Marsala-Calatafimi-Palermo: viva l’Italia
La cosa più strana", scriveva Robert Musil negli anni Trenta, "è che non si notano affatto". Eppure basterebbe alzare per un momento lo sguardo per incontrarne una, magari lungo una strada che facciamo tutti i giorni. Che siano grandi o piccole, seminascoste o ben visibili, sbiadite dalla pioggia o dall'incuria, le lapidi di marmo disseminate per il nostro Paese narrano ciascuna la propria storia. Bella o brutta, indimenticabile oppure ordinaria, ma sempre interessante. Attraverso queste discrete macchine del tempo, fessure aperte sul nostro passato, si potrebbe addirittura raccontare una Storia d'Italia parallela. Vogliamo farlo insieme?
L’Italia è disseminata di lapidi garibaldine. Quelle siciliane ci raccontano ancora cos’è l’Italia oggi. Arrivarono in nave, appiedati, male armati, i Mille. Per fortuna o per forza il signor Giacalone donò al Generale la bianca anonima giumenta che, nobilitata Marsala, avrebbe partecipato a fare l’Italia. Quell’Italia che non ci sarebbe senza le fortuite sorti di Calatafimi: oggi il sacrario fuori da quella città, pieno di lapidi e di cippi donati da tutta Italia, in rovina, sembra abbandonato tra una campagna antica e squallidi quartieri di cemento che coronano la periferia, immagine veritiera della nazione come è diventata, come è sempre stata. E a Palermo, non lontano dal duomo, in piazza Bologni, un'altra iscrizione ricorda il riposo del guerriero, che “per sole due ore posò le stanche membra”: “singolare prodezza fra l’immane scoppio delle micidiali armi di guerra sereno dormiva il genio sterminatore di ogni tirannide”. Virtù della pennichella, non sappiamo se per sprezzo del pericolo o per pertinace tendenza a tirare a campare, (as)sopire, cambiare perché nulla, tanto, cambi.