Il senso del ridicolo, 23/25 settembre 2015 / I repertori dei matti (II)
Qui la prima parte.
Una delle cose che non volevamo fare quando abbiamo cominciato a lavorare sui Repertori dei matti delle viarie città, era un libro su dei matti scritto da dei sani.
Io, allora, alla fine del 2014, avevo appena letto dell’idea di Lacan che il matto, ormai, in occidente, non poteva più considerarsi quello che si metteva lo scolapasta in testa e credeva di essere Napoleone. Il matto, secondo Lacan, avevo appena letto, era Napoleone che credeva di essere Napoleone, e questa idea di Lacan sono stato tentato di metterla in epigrafe ai repertori dei matti delle varie città fino a che non ho letto un saggio di Manganelli dove Manganelli spiega perché ha cominciato a scrivere, e dice che ha cominciato perché non sapeva come allacciarsi le scarpe, e indica il matto come modello di quelli che, come lui, scrivono.
«Il matto – scrive Manganelli – viene prima dello scrittore, dell’astrologo, dell’alchimista; in qualche modo, è la figura archetipa, l’esempio che costoro imitano. È ovvio che non si valuta un matto: non si dice “costui è un matto ‘bravo’”, non ci sono matti migliori di altri; un matto è un capolavoro inutile, e non c’è altro da dire».
Questa immagine di Manganelli del matto come capolavoro inutile, che si ritrova in una una sua poesia: («Scrivi scrivi / se soffri adopera il tuo dolore: / prendilo in mano, toccalo, / maneggialo come un mattone, / un martello, un chiodo, / una corda, una lama; / un utensile insomma. / Se sei pazzo, come certamente sei, / usa la tua pazzia: i fantasmi che affollano la tua strada / usali come piume per farne materassi; / o come lenzuoli pregiati / per notti d’amore; / o come bandiere di sterminati / reggimenti di bersaglieri [Giorgio Manganelli, Poesie, Milano, Crocetti 2006, p. 184]), noi l’abbiamo un po’ presa come guida, e quando io mi sono accorto di essere finito nel repertorio dei matti della città di Bologna, cioè che uno dei matti bolognesi ero io, devo dire che sono stato contento. Tra gli estensori del repertorio dei matti della città di Torino c’era Angelo Fioritti, che è stato per anni direttore del Servizio di Diagnosi e Cura dell’ASL di Bologna e che coi matti ci ha lavorato per anni. Angelo ha detto che per lui è stato molto interessante fare questo lavoro perché per lui è stato anche un momento per capire il modo in cui chi, come me e come la maggior parte degli altri redattori, non aveva mai avuto frequentato in modo continuativo dei matti, considerava i matti, e quando poi il libro è uscito Angelo ha organizzato una presentazione in un posto bellissimo, l’oratorio di Santa Maria della Vita, in centro a Bologna; io quel giorno lì ero un po’ agitato perché non sapevo come sarebbe andato, l’incontro, invece la cosa mi sembra che poi sia andata bene e alla fine, una delle pazienti di Angelo mi ha chiesto «Ma perché non avete fatto un repertorio dei normali, della città di Bologna? Io ne ho scritto uno, posso leggerlo». E il suo normale diceva «Uno si svegliava al mattino, faceva la doccia, si faceva la barba, si vestiva, faceva colazione, caffelatte e biscotti al cioccolato, si lavava i denti, usciva». Una cosa noiosissima.
Una cosa che mi ha detto Angelo, quella sera lì, e nemmeno a quella avevo pensato, era che noi, nei nostri libretti, avevamo un po’ cancellato il confine tra sanità e pazzia, che è una cosa che mi è tornata in mente quando, lavorando al Repertorio dei matti della città di Roma uno dei redattori ha letto questo matto: «Uno che si chiamava Nino B. stava nel padiglione 16 e quando gli dissero che volevano chiudere il Santa Maria della Pietà, l’ospedale psichiatrico di Roma, prese il direttore sanitario Tommaso L. e gli disse: “non puoi sapere quanto sia difficile per noi entrare fuori”».
Dopo il Repertorio dei matti della città di Bologna, che abbiamo fatto alla libreria Modo Infoshop di Bologna, e il Repertorio dei matti della città di Milano (che abbiamo fatto ai Frigoriferi milanesi) abbiamo fatto il Repertorio dei matti della città di Torino (al Circolo dei lettori di Torino) e il Repertorio dei matti della città di Roma (alla Liberia Altroquando).
Per quel che ne capisco io (poco, credo) il matto più torinese dei matti di Torino è:
Uno che telefonava ai vicini per dire che dalla sua finestra vedeva un quadro storto e per favore di drizzarlo, se no non riusciva a dormire.
I matti torinesi, per quel che ne capisco io (poco, credo), sono matti domestici, se così si può dire, quasi tutti in interni, e si comportano come se fossero in interni anche quando sono all’aria aperta, come questo:
Uno percorreva le vie attorno a Porta Nuova munito di spruzzino tipo Vetril e di straccio. Spruzzava il detersivo su marciapiedi, davanzali, auto parcheggiate, eccetera e poi puliva.
O questo qua:
Uno si puliva i denti col filo interdentale in chiesa, durante la messa.
Altri matti di Torino sono questi:
Uno faceva il cantautore andava col treno a suonare in giro per l’Italia. Raramente faceva il biglietto. Una volta era arrivato un controllore e gli aveva chiesto il biglietto. Lui si era alzato di scatto, “Oh, proprio lei stavo cercando” gli aveva detto, poi gli aveva spiegato di essere un giornalista de La Stampa e di stare facendo un articolo su Trenitalia e che doveva assolutamente parlare col capotreno. Poi gli aveva fatto un sacco di complimenti e il controllore lo aveva accompagnato dal capotreno. Il cantautore aveva fatto un sacco di complimenti anche al capotreno e anche molte domande e il capotreno era così contento di fare un’intervista che aveva risposto a tutte le domande e gli aveva poi fatto anche vedere la cabina di guida. Poi alla fine quando erano arrivati a Torino il cantautore gli aveva detto che il pezzo sarebbe uscito la settimana successiva ed era sceso, lasciando il capotreno tutto contento, così contento che si era scordato di chiedergli il biglietto.
Uno si era rapato a zero lasciando solo un ricciolino che gli ricadeva sulla fronte. Alla domanda “perché quel ricciolo?”, rispondeva: “perché mi chiedano perché quel ricciolo? Quando incontro qualcuno non so mai cosa dire e da cosa cominciare”.
Una volta mentre il cantautore si trovava su un treno in Abruzzo era arrivato il controllore e gli aveva chiesto il biglietto. Lui si era alzato di scatto, “Oh, proprio lei stavo cercando” gli aveva detto, e gli aveva spiegato che lui era una vita che aveva un sogno nel cassetto e quel sogno nel cassetto era annunciare agli altoparlanti del treno Intercity l’arrivo alla stazione di Pescara, e il controllore doveva essersi sentito un po’ lusingato che qualcuno desiderasse fare così tanto una cosa che lui faceva così spesso, così gli aveva fatto annunciare la stazione di Pescara. “Siamo in arrivo alla stazione di... Pescara” aveva detto scandendo bene le parole il cantautore al microfono, e la sua voce era riecheggiata in tutte le carrozze del treno in arrivo alla stazione di Pescara. Il cantautore aveva ringraziato tanto il controllore per avergli dato la possibilità di esaudire quel sogno, poi mentre il treno si fermava e le porte si aprivano aveva raccolto la chitarra ed era sceso, lasciando il controllore così contento che si era scordato di chiedergli il biglietto.
Un’insegnante ogni volta, ma proprio ogni volta, che usciva da scuola, sbraitava in crescendo: «Sono stufa, ma stufa, ma stufa, ma stufa…………… aaaaaaaaaaaaah come sono stufa!». Una volta andata in pensione continuava: «Ero stufa, ma stufa, ma stufa………….. aaaaaaaaaaaah com’ero stufa!».
Uno aveva passato un po’ di anni chiuso in casa a guardare la filmografia di Bergman poi si era comprato una Volvo per affetto.
Uno nel 2009, due anni prima di diventare sindaco di Torino, aveva detto a un giornalista di RepubblicaTv: “Perché se Grillo vuole far politica, fondi un partito, metta in piedi un’organizzazione, vediamo quanti voti prende, e perché non lo fa?”
Una aveva preso in prestito un libro e c’era una annotazione a matita nella prima pagina: “bellissimo”. Dopo averlo letto, condividendo l’opinione dello sconosciuto che lo aveva preceduto nella lettura, aveva scritto, sempre a matita: “è vero”. Dopo l’aveva restituito. Ogni tanto, poi, provava a riprenderlo in prestito per vedere se la conversazione fosse andata avanti, ma non si imbatteva mai nella copia di allora e ci rimaneva male.
Una è traduttrice. Quando ha pronte le varie stesure di un testo, prima la versione pigra, con quello che le viene in mente lì per lì e poi, poco a poco, la bella (che proprio bella bella non le sembra mai) le legge tutte ad alta voce facendo avanti e indietro lungo il corridoio, per accompagnare l’andamento sintattico. Siccome ormai le case hanno i muri di cartone, un giorno lungo il corridoio ha sentito la vicina che diceva al telefono: «Questa qui di fianco è matta, parla da sola per delle ore, poveretta, così giovane, meno male che non ha figli».
C’era uno che ha lasciato un’impronta di sé, una figura sofferente e statica, ormai molti anni fa. Di tanto in tanto ci sono periodi in cui si concede un'ostensione, pubblica, ma sempre molto ben protetta; per tutte e tutti coloro che continuano a credere di riconoscerlo.
Poi dopo abbiamo fatto il Repertorio dei matti della città di Roma. Io, ne so poco, ma ho l’impressione che, a Roma, se ne potrebbe scrivere uno al giorno, dei Repertori dei matti della città di Roma. Uno arriva in stazione, comincia a guardarsi intorno, e prende nota. Alcuni esempi, comunque, di quel che è saltato fuori quando ci abbiamo provato poi, sono questi:
Uno era un autista dell’autobus 62. Quando arrivava la notte, alla fine della corsa al capolinea di Piazza Bologna scriveva sul suo display “Gotham city”.
Uno su una cassetta delle lettere al Trullo ha messo un cartello: Tra mail whatsapp e sms / le mie prospettive nun so più le stesse / me sembro n’anziana ‘n po’ rimbambita / che in mezzo alla strada osserva la vita / la vita che ormai m’ha messo da parte / insieme all’inchiostro co’ le sue carte / servo sortanto pe’ mette alle strette / intere famije, co murte e bollette! / Non c’ho cartoline di viaggi in Australia / ma lettere infami firmate Equitalia.
Uno, stanco di abitare in una strada che non aveva un nome, un giorno, sotto casa sua ci aveva piantato un cartello. C’era scritto “Via Meglio di Niente”.
Una volta uno è entrato in una libreria. Dopo essersi guardato intorno per un po’ ha detto: “Ma qui vendete solo libri?”.
Una che prendeva spesso l’autobus 301 gridava ai passeggeri “servo!”, “proletaria!”, oppure “serva lesbica!” se era una donna. Arrivata alla sua fermata con gentilezza diceva “Scusi operaio, devo scendere. Vai col mitra”. Poi scendeva.
Uno è l’uomo uccello di Torpignattara. Si chiama Claudio Montuori e indossa piume e ciabatte, ha una nuvola di capelli bianchi e ricci in testa e suona gli strumenti che si costruisce da solo. Una volta, alla fine di una canzone, ha detto: “L’unica legge che regge è la leggerezza” e poi ha soffiato su una piuma che gli era volata via dalla testa mentre suonava.
Al cimitero di Prima Porta una portava le figlie a vedere le salme bruciare per abituarle alla morte.
Scriveva messaggi d’amore alla ex fidanzata nelle pagine degli annunci economici di un quotidiano gratuito. “Ti amo ancora, mi manchi da morire. Ti ho vista da Pizza e Polli ieri sera, che emozione”.
Uno era quello che aveva preso a schiaffi Moravia, che aveva dato una ginocchiata sulle palle a Pippo Baudo, che al Festival di Spoleto si fece trovare nella stanza del compositore Gian Carlo Menotti col indosso il suo pigiama, che si autoproclamò figlio segreto di Guttuso e che, secondo Oriana Fallaci, sapeva la verità sull’omicidio di Pasolini. Si chiamava Mario Appignani e lo chiamavano Cavallo Pazzo.
Ogni tanto una di Via delle Fornaci faceva vestire le bambine con gli abiti da festa per andare a teatro e poi diceva che non andavano più così le educava alla difficoltà della vita.
Uno era quel tifoso della Roma che andò al campo di allenamento della squadra a Trigoria, aspettò che i giocatori uscissero dal parcheggio per fermarsi a fare gli autografi e quando vide il difensore Cesar Gomez, da due anni alla Roma e con una sola presenza in campionato con la sconfitta al derby, fermò la sua macchina e gli disse: “A Cesar Gomez se c’hai ‘na penna te faccio l’autografo”.
Uno di Trastevere è il proprietario di una Smart Nera con l’immagine di Gesù sulla fiancata e la scritta: “Con Gesù sei insuperabile”.
Uno era Papa Stefano VI che riesumò il suo predecessore Papa Formoso nove mesi dopo la sua morte, ne rivestì il cadavere con abiti papali, lo mise sul trono e lo interrogò e lo accusò di essere diventato papa senza averne il diritto. Fu chiamato "Sinodo Cadaverico”: giudicato colpevole di eresia, il cadavere di Papa Formoso venne condannato come “antipapa”, poi venne spogliato, gli amputarono due dita, quelle con le quali impartiva la sua falsa benedizione e poi venne buttato nel Tevere. Qualcuno poi trovò il cadavere di Papa Formoso e lo portò a San Pietro.
Uno era Sergio III che riesumò il suo predecessore Papa Formoso, morto, riesumato, interrogato, condannato nove anni prima. Come fece già Papa Stefano VI, Sergio III condannò Papa Formoso per eresia, gli asportò altre dita e lo ributtò un'altra volta nel Tevere dopo averlo decapitato. Ma il cadavere senza testa di Papa Formoso venne ritrovato nella rete di un pescatore e venne riportato un'altra volta a San Pietro.
C'era uno a piazza Fiume che alle 16,00 in punto si metteva davanti alla fermata dell'autobus e gridava: “Ansiaaaa, Ansiaaa”, tre o quattro volte, poi si bloccava, cercava con gli occhi qualcuno o qualcosa, e ricominciava a gridare: “Ansiaaa, anssiaaa". Quando gli venne chiesto chi cercasse, rispose che si trattava del suo cane.
Il repertorio dei matti della città di Torino è stato scritto da: Lucio Aimasso, Monica Bedana, Donatella Bosio, Francesco Caligaris, Gabriella Dal Lago, Diego Finelli, Mariangela Fassino, Sara Fiorillo, Giovanni Frigione, Pino Pace, Monica Rasino, Paola Restagno, Luca Vallese, Giorgio Viarengo e Sharon Zanni; il repertorio dei matti della città di Roma è stato scritto da Flavio Balzano, Gaspare Bitetto, Simona Caleo, Andrea Cardoni, Roberta Clementoni, Flora Farina, Francesca Fiorletta, Giorgio Galli, Matteo Girardi, Stefano Maria Girardi, Emanuela Lancianese, Antonio Migliore, Flavia Montecchi, Flavio Paioletti, Fabiana Sargentini, Margherita Schirmacher e Mara Terranuova; si continua la prossima settimana con i matti di Cagliari e Parma.