Speciale
L'imprinting del lavatoio
I miei nonni vivevano in un piccolo borgo di campagna friulana. Vi si arrivava da una stradina sterrata ripidissima, le cascine s’alternavano ai letamai e agli orti, all’entrata del borgo un arco di pietra segnava il confine, la casa dei nonni era in cima alla salita, un grande cancello rosso, un fico carico di frutti, la stalla, il fienile, galline, conigli, lì ho passato parte della mia infanzia. Serate d’inverno coi vecchi seduti nella stalla a chiacchierare, serate d’estate giocando coi bambini del borgo a correre a rotta di collo giù dalla discesa, a catturare lucciole e maggiolini.
Prima dell’arco, c’era un antico lavatoio di pietra dove le donne lavavano i panni, io e mia sorella accompagnavamo sempre mia nonna con la sua cesta piena. L’acqua sgorgava dalla fontanella limpida e ghiacciata, riempiva la vasca, mia nonna iniziava il rito. Con quelle sue braccione di contadina sfregava, sbatteva, strizzava, noi la tenevamo d’occhio. Aspettavamo impazienti gironzolando, raccogliendo fiori, osservando coccinelle sotto il sole a picco. Aspettavamo il momento, pronte a scattare appena avesse riposto l’ultimo panno strizzato nella cesta e voltandosi, senza guardarci, avesse detto “Anin, frutis!”
Ecco la sua schiena che inizia la risalita verso casa, ecco noi, animalucce fulminee, lanciare lontano gli zoccoletti, arrampicarci sulla vasca e tuffarci nell’acqua ghiacciata. Per qualche secondo c’era solo il battito furibondo dei nostri piccoli cuori, il brivido dell’acqua fredda, la repulsione per il muschio viscido sotto i piedi, la paura di quel mondo immaginato di esseri terribili e fantastici che sicuramente popolavano quel lavatoio. Lì sotto vivevano animali stranissimi, li sentivamo sfiorarci le gambe e c’era di sicuro il “vitellino di mare”, di cui tutti i bambini parlavano e che mai nessuno era riuscito a vedere…
L’ira di mia nonna furibonda non si faceva attendere. Vedevamo i suoi occhi tremendi, la sua bocca aprirsi: “Besteatis!!”, tornava indietro e con un braccio ci tirava fuori una alla volta, scappavamo scalze e grondanti su per la salita. Che potenza sentivo dentro! Ero entrata in quel lavatoio popolato di creature misteriose che avrebbero potuto mangiarmi i piedi... il lupo che aveva osato mangiare i 7 capretti era affogato proprio lì, e chissà quanti principi azzurri vi si erano dissetati, e quanti cavalli bianchi. Avevo vinto io, ci ero entrata. Temevo mia nonna furiosa, ma avevo vinto io.
Così ho sempre affrontato le mie paure: buttandomici dentro a vedere cos’era. Mi son sempre detta “Chi non va, non vede e non sa”. Diciamo che di mazzate ne ho prese tante, ma quanti esseri straordinari ho incontrato, quante strade sperdute e meravigliose ho percorso, sempre col cuore che batteva forte. Ho vinto io e mi rivedo ancora a 6 anni scattare e tuffarmi in quel lavatoio antico e poi già grande scattare e tuffarmi nella vita, ancora e ancora e ancora...