Viareggio e Bargecchia / Paesi e città

19 Luglio 2011

 

Sono nato a Viareggio nel mese di giugno. Conoscendo la sete d’aria di mia madre che perfino oggi spalanca le finestre anche in pieno inverno, sono certo che ho respirato aria di mare ancora prima di nascere. Il vecchio ospedale Tabarracci è separato dalla Passeggiata e dalla spiaggia solo da una piccola e odorosa pineta. Sono nato respirando resina e salmastro. Ma sono un collinare. Sì, sono nato a Viareggio ma ho sempre vissuto ad una decina di chilometri dalla Perla del Tirreno, sui colli. Il mio paese si chiama Bargecchia. Sono certo che qualcuno sarà portato a produrre un’etimologia creativa, per così dire, collegando il nome del paese al vocabolo “bar”. In realtà il toponimo deriva probabilmente da “berg”, altura, montagna. Ma, come sempre, gli errori sono fertili, ricchi di humus. In realtà il mio paese con il bar, anzi, con i bar, ha molto a che fare. Gli abitanti sono pochi ma i bar sono tanti, in proporzione. Ed è lì, dentro e fuori, sopra e accanto ai tavolini, che scorre la vita, e la non-vita. Guardano, i miei compaesani, chi passa, come passa, con chi passa. Ipotizzando, con voli pindarici, anche perché passa. E, intanto, tra un attraversamento e l’altro, si getta lo sguardo verso l’alto, in direzione di quell’azzurro quasi sempre sereno, e in basso, laggiù, nella splendida pianura. Una volta quando guardavamo Viareggio si pensava, anzi, si sentiva, il profumo del mare e l’allegria del Carnevale. Oggi, dopo qualche istante, viene fatto di pensare, è più forte di noi, alla recente tragedia ferroviaria, a quella gente colpita ed uccisa dentro le proprie case, a cena, mentre vivevano un attimo di serenità. Una volta si osservava Viareggio e si sorrideva. Oggi si guarda la città e si sente bruciare dentro quel fuoco che divora: il pensiero dello stupro del potere ai danni della persone, della giustizia, della vita. E il timore, l’agra certezza, che nessuno dei veri colpevoli pagherà.

 

Il mio paese è bellissimo. Lo so, “ogni scarafone è bello” e via dicendo, d’accordo. Ma il mio paese è bello sul serio. Non so se ciò sia un merito dei nostri padri, una casualità, o se sia una beffa, se non addirittura una colpa. Al mio paese arrivano pochi turisti. In compenso però ogni tanto spunta qualche milanese con una macchina di lusso. Dopo poche ore si viene a sapere che ha comprato una villa, una delle più belle, di quelle con un meraviglioso panorama. A sentire quelli del bar, il milanese è solito comprare le nostre case di maggior valore per sentirsi uno di noi, per conoscere i nostri problemi e per starci vicino nei momenti di difficoltà. Di solito poi il milanese viene ad abitare nella villa un paio di giorni all’anno. Arriva alle nove di sera e schiamazza nei pressi della piscina fino alle nove di mattina. I vicini assicurano che schiamazza con giovani donne molto poco freddolose. Il mattino stesso, un po’ più tardi, in uno dei pregiati bar del mio paese, il milanese entra con l’elegante e sdegnoso gineceo, assesta amichevoli manate sulle spalle ai vecchi e ai giovani, racconta quella del francese, dell’inglese e del napoletano, ride, attende e pretende la risata, paga per sé e per tutti, entra in macchina e se ne va.

 

Il mio paese ospita nella chiesa romanica del 1200 una pala d’altare di un dotatissimo maestro ed accoglie tra le sue vallate una pregevole dimora storica, fino al XVII secolo convento di frati certosini. Lo sanno in pochi, tra gli italiani. In compenso lo sanno i tedeschi e i giapponesi: arrivano con le loro aggiornatissime guide turistiche, chiedono informazioni in inglese a chi li guarda, smarrito, e trovano da soli, alla fine, i tesori artistici che sono venuti a cercare.

Il mio paese respira la ricchezza dell’arte e del passato. Ma non ha una scuola. O meglio, la aveva. Aveva una scuola materna e una scuola elementare, con un grande giardino, dove i bambini imparavano a parlare, a giocare, a vivere assieme agli altri. È stata chiusa. Oggi i bambini vengono portati nelle città vicine, Viareggio, Lucca, Camaiore. Vengono vestiti con abitini di lusso, a volte presi in affitto o chiesti in prestito a qualche parente ricco. La lista degli ammessi all’iscrizione è lunga ed i posti sono pochi. Spesso gli asili impongono il numero chiuso. È necessario fare buona impressione per sperare che i bambini vengano accettati. E dare l’idea di essere ricchi è un modo ottimale, lo pensano in molti, per fare buona impressione.

 

Il mio paese ha una bellissima piazza. È sovrastata da un gigante bianco, il campanile di marmo che è l’orgoglio dei paesani. Le quattro campane di bronzo del 1885 sono di misure diverse: la Campana grossa di tonalità Re, la Campana mezzana di tonalità Mi, la Campana terza di tonalità Fa e la Campana piccola di Tonalità Sol. La polifonia ottenuta con le campane fu studio anche da parte di Giacomo Puccini che ne riportò il concerto nella Tosca. Le campane sono tra le poche in Italia che vengono ancora suonate “a braccia” da un gruppo di appassionati. Forse a causa del continuo scampanio il campanile è diventato sordo. Prudentemente sordo. Sotto di lui, ai suoi fianchi, c’è la canonica del parroco, e, a cinquanta metri di distanza, il circolo ricreativo in cui si gioca a carte e si impreca con una creatività tutta toscana. Ma il campanile è alto. Guarda lontano. Guarda questa nostra terra che spazia dalle Apuane al mare. Forse il campanile resta perplesso solo quando l’occhio gli cade sulla targa che è stata appesa alla parete esterna della chiesa. Sopra è stata incisa la dedica a Don Giuseppe Del Fiorentino, il prete che sacrificò la sua vita per salvare molti paesani dalla furia criminale delle SS. Il progetto iniziale era quello di scrivere sulla targa “A Don Giuseppe del Fiorentino, martire della Resistenza”. Poi però qualcuno, chissà chi, ha imposto che sulla targa venisse scritto “martire della Libertà”.

 

La strada che porta al mio paese è ampia e panoramica. Ci sono solo un paio di curve pericolose. Però è piena di buche e soggetta a frane. Solo una volta ogni dieci anni, in media, quando il percorso di una tappa del Giro d’Italia passa dalle nostre colline, la strada viene rifatta completamente. Diventa così liscia che, così come si fa con i tappeti persiani, qualcuno non osa neppure calpestarla. Si teme di rompere l’incantesimo. Ho visto gente restare a guardare per ore l’asfalto liscio come una pesca e prendere poi vie traverse e sterrate per tornare a casa. Ma una volta ogni dieci anni non è molto. Necessiterebbe forse sperare che il Giro d’Italia passasse più spesso dalle nostre parti, ma non è lecito, non siamo una località dolomitica.

A dire il vero la strada viene rattoppata anche in altre occasioni. Ad ogni tornata elettorale. Coloro che sperano di diventare deputati, sindaci o assessori, mandano qualche operaio, facendo sapere, ai bar chiaramente, chi ha avuto l’idea e il pensiero generoso. Viene fatto un maquillage sommario con qualche palata di bitume gettato nelle buche. Ma durante i comizi sulla piazza del paese, proprio sotto la targa di colui che è stato battezzato “martire della Libertà”, l’arringatore di turno assicura con un sorriso radioso che il problema della strada, il più grave del paese, è stato definitivamente risolto, e in tempi record. Ciò mi ricorda qualcosa.

 

Nonostante tutto, davvero nonostante tutto, il mio paese è e rimane bello. A dispetto di qualunque cosa. A dispetto di noi. Resta la bellezza di una natura generosa, dotata di un’immensa, sconfinata pazienza. Restano i colori di tramonti mozzafiato. Resta l’immagine di un passato ancora vivo, percepibile in ogni pietra, ogni mattone, ogni legno lavorato con perizia da artisti ed artigiani. E laggiù, nella pianura, rimane lo splendore di Viareggio, la culla di sole per un mare color cobalto. Forse, se sapremo darci da fare, se saremo capaci di lottare davvero, nelle piccole e nelle grandi cose, torneremo a guardare la città percependo ancora il senso della bellezza, quando la giustizia sarà realtà normale, necessità garantita a tutti e per tutti. E torneremo, giovani e vecchi, anche a stare bene nel mio paese. A dispetto di tutto ciò che abbiamo accettato, tutto quello che abbiamo, negli anni, concesso di fare. Impediremo, finalmente, che il nostro paese venga violentato e snaturato del tutto. Tornerà a vivere, ritroverà la sua armonia. Anche questo mi ricorda qualcosa, sì. Qualcosa da tenere a mente. Sempre.

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