Speciale
La storia ne "La Storia" di Elsa Morante
Elsa Morante non ci ha solo regalato uno dei più importanti capolavori della letteratura italiana del Novecento, ma ha contribuito con la sua opera al dibattitto sul rapporto tra gli intellettuali e la storia e su alcune delle tematiche oggetto di attenzione di una parte rilevante della storiografia. Non è questa la sede per riaprire il confronto su quanto “La Storia” possa essere considerato un “romanzo storico”, una “semplice” raccolta o un pezzo della complessa eredità della cultura neorealista dell’Italia del secondo dopoguerra. Sulla dimensione propria di quest’opera letteraria, del resto, esiste una vasta letteratura, così come numerose sono le riflessioni sul confronto e i contrasti suscitati nel 1974 – anche negli ambienti culturali e politici vicini alla stessa Morante – dall’uscita del romanzo in un’Italia che aveva attraversato il boom economico – con il suo portato di cambiamenti sociali di costume e stili di vita, oltre che economici – ed era da poco entrata in un decennio, gli anni Settanta, complesso, carico di significati e per molti versi cruciale. Per tentare di ragionare sul ruolo e la funzione della “storia” nel romanzo di Elsa Morante, quel che a cinquant’anni di distanza dalla pubblicazione del volume può essere utile richiamare è, in primo luogo, la dialettica continua tra racconto e contesto storico che attraversa tutto il libro, anche quando rimane solo sullo sfondo; là dove la storia degli uomini e delle donne, delle “persone comuni” verrebbe da dire, si incrocia e si sovrappone con la trama della “grande storia” del Novecento.
La ricerca di questa frontiera tra racconto e dimensione storica è parte costitutiva del volume libro, fin dalla sua struttura. Il titolo, in primo luogo, con quella “S” maiuscola che rimanda a un legame strettissimo tra le vicende individuali o familiari che segnano la trama del romanzo e una delle fasi più drammatiche della storia contemporanea. La copertina della prima edizione dove il particolare di una celebre fotografia scattata da Rober Capa durante la guerra civile spagnola è accompagnata da un sottotitolo (“Una storia che dura da diecimila anni”) quasi a esaltare ancora di più il rapporto tra la vicenda individuale e la dimensione universale nelle quali le vite degli uomini e delle donne si incastrano e si compongono. La struttura del volume costruita al fine d’inserire la drammatica vicenda di Ida e dei suoi figli dentro la storia del Novecento come se non potesse muoversi o esistere fuori da quel contesto. I sette anni nei quali si svolge il racconto, dal 1941 al 1947, sono preceduti e seguiti da una cronologia (dal 1900 al 1940 prima, e dal 1948 al 1967 dopo), che nell’indice dell’opera non compaiono come introduzione e conclusione, ma quali parti del romanzo stesso; cronologie (che si ripetono anche all’inizio di ogni capitolo) nella quali sono riportate, in una scelta non casuale, le principali vicende della “grande storia”. In questo modo, la Seconda guerra mondiale viene posta al centro non solo del racconto, ma di tutto il Novecento, riconoscendole da un lato quel carattere di cesura della storia contemporanea su cui ancora oggi gli storici si interrogano e dall’altro evidenziandone gli aspetti di piena continuità con tutto il XX secolo (il prima e il dopo e il conflitto) e con quella vicenda più grande dell’umanità a cui si richiama il sottotitolo del libro. Da qui, anche, le parole con cui si chiude il libro: “…e la Storia continua…”, che ancora una volta riportano al senso più profondo di questo incrocio continuo tra storie individuali e storia generale.
Una dimensione quest’ultima, che attraversa tutto il racconto, fin dall’ingresso dei protagonisti del romanzo, sotto certi aspetti frutto di uno spostamento di prospettiva, dalla chiusura della cronologia del primo capitolo (“Autunno inverno 1940. Improvvisa aggressione dell’Italia alla Grecia…”) all’inizio del 1941 (“Un giorno di gennaio dell’anno 1941, un soldato tedesco di passaggio, godendo di un pomeriggio di libertà, si trovava, solo, a girovagare nel quartiere di San Lorenzo, a Roma”), quasi fosse una lente di ingrandimento che l’autrice utilizza per posare l’attenzione dalla grande storia alle vicende dei personaggi del romanzo, i suoi riferimenti in cammino.
La Storia, quindi, come una sintesi di cronologie, vicende, punti di vista, esperienze individuali e collettive che compongono il mosaico dell’Italia e di Roma della metà del Novecento, città che vive ed è attraversata dal conflitto con proprie caratteristiche e peculiarità nelle quali si muovono gli stessi personaggi descritti dalla penna di Elsa Morante.
La vicenda si apre nel 1941, quando la Roma di Mussolini è la Capitale del principale alleato in Europa di Hitler. Lo stesso ingresso dell’Italia nel conflitto, nel giugno precedente, aveva progressivamente modificato il rapporto tra il Regime fascista e la città. Per Mussolini la guerra rappresenta anche un’opportunità per rinsaldare un percorso che vede Roma al centro di un processo di ridefinizione dell’identità nazionale in un nuovo ordine mondiale fondato sull’Asse Roma-Berlino, sul patto d’acciaio del 1939. Ma su un altro versante la guerra è anche l’inizio della fine delle certezze che il fascismo aveva imposto e difeso: una parte significativa della popolazione comincia a prendere le distanze o a mostrare l’insofferenza per una retorica che non si accompagna a risultati tangibili. I responsi disastrosi che giungono dai fronti, la stessa sconfitta dell’idea di una guerra parallela nella quale l’Italia sarebbe stata protagonista rilevante, spingono verso la subalternità filonazista e il distacco progressivo dai facili entusiasmi di prima. Roma è il centro di questa svolta. Accanto alle grandi adunate convocate dal Duce – la più celebre quella di piazza Venezia con cui il 10 giugno 1940 annuncia l’entrata dell’Italia nel conflitto – si susseguono rapporti di polizia che indicano il crescente malcontento della popolazione: razionamenti alimentari (il pane da 200 grammi del settembre 1941 tocca i 150 del marzo successivo), aumento dei prezzi, inflazione galoppante che riduce drasticamente il tenore di vita dei romani, borsa nera come modalità quotidiana di sopravvivenza. La violenza che il soldato tedesco compie nei confronti di Ida è parte di questo scenario, nel quale ancora una volta una vicenda millenaria (le violenze degli eserciti sulle popolazioni e sulle donne soprattutto) diventa drammatica quotidianità nella Roma del 1941. Quasi un preludio, da alcuni punti di vista, ai cambiamenti del biennio successivo, quando, l’asse portante del consenso al regime fascista perde terreno, non tiene più. La guerra fa il resto accelerando la separazione: la disfatta dell’ARMIR e i rovesciamenti dei fronti tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943.
Nel 1943, quarto capitolo del volume, troviamo la profonda cesura della cronologia della guerra che si riflette sulle vicende di Ida e dei suoi figli. Mentre Nino si reca al nord per combattere con le camicie nere (prima di diventare partigiano), il bombardamento di San Lorenzo parte del racconto, segna la vicenda familiare (la perdita della casa e lo sfollamento nella borgata di Pietralata); un episodio essenziale anche per capire i cambiamenti della grande storia che animano lo sfondo. Il rapporto tra attacco aereo e caduta del regime fascista è questione carica di conseguenze. La cronologia coinvolge le diverse parti in causa: lo sbarco in Sicilia, il primo bombardamento sulla città eterna e la seduta in cui il Gran Consiglio del Fascismo sfiducia il proprio Duce. Roma è, innanzitutto, la capitale di un paese schierato al fianco della Germania nazista. La Campagna d’Italia, nell’estate del 1943, è ancora vista dagli Alleati come uno dei possibili percorsi su cui costruire la liberazione dell’Europa. Roma diventa un target delle incursioni aeree nel quadro di una strategia per liberare l’Italia dall’oppressione nazi-fascista. La città viene colpita dai bombardamenti quando una gran parte dei suoi cittadini pensava che sarebbe stata risparmiata dalle logiche della guerra totale, convinti che la presenza del Pontefice, la sacralità del perimetro cittadino l’avrebbero protetta dal peggio. Non a caso, a differenza di altre realtà, Roma durante la guerra si era popolata. E invece i bombardamenti squarciano le ultime ipocrisie in un susseguirsi di eventi che si muovono su scenari di scala diversi. Sullo sfondo in conclusione di un’estate cruciale, l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’inizio della Resistenza e della guerra civile.
La battaglia per la difesa della città comincia lo stesso l’8 settembre, quando si registrano in diverse zone della capitale scontri armati tra reparti tedeschi e formazioni italiane composte da militari e civili schierati insieme a difesa della città. Una dichiarazione strumentale e fasulla dei tedeschi, a firma del feldmaresciallo Kesselring, comandante supremo del Fronte meridionale, spinge fino all’uso dell’espressione “città libera o aperta”. Si tratta, in realtà, di una copertura per la proclamazione di Roma come territorio di conflitto sottoposto alle leggi di guerra del Terzo Reich. La battaglia di Porta San Paolo rappresenta uno dei primi episodi della Resistenza italiana; il 9 settembre, nel pieno degli scontri, nasce a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale. Il 10 settembre la difesa di Roma si attesta a Porta San Paolo; sono presenti, tra gli altri, ufficiali e soldati della Divisione «Granatieri di Sardegna», della «Sassari», delle divisioni «Ariete» e «Piave», del «Genova Cavalleria», del II Battaglione Allievi Carabinieri, della polizia, di diverse altre formazioni militari italiane e semplici civili o appartenenti ai partiti antifascisti da poco usciti dalla clandestinità. Alle quattro del pomeriggio la situazione non è più sostenibile, viene firmata la resa. Per la difesa della città perdono la vita centinaia di persone, molti civili. Si aprono così nove mesi dell’occupazione nazi-fascista. A Roma vengono imposte le leggi di guerra del terzo Reich; la capitale diventa un territorio occupato e controllato, altro che ‘Città Aperta’. Uno scenario composito e plurale. Accanto al collaborazionismo di tanti, al sostegno interessato di chi appoggia l’alleanza con i nazisti, Roma è anche la città con il più alto numero di renitenti alla leva, 15-20% in più rispetto alle altre zone del Paese. Solo il 2% dei romani (secondo i dati dei servizi segreti USA) si sarebbe presentato alla chiamata alle armi o al lavoro effettuata dalle autorità del Reich. Forme di lotta non armata, resistenza civile e di assistenza capillare o, più semplicemente, gesti di quotidiana solidarietà: nascondere chi è in pericolo, proteggere il silenzio, difendere l’inviolabilità di luoghi segreti o possibili vie di fuga, far sentire meno solo e indifeso chi è in difficoltà. Un insieme di azioni, piccole o grandi, private o pubbliche sulle quali si basa – anche in modo inconsapevole – la premessa dell’avvenire, della rinascita di una speranza di futuro. Roma è anche un piccolo grande laboratorio, un microcosmo dove sono presenti in miniatura i protagonisti della guerra mondiale (eserciti dei due fronti, ambasciatori, parti in causa, il Pontefice e la diplomazia vaticana) e i potenziali interlocutori di una possibile rinascita ancora lontana.
Anche per questo, appare sempre più chiaro come la vicenda di Roma occupata, nella quale si muovono Ida e i suoi familiari, debba essere letta all’interno delle dinamiche del secondo conflitto mondiale. Per nove mesi la città è assoggettata alle leggi di guerra sostenute dal ritorno sulla scena di Benito Mussolini che, dopo essere stato liberato dai nazisti, il 18 settembre annuncia la nascita della Repubblica Sociale Italiana. Non si spiegherebbero, altrimenti, le iniziative assunte dai tedeschi con la complicità dei funzionari italiani e fascisti. Tra queste certamente la deportazione del 16 ottobre 1943, punto apicale di una politica di discriminazione inaugurata dal Regime fascista anni prima con l’introduzione della legislazione del 1938. Con l’occupazione Roma e il suo territorio entrano nel cono d’ombra della deportazione in una lunga cronologia di situazioni: dall’autunno del 1943 alla liberazione nel giugno dell’anno successivo. La stessa Ida aveva nascosto le sue origini ebraiche a familiari e amici. In città vivevano circa 12.000 cittadini di cultura e religione ebraica; come le ricostruzioni più recenti hanno evidenziato, durante la retata del 16 ottobre furono arrestate 1.259 persone in tutta la città. E nel romanzo appare in maniera chiara come questo drammatico episodio non possa essere regalato alla sola comunità ebraica o alla zona del ghetto, ma sia parte di tutto il tessuto sociale, civile e anche urbanistico della città. La maggior parte viene assassinata all’arrivo ad Auschwitz; erano partiti con un convoglio dalla stazione Tiburtina all’alba del 18 ottobre, dove Ida incontra Celeste Di Segni, nel romanzo scampata all’arresto ma recatasi alla stazione volontariamente per seguire lo stesso destino dei propri cari. Alla fine del conflitto, dei deportati del 16 ottobre sopravvivranno soltanto 16 persone (Morante nel romanzo scrive 15), tra loro una sola donna, Settimia Spizzichino.
L’altro grande drammatico episodio dell’occupazione nazifascista di Roma, le Fosse Ardeatine, trova meno spazio nel romanzo. Citato nella cronologia posta all’inizio del capitolo, l’episodio rimane sullo sfondo del racconto, mentre sono molto chiare la dimensione cittadina e i cambiamenti del tessuto civile della città che fecero da sfondo di quel massacro che vede il 24 marzo 1944 Herbert Kappler, tenente colonnello delle SS e Comandante dei Servizi di Sicurezza tedeschi a Roma, incaricare i capitani delle SS Erich Priebke e Karl Hass di radunare per il giorno successivo 330 civili italiani come rappresaglia per l’azione partigiana di via Rasella. Con l’aiuto degli uffici di polizia della Repubblica di Salò e del questore Pietro Caruso viene predisposto un elenco di prigionieri nel quale sono inseriti i condannati a morte, i detenuti per motivi politici, diverse decine di persone di religione ebraica, detenuti e civili catturati per le vie di Roma. Pur accorgendosi di avere inserito nell’elenco cinque persone in più di quelle previste, Priebke e Hass decidono di non rilasciare i prigionieri in eccesso, per non “compromettere” la segretezza dell’azione. Il più anziano tra gli uomini uccisi ha poco più di settant’anni, il più giovane quindici. Al termine del massacro, i nazisti chiudono l’accesso alle cave facendo saltare in aria l’entrata con esplosivo. Alle 22.55 del 24 marzo il Comando Tedesco annuncia in un comunicato ripreso dall’agenzia Stefani che «l’ordine è già stato eseguito». La notizia della strage si diffonde lentamente tra la popolazione incredula; nelle settimane successive le cave diventano meta di pellegrinaggio di donne in cerca di notizie sulla sorte dei propri cari. Tuttavia, è soltanto dopo la Liberazione di Roma, nell’estate del 1944 che le cave vengono riaperte, i corpi riesumati, le vittime identificate in una drammatica sequenza che riempie documenti e testimonianze dell’epoca.
Gli ultimi capitoli del romanzo, dedicati al 1945-1947, vedono la tragica conclusione della storia di Ida e dei suoi figli attraversare le vicende della Roma e dell’Italia liberate. Il richiamo ai bombardamenti atomici sul Giappone è lo spunto con cui citare la conclusione del conflitto, in un commento che sembra richiamare il sottotitolo del romanzo: “Così la Seconda guerra mondiale era conclusa. Nello stesso mese di agosto i Tre grandi (Signori Churchill e Truman e il compagno Stalin) si ritrovavano a Postdam per definire la pace, ossia per segnare i confini dei loro Imperi. L’Asse Roma-Berlino e Tripartito erano scomparsi. Appariva la Cortina di Ferro”.
Ancora una volta la lente rimane ferma nelle pagine del romanzo sulle vicende di Ida e della sua famiglia, mentre la fine del conflitto e i primi passi della ricostruzione rappresentano lo sfondo nel quale si muovono i protagonisti. La storia, drammatica nel suo svolgimento e nella sua conclusione, di Ida e dei suoi figli si svolge nel pieno delle contraddizioni della fine del conflitto. Prima capitale europea a venire liberata, Roma attende gli esiti del conflitto mondiale in una situazione di eccezionalità, segnata dalla permanenza di contingenti delle armate anglo-americane. La transizione verso la democrazia è un percorso lungo e accidentato. La popolazione, ridotta alla fame, è logorata dall’inquietudine per la sorte dei congiunti dispersi e imprigionati. La vita politica e amministrativa fatica a riprendere un ritmo normale, in un clima inasprito dagli episodi di giustizia sommaria e dall’avvio dei primi processi contro i vertici del fascismo locale. Roma alleata si compone di tempi e di spazi differenti; è fatta di una articolata rete di relazioni in cui si sperimentano libertà e convivenze interdette dal ventennio di dominazione fascista. Felicità e fame si danno presto il cambio nella alternanza tra sensazioni e bisogni. Per i nuovi amministratori alleati la città assomiglia a una bocca spalancata di milioni di persone. La fame sembra farla da padrona. Cioccolato, sacchi di farina, sigarette e gomme americane non possono bastare; i romani cercano cibo e conforto. Caso unico in Europa, mentre Parigi, Berlino e Londra si sono svuotate, il centro di Roma durante il conflitto ha accolto dalle campagne e dalle regioni limitrofe migliaia di persone. Un flusso continuo di uomini e donne in fuga dalla guerra per cercare cibo e ripari sicuri. La miseria si diffonde, l’arrivo degli Alleati non riesce a invertire un senso di inquietudine e precarietà. Nelle settimane successive l’ironia dei romani ha per bersaglio prediletto il Commissario regionale del Governo Militare Alleato per la zona di Roma, colonnello Charles Poletti, uomo chiave dello sbarco in Sicilia e successivamente della zona di Napoli liberata; a lui è indirizzato lo slogan: «Charles Poletti, meno ciarle e più spaghetti».
Roma nel 1945 è in piena emergenza nonostante non abbia subito la sorte di altre città del continente pesantemente colpite dalla guerra aerea. Distruzione e macerie sono limitate a zone limitrofe alle stazioni o alle arterie principali, la liberazione porta all’apertura del grande cantiere della ricostruzione non solo materiale del tessuto cittadino. La situazione è delicata: conflitti sociali diffusi, rischi di esclusione o marginalità per molti, trasporti pubblici sostanzialmente inesistenti, scuole spesso occupate dagli sfollati, la cintura esterna piena di alloggi di fortuna, nelle baracche o nelle grotte decine di migliaia di persone che lasciano le campagne per arrivare in città. Ricostruire è difficile ma necessario, la città occupa un posto rilevante nella stagione della rinascita post bellica. Ma Roma è anche e soprattutto il laboratorio politico della ricostruzione, in una stagione di passaggio, di cerniera tra un ‘prima’ e un ‘poi’, tra la tragedia e le speranze, tra la violenza e la pacificazione.
Uno dei punti di forza dell’opera di Morante sotto il profilo di una dimensione propriamente storica risiede nella capacità di offrire continue finestre sulla vita quotidiana della Roma e dell’Italia dell’epoca, più piani che si muovono e si sorreggono a vicenda: il quadro storico della seconda guerra mondiale, il peso della guerra civile che lacera la società italiana, lo spazio di una ricostruzione possibile che apre al cammino del lungo dopoguerra.
Per approfondire
A. Borghesi, L’anno della Storia 1974-1975. Il dibattito politico e culturale sul romanzo di Elsa Morante. Cronaca e Antologia della critica, Macerata, Quodlibet, 2019.
U. Gentiloni Silveri, M. Carli, Bombardare Roma. Gli Alleati e la «Città aperta» (1940-1944), Bologna, il Mulino, 2007.
U. Gentiloni, S. Palermo, 16.10.43. Li hanno portati via, Roma, Fandango, 2012.
R. Katz, Roma città aperta. Settembre 1943 – Giugno 1944, Milano, il Saggiatore, 2003.
M. Mafai, Pane nero. Donne e vita quotidiana nella seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 1987.
V. Vidotto, Roma Contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2006.
La Storia di Elsa Morante, puntata di “Passato e Presente”, con I. Insolvibile.
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In occasione dei 50 anni dalla prima pubblicazione del romanzo La Storia di Elsa Morante nel 1974, Biblioteche di Roma e doppiozero propongono dal 24 settembre al 17 dicembre 2024 una nuova rassegna Alfabeto Morante, Lezioni in biblioteca dedicata a una delle autrici più significative del Novecento.
Venerdì 11 ottobre ore 11.00 Biblioteca Nelson Mandela, La questione della storia nel romanzo “La Storia” di Elsa Morante con Umberto Gentiloni.