rubrica in cui si pubblicheranno testi e articoli tradotti, riflessioni sulla traduzione e sulle culture ospiti che possono presentare il lavoro in corso – per esempio i testi di Édouard Glissant e Rita Indiana Hernandez che usciranno in questi giorni – ma anche preparare alle edizioni future, iniziando da quella 2015 dedicata alle lingue e alle letterature della Svizzera, e in particolare alle forti tensioni tra dialetto e lingua, oralità e scrittura, che danno un impulso senza precedenti ai giovani scrittori svizzeri: una realtà per alcuni aspetti più vicina a quella caraibica che non a quella italiana, e che per questo si vuole presentare progressivamente pubblicando riflessioni e estratti di testi narrativi tradotti appositamente nel corso dell’anno.

 

 

 

 

Nel 2014 ospiti del festival saranno gli scrittori delle Antille, le isole caraibiche occupate a turno da tutte le potenze coloniali europee e popolate dai discendenti delle tribù indigene e degli africani deportati in massa al tempo della tratta degli schiavi, ex coloni, meticci e una moltitudine di immigrazioni remote e recenti. Un crogiolo di razze e di culture le cui radici storiche affondano profonde in Africa e in Europa, ma le cui ramificazioni si spingono verso le Americhe e il mondo intero. O meglio, come mangrovie, si radicano e ramificano nel mare reagendo all’incessante cambiamento delle correnti e delle maree con una capacità di adattamento, aggregazione, ribellione e riconquista unica al mondo.

 

Dallo spagnolo di Cuba e della Repubblica Dominicana al francese di Haiti e della Martinica, all’inglese di Trinidad e della Giamaica all’olandese di Curacao, al portoghese, al hindi, al cinese, alla varietà di patois e creoli, le lingue delle Antille rispecchiano questo ricchissimo e drammatico groviglio di influssi diversi. Le letterature delle Antille sono i frutti di questo complesso intrico di radici, inflorescenze, marosi, mostri marini e ramificazioni.

Gli autori del programma "La parola oltre i confini" sono Earl Lovelace, Lyonel Trouillot, Abilio Estévez, Elizabeth Walcott-Hackshaw, Rita Indiana Hernandez, Patrick Chamoiseau, Robert Antoni, Kei Miller, Bern ist Überall.

Babel si spinge anche "Oltre i confini della parola". Rocksteady, rumba, ska, reggae, steel pan, dub, soca, son cubano, salsa, cumbia, merengue: è sterminata la lista dei generi musicali dalle origini ibride e dal fascino irresistibile che provengono dai Caraibi. Babel ha scelto un ulteriore contaminazione invitando Mark Ernestus, tra le più influenti figure della scena techno berlinese dagli anni ’80 a oggi, e Paul St. Hilaire, alias Tikiman, cantante e compositore reggae capace di combinare in modo unico roots-reggae e elettronica, e di far crescere reggae ipermoderno dai semi più antichi.

 

Nelle settimane che precedono Babel, cineBabel propone una rassegna di film di Haiti, Cuba, Suriname, Martinica e altre isole dei Caraibi, per aprire il festival giovedì sera con Poetry is an Island, un documentario sul poeta Premio Nobel Derek Walcott, la sua visione della scrittura, la scrittura della sua isola, St. Lucia.

Per artBabel, Attilio Wismer interviene sugli spazi interni ed esterni del festival con un’installazione-arcipelago, mentre nel cineBooth verranno proiettati video di artisti contemporanei e una selezione di documentari.

 

Babel non si esaurisce nei giorni del festival: il lavoro di ricerca svolto ogni anno porta a scoprire testi, contesti, idee, autori affascinanti e inediti: grazie alla comunità internazionale e sempre crescente di enti e persone con cui Babel collabora, il festival riesce a sfruttare queste scoperte che possono così continuare a prendere forma di libro, filmato, intervista, evento o articolo. Questa dimensione del festival è chiamata infraBabel pensando alle sorprese infilate tra le migliaia di pagine lette per la preparazione delle varie edizioni, come quest’anno con l'antologia Asimmetrici arcipelaghi di Cascio editore, che riunisce testi di tutti gli ospiti del festival tradotti apposta per Babel.

 

Completano il festival le proposte extraBabel, del Settore ricerca e del Settore scuole, con i workshop e il Simposio di traduzione letteraria, le svariate collaborazioni con enti culturali svizzeri e internazionali, la prima edizione del Premio Babel per la traduzione letteraria.

 

 

 

 

Édouard Glissant

PICCOLO GLOSSARIO DELLA CULTURA CARAIBICA

da Édouard Glissant, Le discours antillais,  Éditions Gallimard, Paris 1997 (p. 823 - 830)

Traduzione di Valentina Parlato.

 

ABOLIZIONE (“Liberazione” degli schiavi). 1848. La Seconda Repubblica delega a Schœlcher il compito di occuparsi della questione. È il nuovo “padre”, sostituto sublimato del colono. Da Schœlcher a de Gaulle ci sarà sempre un padre sul quale i martinicani fantasticheranno. Questa alienazione trova la sua origine nelle modalità dell’Abolizione del 1848. Per questo parlo sempre di una cosiddetta liberazione e scrivo “liberazione” con le virgolette.

 

ANTILLE. Forse stiamo vivendo l’unione delle loro culture, l’annuncio di una civiltà. Credo che il mare delle Antille non stringe, ma diffrange. Non impone l’Uno, irradia il diverso.

 

ANTILLE ANGLOFONE. Così simili e così diverse. Lì si diffida dell’antillanità come teoria ma ci si sforza di metterla in atto. Le storie dei popoli convergono qui più sensibilmente che per noi francesi. Gli antillani di questi Paesi sono forse anche più anglicizzati di quanto noi siamo francesizzati. Ma non vogliono essere inglesi.

 

ANTILLE FRANCOFONE. Coriandoli, ballerine, incubi, arcipelago incompiuto, polveri, ecc. È così che siamo percepiti. Martinica, Guadalupa. Non abbiamo ancora imposto all’altro l’immagine della nostra realtà.

 

ANTILLANITÀ. Più che una teoria, una visione. La sua forza è tale che se ne dice qualsiasi cosa. In due o tre occasioni ho sentito proporre l’antillanità (senza altre precisazioni) come soluzione globale a problemi reali o immaginati. Quando una parola diventa un tale passe-partout, si può dire che ha raggiunto il reale.

 

ARAWAK. CARIBI. I primi abitanti delle Isole. Massacrati senza eccezione. Qualche migliaio parcheggiati nell’Isola di Dominica. Era prestigioso per i martinicani che vivevano in Francia, nel periodo di formazione dell’élite martinicana, lasciar credere che discendessero da un capo caraibico. Cosa che sottintendeva che non erano tanto africani quanto sembravano.

 

ASSIMILAZIONE. Il principio di qualsiasi tipo di assimilazione è il contatto diretto e la fusione per osmosi. La cosa incredibile nella teoria dell’assimilazione alle Antille (francofone) sta nel fatto che quello a cui gli antillani vogliono assimilarsi – la realtà francese – in realtà non è altro che l’eco molto snaturata di questa realtà, uno zombie di cultura e di divenire. Cosa che zombifica a sua volta il postulante. Non c’è altra risorsa se non quella di pretendere fantasmaticamente la “verità” da un’operazione sganciata di continuo dalla realtà.

 

AUTONOMIA. Non si sa bene se è un ideale o un passaggio. Si tratterebbe di “dirigere i propri affari” contando sull’altro per equilibrarli.

 

ALTRA AMERICA (L’). Quella di Juarez, di Bolivar e di Martí. Quella di Neruda. Ma quella soprattutto degli amerindi. L’idea dell’Altra America (formulata da Josè Martí) fa da contrappeso culturale all’America anglosassone. Ma l’altra America non è “latina”, si può credere che questa denominazione scomparirà a poco a poco.

 

BARBABIETOLA. Colpisce come questo tubero abbia dominato invisibile la storia delle Antille francofone. Quello che è avvenuto nelle pianure del nord della Francia ha cambiato il paesaggio tropicale della Martinica.

 

CALIBANO. Cannibale. Shakespeare ci ha dato la parola, i nostri scrittori l’hanno rifatta.

 

CARNEVALE. Finalmente è resuscitato, nel 1980. Va tutto bene. Comunque si corre al carnevale di Trinidad e forse anche a quello di Rio.

 

CODICE NERO. Pubblicato da Colbert nel 1655, regolamentava la vita degli schiavi. A seconda del vostro ottimismo lo considererete un’opera umanitaria o il monumento del cinismo colonialista.

 

COMMANDEUR. Nella gerarchia del lavoro servile o nel sistema delle piantagioni, è il capo in contatto più diretto con i lavoratori agricoli. Sopra di lui, l’economo e il gestore.

 

COMPARE CONIGLIO (LEONE, TIGRE, ELEFANTE). Una delle particolarità della favola antillana è quella di mettere in scena degli animali (di solito africani) che non esistono nel Paese, ma che esistono.

 

CONOSCENZA DELLEST. Il titolo di Claudel è simbolico della dinamica di tanti uomini dell’ovest che hanno tentato l’alterità assoluta, senza smettere di essere per prima cosa occidentali. Solamente Victor Segalen, l’iniziatore, osa andare fino in fondo a questa avventura, fino a morirne.

 

COLTELLACCIO. Fare la storia di questo strumento che è anche un’arma. Impugnato nelle rivolte, serve anche all’auto-aggressione. Alla “violenza senza ragione” tra martinicani.

 

COOLIES. J.Ivor Case rimprovera agli scrittori antillani di lingua francese di non interessarsi alla questione degli indù trasferiti a partire dal 1850. Questi ultimi conservano le loro abitudini; hanno subìto a lungo il razzismo dei neri. La denominazione è spesso considerata ingiuriosa. La presenza indù crea un problema, per rivalità con il gruppo degli africani (o inversamente) in molte delle Antille anglofone. Gli indù sono chiamati Malabar in Guadalupa.

 

CREOLITÁ. Teoria secondo la quale bisogna riunire i popoli creolofoni (compresi quelli delle isole Réunion) e sviluppare l’uso esclusivo della lingua. La creolità adotta ciò di cui ha sofferto la nostra lingua (il monolinguismo discriminante) e ignora le storie antillane: quello che ci unisce ai giamaicani e ai portoricani, al di là delle barriere linguistiche.

 

CROCE DI MISSIONE. Nei villaggi. Di solito viene considerata la prima croce piantata dai missionari e anche tutta la zona limitrofa. Luogo privilegiato delle chiacchiere di strada. Resta il nome ma la sua funzione si è persa.

 

DA. La balia nera. Ha un suo equivalente in tutta la regione caraibica e nel sud degli Stati Uniti. Personaggio ideale da romanzo (vittimistico). Nera, schiava eppure affettuosa ed eroica.

 

DIPARTIMENTALIZZAZIONE. Quello che era considerato un “progresso giuridico e amministrativo” è diventato un ideale a sé stante. Da notare: l’insistenza lancinante con la quale il discorso ufficiale attraverso i media designa la Martinica solo con espressioni: dipartimento, nostro dipartimento. Alla fine ci si fa l’abitudine.

 

DIAVOLI. Figure del Carnevale. Erano stravaganti e sbracati: terrificanti. Sono stati uniformati. Oggi in tutti i negozi si vendono costumi per diavoli, grandi e piccoli.

 

DOMINICA (LA). A nord della Martinica. Diventata indipendente dopo essere stata una colonia inglese. I martinicani confrontano volentieri i loro redditi pro capite a quello dei dominicani. Per concludere che conviene “rimanere francesi”. Vedi anche: Saint Lucia, a sud.

 

ÉLITE. Come un po’ ovunque nel Terzo mondo, quello che atterrisce, in considerazione del suo poco peso, è la sua sicurezza, il cattivo gusto tranquillo, il suo sereno essere servile, l’improduttività cronica.

 

FER-DE-LANCE. È il serpente dalla testa triangolare molto velenoso della Martinica. Ossessiona i nostri inconsci. Nelle campagne si dice: il nemico, la bestia lunga. Viene chiamato anche (per non pronunciare la parola serpente) la cravatta.

 

GORÉE. Isola del Senegal dove venivano imbarcati gli schiavi rapiti sul Continente. Sogniamo tutti l’isola di Gorée, come si sogna l’origine da cui si è stati esclusi: senza saperlo veramente.

 

GRIOT. Cantore e cantante africano. Il Griot ha uno status sociale, è un “professionista”, il cantore antillano invece è di solito un bracciante agricolo la cui arte di raccontare è solo ricreativa.

 

HAITI (SANTO DOMINGO). Probabilmente la nuova “terra-madre”. Qui si sono ritrovate, e solo qui, le condizioni della sopravvivenza organizzata e l’affermazione politica (rivoluzionaria) che ne consegue. La dismisura del sottosviluppo e gli estremismi dei Tonton macoutes ( membri di una milizia che terrorizzava la popolazione haitiana sotto la dittatura di Duvalier) non hanno fatto altro che far regredire questo Paese al di là di qualsiasi possibile valutazione. Ma Haiti conserva una forza nata dalla memoria storica, di cui tutti gli antillani avranno un giorno bisogno.

 

INDIPENDENZA. La grande paura dei martinicani. Ma che indietreggia sotto i violenti attacchi delle contraddizioni del reale. Mi dicono che i responsabili del Terzo mondo ridacchiano (all’ONU per esempio) quando si parla della Martinica. La crisi, qui inevitabile, non sappiamo cosa ci prepari.

 

LAGHIA (DAMIER). Danza in forma di combattimento. I due danzatori sono in mezzo agli spettatori ordinati in un cerchio regolato da un tamburo. In Brasile esiste la stessa danza. Il Laghia è sicuramente una forma derivata dalle iniziazioni. C’è sempre un Major (un campione) sfidato da un postulante. Esercizio regressivo. Il Laghia era legato alla produzione della canna da zucchero.

 

LA GRANDE PATRIA E LA PICCOLA PATRIA. È una delle creazioni tra le più inaudite dell’élite, al momento della sua formazione ideologica. La divisione gerarchizzata della nozione di Patria si concepisce solo nel quadro ambiguo e tormentato di questa costruzione elitaria. Una tale divisione è stata finalmente abbandonata. La Piccola Patria è diventata dipartimento.

 

LEGBA (E OGUN, DAMBALLAH, ECC.). Divinità o Loa del Vudù, ognuno con la sua personalità e una sua funzione. Molti martinicani fanno il viaggio iniziatico a Haiti.

 

MARRONAGE (CIMARRONI). Hanno conosciuto fortune diverse secondo la dimensione geografica delle isole dove praticavano il marronage. A Cuba hanno scoperto nel 1979 dei siti di antichi accampamenti di Cimarroni con oggetti, preziosi per la ricerca (pipe di terra, coltellacci, ecc.). A Haiti i Dokos erano una comunità di Cimarroni. In Guyana, i Boni e i Saramaccani sono ancora oggi delle comunità specifiche. In Giamaica, l’epopea dei Trelawny e dei Windward Maroon è stata condotta da capi eccezionali: Juan de Bolas, The Great Traitor; il più geniale di tutti, Cudjoe, The Mountain Lion; Quao, The Invisible Hunter. Vinti dalla negoziazione e non dalle armi, i Cimarroni della Giamaica furono deportati prima a Halifax in Canada (1796) poi a Freetown in Sierra Leone (1800) dove si erano stabiliti sin dal 1787 dei neri liberi partiti dall’Inghilterra. In Sierra Leone c’è una varietà di creoli, Krio.

 

MÉTROPOLITAIN; MÉTROPOLE. Dico sistematicamente: francesi, Francia, cosa che sconvolge i miei interlocutori martinicani mentre i francesi restano di solito indifferenti.

 

PACOTILLEUSE. Commerciante di oggetti artigianali per turisti, ma che si rifornisce regolarmente a Haiti. La quasi totalità degli oggetti venduti sulla Savane di Fort-de-France proviene da questo Paese.

 

PÓYÓS. Piccole banane verdi, coltivate soprattutto in Guadalupa, che non maturavano mai completamente. Siamo stati molto felici di riceverne in Martinica. La parola è diventata simbolo della penuria, se non della miseria endemica.

 

QUARESIMA. Stagione secca (da febbraio ad agosto). Di volta in volta più umido, perché qui il tempo si trasforma. Credenza popolare: gli Americani puliscono i loro corridoi aerei intorno a Cape Canaveral e buttano tutti i residui dei temporali, delle piogge e dei cicloni su di noi. Questa la causa dei cambiamenti di clima. La stagione delle piogge (settembre-gennaio) è detta hivernage.

 

QUECHUA. Forse il popolo indigeno del Sud America che parla di più all’immaginazione: per il suo mutismo storico e la sua presenza ostinata.

 

SCHŒLCHERISME. Dottrina che è sicuramente all’origine del pensiero assimilazionista. Schœlcher “ci ha liberati”. Esiste quindi una via “francese” dell’emancipazione e dell’evoluzione.

 

SOLIDARIETÀ NAZIONALE. È l’espressione pudica dietro alla quale si nascondono gli investimenti pubblici destinati a loro volta a nascondere i termini dello scambio tra la Francia e i Dipartimenti d’oltremare.

 

STATUTO. Dipartimento, Regione autogestita, Nazione indipendente. La questione dello “statuto” è derisoria fino a quando non è “in atto”.

 

TRE (Tray). Vassoio dove si vende la mercanzia.

 

TÚPAC AMARU. Questo eroe della rivolta indiana nelle Ande ci affascina. Uno dei suoi primi compagni è stato un africano. Oggi il movimento dei Tupamaros si rifà simbolicamente a lui.

 

VÈVÈS. Figure disegnate dagli officianti del vudù, prima o durante le cerimonie.

 

ZOREILL o ZOREYE o ZOREY. Sono designati così in Martinica i Bianchi. Forse perché hanno le orecchie rosse a causa del sole? Questa denominazione si è talmente generalizzata che ha perso la sua connotazione negativa.

 

 

Édouard Glissant (1928-2011). Nato a Sainte-Marie, in Martinica, Glissant è considerato tra i massimi esponenti della letteratura francofona del Novecento. Di particolare rilevanza le sue teorie di “antillanità”, “creolizzazione” e “tutto-mondo” sviluppate in risposta all’afrocentrismo della “negritudine” di Aimé Césaire. Della sua vasta opera di romanziere e saggista, in italiano sono stati pubblicati: Il quarto secolo (Edizioni Lavoro 2003), Poetica della relazione (Quodlibet 2007), Il pensiero del tremore (Libri Scheiwiller 2008), Tutto-Mondo (Edizioni Lavoro 2009), La Lézarde (Jaca Book 2013). Il suo pensiero e la sua opera hanno ispirato la successiva generazione di scrittori martinicani, tra cui il romanziere Patrick Chamoiseau, coautore con Glissant del pamphlet Quando cadono i muri (Nottetempo 2008). 

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