Il sabato del villaggio / Manovra economica
Mai come in questi giorni, l’Italia sembra proiettata verso il futuro. Il ministro dell’economia ha presentato in consiglio dei ministri la manovra economica per stabilizzare il debito e rilanciare l’economia. Una manovra doppia quindi, che stabilizza e rilancia, ma soprattutto che punta tutto sul futuro, rimandando al 2013 i provvedimenti più impegnativi. Se la paura per il futuro prima lo immobilizzava, oggi rinchiude letteralmente il Paese in una sorta di illusione in debito, qualcosa di molto simile ad un’ansia adolescenziale perennemente tesa tra i sensi di colpa per i compiti da fare rimandati a dopo e un’apatia consumata davanti ai programmi televisivi pomeridiani. Dalla televisione al telefono: questa la mutazione di un Paese che fu di 60 milioni di c.t. della nazionale e che oggi è più vagamente composta da 60 milioni di manovratori. Tardoadolescenti anni Novanta cresciuti con troppa tv e niente internet.
Ed è agli anni Novanta che ci riportano le immagini e anche le telefonate di Luigi Bisignani, manovratore gattopardesco sempre alle spalle dei potenti per meglio sussurrare alle loro orecchie. Giorgio Boatti ce ne racconta i bisi bisi e i bau bau. Gianfranco Marrone ci racconta del cortocircuito di Favignana, paese sempre uguale a se stesso che oggi confonde turismo e guerra sempre sotto il nome della mattanza.
Della medesima confusione sembra vivere la periferia notturna di Novara, nelle parole e nelle immagini di Aurelio Andrighetto.
Ma come dovrebbe essere una manovra ben fatta? Di certo un movimento preciso è quello che Federer, oggi un po’ arrugginito dall’età, sapeva fare con una racchetta da tennis ed una pallina. Ne scrisse David Foster Wallace, compiendo un altrettanto esatto movimento sulla pagina. Attorno al testo di DFW manovrano Marco Belpoliti e Andrea Cortellessa.
Paura, anzi terrore, attraversano le pagine del romanzo di Paolo Sortino, Elisabeth. Silvia Mazzucchelli lo recensisce all’interno di un nuovo spazio, Italic, dedicato alla nuova narrativa italiana vista da critici non di professione.
Dalla cantina claustrofobica del romanzo di Sortino, la paura si è propagata in tutta Europa. L’ultima peste, scrive Maurizio Sentieri: i germi di soia.
Ansia, paura, terrore, mattanza, depressione, peste: queste sembrano essere le parole che contraddistinguono la settimana di Doppiozero e di un paese che sembra intenzionato a legare il proprio futuro pur di non vederlo mai arrivare. Due movimenti possono liberarci, uno quello del vento volatore di Gianni Celati nella recensione di Nunzia Palmieri, l’altro è il movimento della calma: “BE CALM”, recita la cartolina dell’opera di Louise Bourgeois appoggiata sul leggio della scrivania di Nicole Janigro.
BE CALM è anche un modo di vedere. Riconoscere la complessità di una nazione anche con una manciata di paesi raccontati in poche righe. Anna Stefi ci racconta di Erba: “Dall’alto e di fianco: va guardata così Erba, lo diceva anche mio nonno del resto”. Giancarlo Leucadi di Russi: “Insomma, a Russi c’era tanta puzza, ma eravamo felici di pestare la terra, ammazzare zanzare e sprecare la giovinezza a parlare con i vecchi comunisti che avevano avuto la fortuna di vedere la grande metropolitana di Mosca, i giardini di Leningrado e Stalingrado, proprio la Stalingrado dove i tedeschi c’hanno lasciato le zampette”. Alberto Saibene di Perugia: “Qui c’è un’osteria su due livelli, ma piccola, con tovaglia di carte e vino della casa, dove però si mangia generosamente bene. Il menu cambia ogni giorno e due/tre volte all’anno. Ripeto, non bisogna avere pretese, ma a me è parsa un’oasi”. Franco Nasi di Albinea: “Per arrivare alla chiesa di Albinea ci sono alcuni tornanti secchi. Sono stati per molti il luogo d’iniziazione al ciclismo: la prima piccola grande scalata, fatta con le stesse biciclette che si usavano in città, senza cambi e manubri speciali”.
Più che 60 milioni di manovratori rischiamo di diventare 60 milioni di manovrati, una via d’uscita forse è nei social network quando intrecciano relazioni e comunicazione. Ne scrive Marco Liberatore.
Come diceva Nereo Rocco, che fu con tutti noi c.t. della nazionale: “Te jèri campion, no ti pol finir bidòn”.