Galleria Il Ponte, Firenze / Rosa Foschi, o dello straniamento
All’inizio del Novecento, con il termine russo “otstranenie” – scritto con il refuso di una sola n anziché due –, lo scrittore e critico letterario Viktor Šklovskij definì quello che, a suo avviso, avrebbe dovuto essere il compito di ogni scrittore: liberare il lettore dall’automatismo della percezione, rendendo insolito l’oggetto, di volta in volta percepito, attraverso la presentazione di lati inediti di esso. Šklovskij giunse così a teorizzare il “dispositivo dello straniamento” (in Una teoria della prosa. L’arte come artificio. La costruzione del racconto e del romanzo [1917], trad. it. De Donato, Bari 1966).
Lo straniamento è dunque il processo attraverso cui ogni forma artistica (non solo letteraria, ma anche teatrale o relativa all’arte visiva) “stranea” ciò che per noi è usuale, presentandolo da un differente punto di vista. Per ottenerlo, è necessario inserire nella rappresentazione un “imprevisto”; ovvero un elemento e/o un’azione inaspettata e apparentemente incongrua, grazie alla quale la percezione usuale della realtà può essere alterata e i lati inediti del mondo attorno a noi possono essere portati in luce.
Secondo il parere di chi scrive, il lavoro della film-maker, fotografa e pittrice Rosa Foschi non può essere compreso senza far riferimento a tale concetto di straniamento.
I suoi tre film professionali a 35 mm inclusi nella mostra alla Galleria Il Ponte, Amour du cinéma (1969), Ma femme (1970) e Amore e Psiche (1971), nonché le polaroid realizzate tra le fine degli anni Ottanta e i Novanta, spiazzano lo spettatore poiché si costituiscono dall’accostamento di elementi tra loro disomogenei, discordanti, cacofonici che, in quanto tali, producono in chi li guarda un senso di sorpresa, di disagio per l’impossibilità di comprenderne il senso.
Oltre a far riferimento al non-sense e al calembour dadaista-duchampiano, nonché al concetto metafisico di arte come strumento per andare oltre la realtà fisica, Rosa Foschi innesca l’effetto di straniamento facendo appello soprattutto al caso: gli elementi d’immagini usati nel suo lavoro sono infatti da lei trovati per caso durante la sua quotidianità. È il caso, infatti, a generare l’imprevisto.
Lo dimostrano soprattutto i film professionali a 35 mm in disegno animato realizzati tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta per la Corona Cinematografica, e oggi depositati presso la cineteca di Bologna.
L’aspetto avanguardistico di questi cortometraggi risiede nel loro essere basati sull’animazione di oggetti e di fotografie, nonché sulle tecniche del découpage e del collage animato, con pochissimo disegno, piuttosto che essere vere e proprie animazioni. Inoltre, rispetto alle sperimentazioni in 8 mm realizzate nei medesimi anni da alcuni artisti in Italia e all’estero, i cortometraggi di Rosa Foschi sono veri e propri film, essendo in 35 mm, e rivelano la sua grande conoscenza del medium cinematografico, delle tecniche di ripresa e delle attrezzature professionali messe a sua disposizione dalla Corona.
Il primo, Un bosco magico (1967), fu da lei firmato come regista in collaborazione col marito Luca Maria Patella: si tratta di un adattamento in animazione di pupazzi su scenografie fotografiche su una libera interpretazione del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, realizzato con ritagli di stoffa, cartone, disegni animati, fotografie e oggetti di varia natura. Amour du cinéma (1969) è invece un corto sperimentale sulla storia del cinema, che permette di compiere un viaggio tra le dive del passato e della contemporaneità per delineare una genealogia di un cinema al femminile (si vedono infatti Marlene Dietrich, Mary Pickford, Greta Garbo, Charlot, Monica Vitti, Ileana Ghione, attrice di teatro e moglie del produttore Ezio Gagliardo). Per Ma femme (1970), appassionata dichiarazione d’amore di un uomo per la sua donna, l’ispirazione è la Nouvelle Vague, soprattutto i film di Godard come La donna è donna, citando Jean-Paul Belmondo e Anna Karina. L’amore di don Perlimplino con Belisa nel giardino (1971) è invece un adattamento fantastico-onirico dell’omonimo testo di Federico Garcia Lorca, mentre Amore e Psiche (1978) è ispirato alla fiaba L’asino d’oro di Apuleio, riletta in chiave femminista e “contaminata” dalle quartine del poeta persiano Omar Khayyam.
In questi cortometraggi, così come nelle polaroid esposte alla Galleria Il Ponte, nessuna immagine è mai fine a se stessa, ma, unita alle altre, dà luogo a un fantasmagorico continuum visivo, non ascrivibile ad alcuna tecnica né stile tradizionale, ma liberamente interpretabile così da scuotere la nostra percezione, sollecitandola a “straniarsi” dal mondo per vederlo da un diverso e più originale punto di vista.
Il testo qui pubblicato è un estratto del saggio di Ilaria Bernardi pubblicato nel catalogo della mostra da lei curata Rosa Foschi. Polaroid ROSA & film FOSCHI, presso la Galleria Il Ponte di Firenze (27 settembre – 31 ottobre 2019), edito da Gli Ori, Pistoia 2019.