Conversazione con Bartolomeo Pietromarchi / Il nuovo MAXXI

13 Agosto 2017

Bartolomeo Pietromarchi da circa un anno è direttore del MAXXI Arte Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo della sua città natale: Roma. Il percorso che l’ha portato fin qui è ricchissimo di incarichi prestigiosi portati a termine con assoluta professionalità, grande lungimiranza e accentuata attenzione nei confronti del pubblico.

Pietromarchi si laurea con lode in Lettere e Filosofia presso l’Università La Sapienza di Roma. Dal 1997 al 2003 è curatore del programma di arte contemporanea della Fondazione Adriano Olivetti di cui dal 2003 al 2007 diventa direttore, realizzando progetti di respiro internazionale quali il pluriennale Trans:it. Moving Culture Through Europe, che dal 2003 al 2006 ha coinvolto la Fondazione Olivetti, l’European Cultural Foundation, la Fondation de France, la Evens Foundation e la J. F. Kostopulos Foundation. 

 

Veduta dell’esterno del MAXXI. Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI.


Nel 2007 assume il ruolo di curatore dell’Hangar Bicocca di Milano, dove organizza esposizioni memorabili come, insieme a Gabi Scardi, la personale di Alfredo Jaar del 2008. Ma ben presto rientra a Roma nel ruolo di curatore del MAXXI, dove lavora dal 2008 al 2011. Assiste dunque all’apertura al pubblico del museo avvenuta nel 2010, ed è tra i curatori della mostra inaugurale Spazio

L’anno successivo viene nominato direttore del MACRO Museo d’Arte Contemporanea di Roma, dove dà avvio al progetto pluriennale di residenze d’artista e dove cura le mostre collettive Neon. La materia luminosa dell’arte e Racconto di una città. Arte a Roma 1962-2001, nonché le personali di Jimmie Durham, Yto Barrada, Pascal Martine Tayou, Marcello Maloberti, Mircea Cantor, Marco Tirelli, Vettor Pisani e Giulio Paolini. 

Segue, nel 2013, l’incarico di curare la mostra al Padiglione Italia della 55ma Mostra Internazionale della Biennale di Venezia: Vice versa, questo il titolo dell’esposizione, propone una piattaforma di riflessione intorno ai caratteri e alle contraddizioni della cultura italiana, mettendo a confronto maestri riconosciuti e artisti delle generazioni successive. 

Dopo la Biennale e prima di assumere la direzione del MAXXI, Pietromarchi, dal 2014 al 2016, è direttore della Fondazione Antonio Ratti dove si occupa non solo del suo programma culturale e artistico, ma anche dei rapporti istituzionali, di strategie di comunicazione e delle attività di fundraising (si ricorda in merito il progetto pluriennale Le trame dell’arte, dal 2015 al 2017). 

 

Per lui, come per Adriano Olivetti, l’elemento della creatività, il rapporto con gli artisti, la responsabilità politica, culturale, sociale e soprattutto nei confronti delle persone con cui e per cui si lavora è infatti un aspetto fondamentale della sua visione curatoriale e museale. “Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande” sosteneva Olivetti (cit. in C. Mazzei, Adriano Olivetti. L’utopista concreto, Area51, Bologna 2016) e lo dimostra Pietromarchi che, nominato direttore del MAXXI Arte, ha scelto di intervenire subito sull’elemento più importante ma anche più complesso del museo: la sua identità veicolata dalla collezione permanente. A poco più di un anno dall’inizio della sua direzione, egli ha reso realtà il sogno di cui parlava Olivetti: il MAXXI è ora un luogo di approfondimento dell’arte contemporanea più vicino alla città e alla portata di tutti (specialisti e non); è soprattutto uno spazio vivace e polifunzionale con una coerenza identitaria evidente e mai avuta prima. Quali sono stati dunque le strategie e il progetto per arrivare a questo? E quali sono i suoi possibili sviluppi? La conversazione che ho avuto il piacere di tenere con lui a Roma ha cercato di affrontare queste e altre questioni in merito, anche al fine di verificarne i risultati che, a quanto appare, sembrano eccellenti.

 

Elisabetta Benassi, MareoMerz, 2013 installata nella piazza del museo. Foto Musacchio Ianniello courtesy Fondazione MAXXI.


Appena nominato direttore del MAXXI Arte, circa un anno fa, dichiaravi che il tuo obiettivo principale sarebbe stato la collezione permanente. Perché questa scelta? 

 

Quando sono stato nominato direttore, nel maggio 2016, l’urgenza che sempre emergeva, anche parlando con persone del mondo dell’arte, era conferire centralità alla collezione del museo. A sei anni dalla sua apertura il museo si è concentrato soprattutto su di un intenso programma espositivo che lo ha posizionato a livello internazionale tra le grandi istituzioni dedicate alla cultura artistica contemporanea, ma poco è stato fatto per valorizzare e accrescere la collezione permanente. Inoltre la sua doppia programmazione di arte e di architettura ne ha accentuato ancor di più l’idea di frammentazione e temporaneità. Leggere lo spazio museale per capirne esattamente la funzione rispetto alla sua missione e alla sua identità è quello che ho immediatamente fatto una volta avuto l’incarico, ma è anche una modalità che ha sempre caratterizzato il mio lavoro. Una delle mission principali del museo e parte integrante della sua identità risiede innanzitutto nella promozione, valorizzazione e accrescimento della propria collezione: da qui la mia scelta di ridare a essa una forte centralità, ponendo in dialogo le due collezioni di arte e di architettura. Per farlo è stato necessario innanzitutto un chiaro e forte sostegno e mandato da parte del Presidente Melandri, un lavoro di squadra con Margherita Guccione direttore di MAXXI Architettura e con il direttore artistico Hou Hanru.

 

Veduta espositiva, MAXXI The Place To Be. Foto Musacchio Ianniello courtesy Fondazione MAXXI.


Come è strutturato il nuovo allestimento della collezione? Quali sono le principali novità?

 

Il nuovo allestimento rende innanzitutto la destinazione e fruizione dello spazio molto più chiare: il piano terra è dedicato alla collezione, ai servizi di accoglienza e di introduzione alla collezione stessa, mentre al piano superiore alcuni spazi accolgono mostre temporanee e un’ala è destinata a una seconda parte della collezione. Stiamo inoltre sviluppando un percorso anche all’esterno dell’edificio, costituito dall’esposizione temporanea sulla piazza di grandi installazioni che per il momento sono cinque e, proprio in questi giorni, è stato ricostruito il celebre Teatrino scientifico di Franco Purini che sarà utilizzato come palco per il programma che realizziamo per l’estate romana. 

Per quanto riguarda invece il tema che ha dettato le scelte del primo riallestimento della collezione, abbiamo optato per approfondire una questione intrinseca al museo: la relazione con lo spazio, che in arte significa principalmente la relazione con il contesto, inteso sia come spazio espositivo site-specific, sia come spazio architettonico, sia come habitat. Al MAXXI tale relazione è particolarmente sentita perché l’architettura progettata da Zaha Hadid è già di per sé un segno molto forte e poi perché siamo di fronte a un museo non solo di arte ma anche di architettura che per di più ha prodotto e accolto numerose installazioni site-specific. In aggiunta, la relazione dell’opera con lo spazio costituisce una riflessione ricorrente nella storia dell’arte italiana contemporanea, dal Futurismo a oggi, con momenti importanti come negli anni Sessanta e Settanta con i movimenti dell’Arte povera, land art, site-specific, ecc… Da qui la scelta di esporre su una parete all’ingresso del museo – che sarà dedicata di volta in volta a uno degli archivi della collezione – alcuni materiali dall’archivio di Graziella Lonardi Buontempo relativi agli Incontri Internazionali d’Arte che presentano alcune delle mostre più importanti degli anni Settanta, da Contemporanea a Vitalità del negativo, sul tema dell’opera in relazione allo spazio, così da costituire un’appropriata introduzione al tema sviluppato dall’allestimento della collezione.

 

Veduta espositiva, MAXXI The Place To Be. Foto Musacchio Ianniello courtesy Fondazione MAXXI.


All’inizio del percorso espositivo ho riallestito uno straordinario Wall Drawing di Sol LeWitt, uno dei celebri Ripples interamente realizzati a matita, e le otto proposizioni di Vincenzo Agnetti relative alla definizione di spazio inteso come territorialità. Nello stesso ambiente il triplo igloo di Mario Merz, un pavimento di Carl Andre e il grande Wall Painting di Kara Walker sono allestiti in modo da dialogare fortemente con l’architettura del museo. Nel prosieguo del percorso espositivo il tema dello spazio assume invece altre valenze: la sezione con i lavori di Gianfranco Baruchello, Pier Paolo Calzolari, Gilbert & George sottende una relazione con lo spazio naturale; la sezione con le opere di Anselm Kiefer, William Kentridge e Helmut Newton riflette sullo spazio come traccia e orma del tempo; la sezione con i progetti per il Ponte di Messina e con le maquettes delle stazioni della metropolitana di Napoli alludono a un’idea di spazio come connessione, attraversamento, collegamento. 

 

Veduta espositiva, MAXXI The Place To Be. Foto Musacchio Ianniello courtesy Fondazione MAXXI.


Da qui possiamo accedere al piano superiore, dove troviamo la nuova sala Claudia Gian Ferrari dedicata ad approfondimenti su singoli autori o artisti della collezione, in questo caso di Bruna Esposito. La prima sezione della collezione è dedicata allo spazio inteso come città, proponendo innanzitutto un focus della collezione di architettura su Roma con, tra gli altri, i modelli di progetti recenti come l’Auditorium di Renzo Piano, la nuvola di Massimiliano Fuksas, la moschea di Paolo Portoghesi. L’allestimento prosegue con le opere d’arte che riflettono sullo stesso tema come, tra le altre, l’installazione di Liliana Moro Città ideale, luogo inteso come spazio multiculturale o gli Sleepers di Francis Alys. Infine, la ricostruzione in scala 1:1 di una metà della White U di Toyo Ito, costruita per la sorella e poi distrutta, divide la sezione dedicata alla città dalla sezione dedicata alla casa che si sviluppa attraverso opere di Domenico Gnoli, Francesco Arena, Micol Assaël, Ilya e Emilia Kabakov, Oscar Tuazon e Elias Hansen.

 

Alcune delle opere esposte sono frutto di donazioni, lasciti o comodati?

 

In occasione di questo grande riallestimento abbiamo ricevuto delle importanti donazioni, soprattutto dagli artisti stessi, tra cui quelle di Gianfranco Baruchello, Bruna Esposito, Mircea Cantor e Luca Maria Patella. Abbiamo inoltre una serie di prestiti e comodati dall’Archivio Agnetti, dalla Fondazione Nomas, dalla Fondazione Giuliani, dalla Collezione Pero e dalla Collezione Barillari. Non sono invece presenti opere commissionate per l’occasione perché, al di là delle nuove produzioni sempre importanti e necessarie e che vengono realizzate principalmente attraverso il programma espositivo, per me è fondamentale esporre opere con una storia rilevante alle spalle, una sorta di curriculum che, nel caso di opere di artisti stranieri, è anche una relazione con il contesto italiano. Per questa ragione le installazioni collocate recentemente sulla piazza hanno una loro storia espositiva: ad esempio, la barca di Elisabetta Benassi è stata realizzata per la Fondazione Merz e poi esposta a Torino a Palazzo Carignano, così come l’opera di Gianfranco Baruchello è stata concepita per il Padiglione Italia del 2013 ed è poi stata donata dall’artista al museo. 

 

Veduta espositiva, MAXXI The Place To Be. Foto Musacchio Ianniello courtesy Fondazione MAXXI.


Perché chiamare il nuovo allestimento della collezione “The Place to Be”?

 

Il titolo The Place to Be è legato non soltanto al tema dello spazio trattato dall’allestimento della collezione, ma fa riferimento anche alla trasformazione che abbiamo attuato al piano terra sulla destinazione dei vari spazi per far sì che il visitatore si orienti e si senta accolto quando entra nel museo e che soprattutto, con il tempo, possa percepire il MAXXI come un luogo da vivere e non solo da visitare. 

 

Il nuovo allestimento del MAXXI rivolge quindi grande attenzione nei confronti del pubblico: quali sono i principali strumenti ideati per farlo?

 

Veduta espositiva, MAXXI The Place To Be. Foto Musacchio Ianniello courtesy Fondazione MAXXI.


Il MAXXI oggi sta diventando sempre di più una cittadella dell’arte e della cultura dove succedono contemporaneamente molteplici eventi che rendono il museo estremamente vivo e frequentato. In questo contesto la collezione deve essere concepita come un organismo vivo e dinamico, non statico e immobile. È in tal senso che tutto questo nuovo progetto è pensato: la visita alla collezione è gratuita dal martedì al venerdi, sono stati ideati percorsi differenziati per pubblici diversi, è stato ripubblicato ex novo il catalogo generale della collezione MAXXI arte per affiancarlo a quello già realizzato di architettura. Poi tutta la novità nell’uso degli spazi al piano terra: la nuova sala della didattica; il nuovo bookshop-caffetteria che, essendo stato spostato in un più ampio ambiente che dà sulla strada, ha reso il museo più aperto e vicino alla città; la nuova video gallery con un suo programma permanente di film e video di artista; lo spazio dedicato agli incontri con gli artisti pensato al centro del museo; la nuova reading room; lo spazio dedicato agli archivi. Con lo stesso scopo di introduzione e avvicinamento del pubblico alla contemporaneità sono nati anche progetti didattici quali il VirtualMAXXI e gli incontri con gli artisti; i percorsi dedicati ai non vedenti e il Kids Museum, ovvero un percorso realizzato da bambini per bambini e ad altezza di bambino. Inoltre lo spazio della sala Gian Ferrari è ora dedicato a focus perlopiù trimestrali sugli autori in collezione: attualmente è in corso quello su Bruna Esposito che ogni giorno trascorre al museo sette ore assieme a tre assistenti per realizzare un “mandala” fatto di semi a forma di svastica a rovescio, simbolo del sole nelle culture indù, ma al contempo evocativo di una ben diversa storia. Parallelamente abbiamo pensato a un ricco programma di mostre temporanee: attualmente è in corso la personale di Piero Gilardi mentre a novembre inauguriamo un’esposizione su Beirut curata da Hou Hanru e una grande mostra internazionale sul tema arte e scienza. 

 

Veduta espositiva, MAXXI The Place To Be. Foto Musacchio Ianniello courtesy Fondazione MAXXI.


La tua attenzione nei confronti del digitale è volta allo stesso scopo di favorire l’avvicinamento del pubblico alla contemporaneità?

 

Certo, ho sempre pensato che il digitale potesse aiutare a eliminare la distanza e la sacralità con cui spesso il pubblico percepisce il museo. La nuova web tv oltre a documentare l’attività del MAXXI permette ad altri musei di mettere in streaming i loro contenuti al fine di creare una rete condivisa. Oltre ai classici Facebook e Instagram, è stato potenziato il digitale realizzando l’ebook del catalogo della collezione e affidando a studenti di un’Accademia di Belle Arti la realizzazione di filmati di backstage e di presentazione della collezione.

 

Veduta espositiva, MAXXI The Place To Be. Foto Musacchio Ianniello courtesy Fondazione MAXXI.


Quali sono i progetti futuri per il MAXXI?

 

Da settembre inizierà un vero e proprio programma intorno alla collezione fatto di riallestimenti di una o più opere, performances, incontri con gli artisti, programmi video, pubblicazioni, progetti didattici e visite guidate speciali. In tal senso stiamo lavorando con Gianfranco Baruchello, Bruna Esposito, Antoni Muntadas, Tomàs Saraceno, Yuri Ancarani, e molti altri. Un programma che renderà la collezione un corpo vivo e dinamico capace di produrre cultura a vari livelli di approfondimento, da quello introduttivo per un pubblico generico a quello professionale e accademico. 

Un altro progetto a cui ho molto lavorato nel corso di quest’anno ma che avrà i suoi effetti dal 2018 è l’aggiornamento del Premio MAXXI. Nel 2018 la nona edizione del premio avrà due grandi novità: il partner finanziario costituito dalla società Bulgari e la scelta di non focalizzarsi esclusivamente sugli artisti italiani ma anche su artisti stranieri che negli ultimi due anni abbiano realizzato un progetto sul territorio italiano o in una realtà privata italiana al fine di valorizzare il sistema dell’arte volto al sostegno di quest’ultima. I finalisti saranno tre anziché quattro, saranno selezionati da una giuria internazionale e avranno la possibilità di esporre più opere usufruendo di uno spazio più grande. Ho selezionato sei giovani curatori, ciascuno dei quali presenterà due candidati: avremo quindi dodici candidati tra cui scegliere i tre finalisti che realizzeranno la mostra e solo l’opera del vincitore entrerà a far parte della collezione del museo. 

 

Veduta espositiva, MAXXI The Place To Be. Foto Musacchio Ianniello courtesy Fondazione MAXXI.

 

Un altro progetto importante che desidero sviluppare è quello sugli archivi. All’interno del percorso espositivo ho già creato uno spazio e degli strumenti volti a dare loro visibilità, non solo in termini di esposizione, ma soprattutto in termini scientifici dando la possibilità di avvicinarsi per fini di studio. 

In ultimo ma non meno importante, anzi, il MAXXI deve cercare innanzitutto di crescere, mantenendo come principale obiettivo quello dell’incremento della sua collezione. Per farlo è essenziale coinvolgere anche realtà esterne anziché basarsi solo sul sostegno dello Stato: per questa ragione stiamo lavorando sull’estensione dell’Art Bonus e stiamo cercando di coinvolgere realtà private, collezionisti e altre istituzioni. 

 

Dal 2011 al 2013 sei stato direttore di un’altra realtà museale romana dedicata al contemporaneo: il MACRO. Quali sono le principali differenze e quali le analogie tra la tua direzione del MACRO e quella attuale del MAXXI?

 

Il MACRO aveva un’altra mission rispetto al MAXXI: la dimensione della collezione era meno centrale e si trattava di un museo comunale legato molto più direttamente al territorio. Nonostante questo, la similitudine tra la mia direzione del MACRO e quella del MAXXI risiede nella volontà di leggere gli spazi in funzione della missione di ciascun museo in modo che possano integrarsi il più possibile con un’idea strategica generale e una visione culturale precisa. Altro elemento in comune tra le direzioni dei due musei è la mia attenzione alla diversità dei pubblici nonché la mia volontà di delineare una visione generale capace di dettare le linee guida per tutti i progetti pensati per quegli spazi espositivi. In generale, non applico mai un’idea prettamente curatoriale perché ho anche una formazione istituzionale che deriva dal mio lavoro per la Fondazione Olivetti. Questa stessa formazione istituzionale è stata fondamentale anche per la concezione del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 2013. Il Ministero fece un concorso sulla base di una richiesta per una mostra collettiva capace di proporre un dialogo tra generazioni diverse, in quanto, dopo il Padiglione affidato a Sgarbi, c’era bisogno di restituire un ordine e un senso al Padiglione: il mio progetto ha costituito così uno statement sia per le scelte curatoriali sia per la scelta economica di aver proceduto a un’operazione di crowdfunding piuttosto che avere specifici sponsor. 

 

A tuo avviso, qual è dunque la principale funzione che un’istituzione museale deve svolgere per definirsi tale?

 

A mio avviso la funzione dell’istituzione è quella di valorizzare al meglio non solo il lavoro dell’artista, ma anche la sua figura in quanto sono convinto che alcuni artisti possano dare moltissimo al pubblico anche in termini personali. Da qui il mio cercare sempre di organizzare dialoghi, incontri e focus con loro o sul loro lavoro all’interno degli spazi del museo e in parallelo alla programmazione espositiva. Oggi il museo si sta trasformando sempre di più in un luogo dove venire a conoscere e a interpretare il mondo attuale, ed è per questo che è importante confrontarsi con i temi e soggetti che si riferiscono alla contemporaneità, ma anche a fare un’esperienza diretta che può essere emotiva, relazionale, sensuale, o semplicemente spaziale. 

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