Il grado zero del romance

31 Marzo 2024

Un romanzo che da marzo dell’anno scorso figura tra i primi dieci più venduti in Italia merita ogni alloro, ancor più perché opera di una esordiente. Epperò La portalettere di Francesca Giannone (Nord) può servire come metro per misurare l’invalente gusto del pubblico. Che si va sempre più affinando nella consacrazione del romance come primo genere letterario. Una volta detto “intimista” o “intimo” per distinguerlo dallo “storico” e dal “sociale”, il romance mutua soprattutto il romanzo rosa e si connota oggi per il suo target palesemente femminile. Di qui la tendenza che si va facendo strada di una narrativa italiana di genere prodotta da donne e a loro destinata. 

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Il trend è sostenuto innanzitutto proprio dalla Editrice Nord che ha pubblicato la Giannone ma anche Stefania Auci con i suoi Florio, Alessandra Selmi dei Crespi e Daniela Raimondi di La casa sull’argine: tutte saghe familiari scritte da autrici, di prolungata e amena lettura e allo stesso tempo di tipo variamente storico e a sfondo sociale, ma principalmente di tono amoroso. L’intento è dunque di fare un tout de même di quella che nel Novecento (ma soprattutto nell’Ottocento) è stata una rigorosa tripartizione, così fondendo intimista, storico e sociale in un patchwork che è innanzitutto un ibrido ma anche un uovo di Colombo: vuoi vedere che il segreto del buon romanzo era proprio là dove la tradizione teneva separati i generi? 

La rottura della regola ha la stessa forza dirompente della violazione del canone aristotelico di narrazione circa l’unità di tempo, spazio e azione che ha aperto le porte al teatro moderno, fatto salvo il dato che il precetto aristotelico professava l’inderogabilità dell’unità mentre il nuovo sistema sintetizza i generi in unità contro il credo della distinzione. Che questo fatto nuovo venga dalle donne costituisce una conquista di portata storica sulla quale riflettere. 

Le donne autrici dunque, regine della narrativa del nostro tempo. Se si guarda alla Sicilia (la terra dei dioscuri della letteratura anche europea, Pirandello e Verga, che hanno battezzato il romanzo borghese l’uno contrapposto a quello sociale dell’altro) si scopre come, dopo la grande stagione di Sciascia, Bufalino, D’Arrigo, Consolo e Bonaviri, oggi la letteratura è solo femminile: da Agnello Hornby a Giuseppina Torregrossa, da Silvana La Spina a Silvana Grasso, già di una generazione indietro, la scena è dominata da autrici da hit parade quali Alessia Gazzola, Cristina Cassar Scalia, Nadia Terranova, Stefania Auci, Melissa Panarello, Catena Fiorello, Viola Di Grado, Veronica Tomassini, Elvira Seminara, Francesca Maccani, Costanza DiQuattro, Simona Lo Iacono, Tea Ranno. Scomparso Camilleri, non c’è al momento un solo scrittore isolano che faccia sentire la sua voce, diversamente che sul piano nazionale. Dove tuttavia la presenza femminile è significativa, perché tengono la classifica provate autrici e nuove risorse: da Silvia Avallone a Chiara Valerio, da Chiara Gamberale a Michela Murgia, da Federica Bosco a Viola Ardone, da Erin Doom a Felicia Kingsley, da Hazel Riley a Bianca Marconero. La differenza tra autori e autrici è in ciò, che i primi frequentano più generi, perlopiù il thriller, mentre le seconde si sono ancorate a uno solo: appunto il romance. Entro il quale anche autori come Federico Moccia, Fabio Volo e Andrea De Carlo si sono in tempi diversi esibiti con pari esiti, ma nella specie del contemporary romance rivolto al reale quotidiano.

Diciamo romance e intendiamo un molteplice gruppo di sottogeneri – paranormal, young, regency, chick – nel quale l’intimismo, cioè il rosa, prevale sempre mentre gli altri due grandi temi (storico e sociale) si disputano in seconda battuta la prevalenza diegetica in osservanza al nuovo spirito di unità. E se nel suo ultimo titolo, Grande meraviglia, Viola Ardone reitera la sua istanza di emancipazione libertaria della donna, prigioniera stavolta di una struttura, il manicomio, che è metafora della società, trovando nel surrogato di un amore paterno il principio attivo, Silvia Avallone in Cuore nero porta Bruno ed Emilia, inseguiti entrambi da un male da espiare, in un luogo atopico dove il loro amore sorgivo è catarsi di una colpa, così come Chiara Valerio in Chi dice e chi tace stabilisce a Scauri la rappresentazione di un poliziesco in cui l’amore è dato dalla corrispondenza di amorosi sensi che lega una donna avvocato e un’amica la cui morte accidentale le appare sospetta, mentre intanto Gazzola e Cassar Scalia ravanano il giallo di tresche e amorazzi in salsa camilleriana e la Lo Iacono rovista nella microstoria per rialbeggiare perdute storie d’amore. 

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Ad ogni modo dove non c’è il “discorso amoroso” appaiono l’introspezione, lo scavo di interiorizzazione spinto fino alla psicomachia, la vocazione propria della scrittura femminile di raggiungere i recessi dei nervi coperti e fare vibrare i sentimenti più profondi e nascosti, sia pure a volte con espressioni linguistiche che costituiscono un limite ma pure una cifra. Ma mai il romance si snatura lasciando il posto al più realistico novel, l’altro côté del modello narrativo moderno, di tradizione anglosassone e non spagnola come il primo, molto più caro al pubblico maschile, più frequentato dagli autori, tuttavia oggi in secondo piano per via della invalente supremazia della donna scrittrice e lettrice.

Prendiamo La portalettere della Giannone, titolo detentore della palma del maggior successo insieme con un altro sensazionale long seller, Fabbricante di lacrime di Erin Doom, figlia come altre autrici dei social e della piattaforma Wattpad: poteva costituire un formidabile novel ma è divenuto il romanzo simbolo del romance, ancora più perché mosso a perentoria confutazione del principio di unità tenendo ben lontani i generi per esaltare oltremisura il tono più genuino dell’intimo, deprivandolo di ogni refluenza storica e sociale. La materia offerta dalla fabula si prestava infatti a un grandioso affresco realistico dell’epoca, attraversata com’è da res gestae quali il fascismo, la Seconda guerra mondiale, il movimento contadino votato all’occupazione delle terre incolte, la ricostruzione post-bellica, la nascita della repubblica. Tali fatti rimangono però come rumori di fondo mentre è il privato a dominare: al punto che non c’è un solo protagonista che venga chiamato alle armi o sia coinvolto nei convulsi rivolgimenti che incalzano fuori Lizzanello, il borgo dell’autrice eletto a teatro di un mondo piccolo alla maniera di quello, sempre degli anni Trenta e tolto il giallo, di Andrea Vitali: dove il racconto procede per fatti minuscoli e ordinari, cesellando bozzetti di vita quotidiana in una prospettiva doviziosamente minimalista.   

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Lo stesso clima dato dall’arrivo di una forestiera ligure in un paesino pugliese ben si offriva a una rappresentazione sociale che revolvesse dalla coscienza collettiva i motivi di un confronto sospeso tra scontro etnografico fatto di rifiuto e processo di integrazione basato sull’accoglienza. Niente di questo si trova invece nel romanzo, i cui tempi di avanzamento diacronico sono scanditi dai soli fenomeni di costume quali sono le trasmissioni radiofoniche, le canzoni del momento, l’arrivo del telefono. La storia e il sociale rimangono dunque estranei a un intreccio concepito nel solo spirito dello scambio amoroso e destinato ad avere una trasposizione televisiva nella forma inevitabile dell’adattamento teatrale, giacché le azioni sono limitate entro il raggio corto di un minuscolo paese d’entroterra, le scene sono perlopiù al chiuso e i dialoghi alla Un posto al sole tengono il posto della narrazione. 

L’andamento lento, privo di colpi di scena e di sussulti (tanto che dell’attività da sindaco di Carlo Greco, occasione ghiotta per entrare nel ventre del paese, non viene riportato un solo atto che non sia l’iniziativa relativa all’utilizzo di un edificio, ma unicamente perché interessa ad Anna, la protagonista), segue il corso di una comune esistenza dove nascita, matrimoni, malattia e morte scandiscono le tappe della condizione umana. E non a caso la serie Tv in preparazione è già stata accostata a L’amica geniale, tratta dal romanzo di Elena Ferrante, l’autrice che con Sveva Casati Modignani e Anna Premoli divide il titolo di artefice originaria del nuovo gusto letterario e con la quale la Giannone, arrivata adesso, ha molto in comune quanto ai procedimenti narrativi, all’invenzione letteraria e allo stile piano, facile ed analogico, fatto di periodi paratattici senza soverchie proposizioni subordinate, ideale per un mercato mass-cult: quello che oggi piace tanto all’editoria perché incrementa le vendite e rende la narrativa parente della sceneggiatura nonché ancella del cinema, benché esperita a totale discapito della letteratura. Camilleri ha fatto da ecista del nuovo mondo.

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Ridotti l’elemento storico e quello sociale ad echi remoti, La portalettere finisce allora per essere un romanzo intimista alla vecchia maniera, in leggera controtendenza a esperienze del tipo della Auci e della Selmi, della Ranno e della Lo Iacono, e si affianca a esempi di romance spogliato di ogni primigenio contenuto epico o picaresco per derivarne un remake alla Liala e un riammodernamento del fotoromanzo. Narra e si occupa soltanto di storie d’amore capaci di far sospirare spiriti appassionati ed evocare i languori svenevoli ed estenuati del Primo romanticismo di Prati e Aleardi al quale il romance guarda, compreso anche quello di una Erin Doom che lo farcisce di dosi di fantasy, da una cui costola in realtà esso nasce. 

La trama è una sarabanda aggrovigliata e a volte torbida di rapporti amorosi che serpeggiano tra Carlo e Anna, don Giulio e Giovanna, Nicola e Carmela, Antonio e Carmela, Carlo e Carmela, Lorenza e Daniele, Giacomo e Lorenza, Lorenza e Tommaso, Roberto e Maria, senza contare quello in nuce tra Antonio e Anna che fa da basso continuo e si risolve in un nulla di fatto per un litigio sopra le righe, le cui ragioni non giustificano un odio definitivo, ma voluto dall’autrice per profilare un finale melodrammatico e soprattutto melenso, scrivendo il quale la Giannone ha detto di aver versato lacrime di commozione. Può darsi che anche le lettrici cedano al larmoyant, nei modi del più stucchevole umore alla Amedeo Nazzari, ma difficilmente possono anche emozionarsi oltre che commuoversi, giacché manca quell’agon necessario a un romanzo che dalla complicazione arrivi poi allo scioglimento. Non ci sono antagonisti e la sola avversità che possa portare a uno scontro è data dalla possibile relazione tra Daniele e la cugina di primo grado Lorenza, senonché l’autrice sceglie di risolverla troncando il legame. Il romanzo scorre dunque come un fin troppo placido Don, retto dall’espediente tipico del romance, cioè i trope, meccanismi narrativi di reiterazione dello stesso svolgimento, e si costituisce come una saga focalizzata sulla figura di una donna realmente esistita e trasfigurata in un esempio nobile e edificante del tipo di Rossella O’Hara, come Antonio definisce Anna: piena di iniziative e coraggiosa, anticonformista e comunista, ma molto improbabile, perché un’insegnante così avvertita e volitiva mal si acconcia per tutta la vita al faticoso lavoro del portalettere.

Romance puro e al grado zero, La portalettere segna il rovesciamento del canone posto alla base della differenza con il novel così come la precisò per la prima volta nel 1785 Clara Reeve, secondo la quale “romance è una favola eroica, che tratta di persone e di cose favolose, novel è una rappresentazione di vita di costumi reali al tempo dello scrittore. Il romance descrive, in un linguaggio elevato e nobile, ciò che non è mai accaduto, né probabilmente succederà mai. Il novel presenta, in un linguaggio familiare, un resoconto di cose che accadono ogni giorno davanti ai nostri occhi”. Romanticismo prima e Decadentismo dopo hanno ribaltato le proporzioni di partenza, per modo che oggi il novel designa il romanzo che, in un linguaggio elevato e nobile, fa letteratura mimetica mentre il romance, in un linguaggio familiare ed elementare, integra un genere di narrativa giunta al punto in cui l’intimista è da un lato tentato dal sociale e dallo storico e da un altro appiattito sulle forme della soap opera. La portalettere ne è il romanzo portabandiera.

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