1978, l’anno degli Ufo
Negli ultimi mesi è stato avvistato in Italia un “oggetto narrativo non identificato”. Alcuni recensori hanno provato a definirlo “romanzo corale”, altri hanno parlato di un omaggio alle “controculture” o di “viaggio visionario” nel “gorgo psichedelico della storia”. Si tratta in realtà di un semplice libro. È Ufo 78 del collettivo Wu Ming (Einaudi, 2022): un incontro ravvicinato del terzo tipo con uno dei tornanti più controversi della storia italiana del Novecento.
Siamo alla fine degli anni Settanta. L’attenzione dei mezzi di comunicazione è catalizzata dal rapimento di Aldo Moro, che fa precipitare il paese in un groviglio inestricabile di incertezze. Si assiste al dilagare di un’atmosfera di sorveglianza. Più di settantamila posti di blocco, “tre milioni di veicoli fermati, trecentosettantamila perquisizioni domiciliari, sei milioni e mezzo di persone controllate”. La morte di papa Paolo VI è seguita dal brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I, che dura solo 33 giorni. Da questo scenario surreale riemerge una realtà parallela, marginale, giudicata insignificante tanto dagli storici quanto dai mezzi di comunicazione. Moltissime persone sostengono di aver visto dischi volanti. Il metodo quantitativo restituisce solo in parte la complessità del fenomeno, ma risulta comunque utile sottolineare un dato: le segnalazioni di sospette presenze aliene sono circa duemila.
Nel complesso intreccio di Ufo 78 si individuano tre grandi sottotrame, incentrate su altrettanti personaggi chiave. Il primo è Martin Zanka, autore di fortunati romanzi di fantarcheologia, ambientati in un passato lontanissimo popolato da intraprendenti astronauti e civiltà munite di tecnologie sbalorditive (è stato pubblicato di recente un “Almanacco della fantarcheologia”, proprio nel centenario della nascita di Peter Kolosimo, un maestro del genere). Il secondo è il figlio di Zanka, Vincenzo, che combatte la sua dipendenza dall’eroina e si rifugia in una comune della Lunigiana chiamata Thanur, alle pendici del Quarzerone: quello stesso monte è stato scenario di vicende misteriose, fra le quali la scomparsa nei boschi di due scout, Jacopo e Margherita. Il terzo personaggio è Milena Cravero, un’antropologa che lavora a un progetto di ricerca su un gruppo di ufologi, impegnati a studiare tutte le tracce lasciate sul territorio da possibili entità extraterrestri.
Sono queste singolari esistenze investiganti a muovere i fili di una trama fitta di colpi di scena. Agiscono in un contesto ostile, attraversato dalla paura del crollo di un intero sistema socio-politico. Mentre il presidente della DC è chiuso nel carcere delle brigate rosse, il popolo italiano “viene imprigionato a cielo aperto da un potere sempre più pervasivo, con l’appoggio di quasi tutto l’arco parlamentare”. Si definiscono i contorni di una reazione energica da parte dello Stato, finalizzata a offrire al pubblico – nelle parole di Leonardo Sciascia – lo spettacolo di uno “sforzo imponente” per il ripristino dell’ordine. Chi osa obiettare e sottrarsi a questa “leva di massa” trova ad attenderlo “il fuoco di fila di cecchini scelti”, pronti a impallinare il dissenso sulle colonne dei giornali e nelle reti televisive, esponendolo “all’odio della gente perbene”.
Nel gorgo di questa ossessione collettiva, si dipanano i racconti di molteplici avvistamenti, avvenuti nelle circostanze più improbabili. Alcuni riguardano gli alieni, mentre altri si concentrano proprio su Aldo Moro. Moltissime persone sostengono di aver incontrato il celebre politico intento a passeggiare “da solo” per strada, ancora in vita e in piena libertà. Altri giurano di averlo riconosciuto alla guida “di un’auto di grossa cilindrata nel traffico di Roma”, al volante “di un autotreno sull’Autostrada del sole”, in una “cabina telefonica a Mantova”. Viene cercato dalle autorità nei fondali del lago della Duchessa, ai confini fra il Lazio e l’Abruzzo, dopo un tentativo di depistaggio. Intorno a lui prende forma un’atmosfera di “eccezionale segretezza”, costruita su spasmodiche attese di vertici notturni, lettere, telefonate e incontri segreti. Gli organi di stampa fanno a gara nel cercare messaggi criptati nelle parole scritte da Moro durante la prigionia, attribuendole a stati di alterazione delle funzioni psichiche.
Il capovolgimento di prospettiva proposto da Wu Ming assume contorni paradossali, ma solo in apparenza. In uno spazio comunicativo dominato da fantasie complottiste e derive irrazionaliste, lo sguardo degli ufologi appare più comprensibile di tanti altri, sia nelle procedure che negli obiettivi conoscitivi. Stare con gli occhi puntati al cielo alla ricerca di presenze aliene, in fondo, non è una cattiva idea in tempi calamitosi: “Le cose quaggiù fanno troppo schifo”. I cercatori di dischi volanti sfoggiano un procedimento razionale che farebbe comodo a ministri, parlamentari, direttori di giornali e opinionisti televisivi. Pretendono di raccogliere notizie attendibili sulle circostanze degli avvistamenti, sui tempi e sulle modalità degli incontri straordinari, sulle condizioni meteo, sull’intensità della luce lunare, su eventuali anomalie elettromagnetiche, sullo stato mentale e la reputazione degli avvistatori. Le loro cautele metodologiche sono invece abbandonate dagli spiriti che la consuetudine descrive come razionali.
Nel disastro del mondo reale, comincia a farsi spazio l’idea che un’invasione di creature extraterrestri possa essere addirittura auspicabile. Gli Ufo più inquietanti si trovano già sulla terra. È la cronaca a offrire “i veri misteri”, conturbanti e spaventosi, capaci di attirare “gli sguardi più delle luci in cielo”. A interpretare in maniera compiuta questa idea è la voce di Carmen, l’ascoltatrice di in un’immaginaria (ma non troppo) trasmissione radiofonica che allarga lo spettro del racconto: “Giù in strada c’è la guerra civile, la repressione, la gente che va in carcere per un volantino, l’eroina che ci ammazza. Ti pare che me la devo prendere con uno che vede i marziani?”. Su una strada simile si pongono gli “ufofili”, lontani dal “logocentrismo” degli ufologi, disinteressati a controllare l’ignoto con indagini canoniche, proiettati invece a comprendere come le “luci in cielo” riescano a riaccendere i desideri e i bisogni profondi degli esseri umani. Gli oggetti volanti non identificati offrono quindi una boccata d’aria a chi sente di soffocare in giorni di clausura: “Un’ora spesa fra le nuvole, fantasticando di altri mondi, mentre in quello reale si sparava e non si sperava più”.
La scrittura del collettivo Wu Ming tiene conto del carattere “fluido e mutevole” della memoria, che ritocca e riplasma le narrazioni. Affondando gli artigli nelle pieghe delle rappresentazioni elaborate negli ultimi decenni, prova a raccontare un 1978 diverso, inedito, straniante, lontano dalle pratiche rievocative attivate dal nostro ecosistema mediatico. Anche l’anno del rapimento Moro e dei tre papi in Vaticano è infatti sottoposto ai meccanismi dell’industria politica del ricordo, mettendo in seria difficoltà chi intende studiarlo per comprenderne aspetti ancora sconosciuti. È sottoposto a un costante processo di manipolazione legato alle urgenze culturali, sociali, politiche, religiose ed economiche del presente. Viene quindi spezzettato e raccontato in maniera selettiva, ripetitiva, seguendo parole d’ordine e formule stereotipiche che lo rendono ormai cristallizzato: un’entità da imparare e non da indagare.
I protagonisti di Ufo 78 – Martin, Milena, Vincenzo e le numerose persone che gravitano intorno a loro – aiutano i lettori a rifiutare queste regole, fino a superarle. Decidono di non piegarsi a una pratica comunicativa consolidata, che costruisce verità statiche e illusorie intorno agli eventi di interesse pubblico. Cercando con ostinazione luoghi immaginari, ribadiscono il loro rifiuto dell’esistente ed esprimono la loro voglia di cambiamento. Si allontanano dai pensieri riguardanti le connessioni interplanetarie per concentrarsi su misteri terreni irrisolti, come la scomparsa degli scout Jacopo e Margherita. Fanno ricorso alla congettura e all’immaginazione per scovare negli anfratti del monte Querzerone tutte le tracce superstiti che possono risultare utili ad avvicinarsi alla soluzione del caso. Si confrontano con le leggende, con i pettegolezzi, con le piccole e grandi trame che si tramandano di voce in voce. Scoprono i “semi di verità” che conducono al cuore di una “storia rimossa e oscura”. Vivono nella speranza che quegli stessi semi vengano piantati in un terreno fertile e possano germogliare in un futuro non troppo lontano, grazie agli impulsi della “coscienza individuale e collettiva”.
Proprio in questa struttura aperta dell’intreccio si coglie una caratteristica cruciale di Ufo 78. Al pari di altre opere firmate dal collettivo Wu Ming (come Manituana, L’armata dei sonnambuli, o anche Q, pubblicato con lo pseudonimo di Luther Blisset), questo libro mira a costruire un universo narrativo capace di espandersi, grazie al contributo di una metamorfica tribù di lettori-fruitori, desiderosi di andare oltre il ruolo di semplici destinatari, e di partecipare con racconti, segnalazioni, commenti, obiezioni. Nel giro di pochi mesi (l’uscita in libreria risale all’11 ottobre del 2022), la narrazione su carta è stata arricchita da contributi video, frammenti di diari, playlist per costruire colonne sonore, brani musicali inediti. Si sono tenute camminate, sopralluoghi, escursioni e incontri di “convergenza culturale”, compreso quello con gli attivisti dell’ex-GKN occupata di Campi Bisenzio. Sono emerse nuove memorie di testimoni diretti, che dialogano in maniera serrata con l’intreccio del romanzo. È nato persino un radiodramma, un atto unico di 19 minuti, incentrato sulla figura dell’antropologa Milena Cravero.
Oltre a funzionare come fabbrica dell’immaginario, questa sperimentazione transmediale palesa la presenza di un’aspirazione: inaugurare un laboratorio che sia anche storiografico e che, in quanto tale, indichi nuove traiettorie di ricerca. Si pone infatti la necessità di condurre gli anni Settanta fuori dalla macchina rievocativa imposta dall’industria culturale, capace talvolta di fagocitare anche gli sforzi degli studiosi di professione.
Un obiettivo tanto ambizioso è raggiungibile solo attraverso una pratica comunicativa alternativa, capace di offrire i testi a una comunità investigante e di costruire percorsi culturali condivisi fondati sull’analisi critica delle fonti. L’invenzione letteraria, del resto, vive in un rapporto strettissimo con la realtà e si confronta con il verosimile. Anche in assenza di evidenze solide per la ricostruzione del passato, si tiene stretta la possibilità di produrre ipotesi valide su ciò che può essere accaduto. Non disegna mappe di inoppugnabile precisione, ma apre lo sguardo sugli scenari possibili.