Ai confini dell'umano
“Mi sento così NO FUTURE che Sid Vicious me spiccia casa”, dice con efficacia inarrivabile un anonimo su Facebook esprimendo il sentire ormai dominante in relazione alle aspettative verso il nostro futuro. Sono onde oceaniche, non è lo sciabordio del laghetto di montagna, masse di energia emotiva che nessuno in tempi recenti ha mai visto. E noi ci siamo in mezzo. Di qui la formidabile tensione che muove ormai molti studiosi a una riflessione epocale, con sforzi generosi nell’affrontare i nuovi dilemmi dell’umanità che vive su questa terra. Dalla concezione del tempo, ai tormenti climatici, all’idea stessa di “uomo”. È un generale preoccuparsi di rinvenire tra le nostre attrezzature cognitive un nuovo “strumento” che ci consenta di disinnescare i pericoli e pensare a nuove prospettive. Va da sé che Nobody Knows. Si lavora, diciamo, per approssimazione, ciascuno mette a disposizione i suoi saperi… e si ragiona, e si prova.
Il futuro è il concetto umano per eccellenza, e rivedere questa idea è come rivedere la concezione della natura umana. Di questo si occupa Davide Sisto nel suo I confini dell’umano. La tecnica, la natura, la specie, (il Mulino, 2023, pp.195), mettendoci a disposizione un repertorio in qualche modo riassuntivo sul tema. Sono tre passaggi: il primo dedicato alla nuova visione del futuro dell’umanità globale, il secondo alla rivoluzione digitale e alle novità antropologiche che induce, il terzo ai caratteri dell’umanità che si sta configurando.
La vertiginosa rapidità dell’innovazione scientifica, tecnica e tecnologica del Novecento ha fatto sì che l’essere umano percepisca sé stesso “sempre più come un costrutto storico privo di staticità ed estraneo a qualsivoglia legge inviolabile, un mix di biologia e ingegneria tale per cui dal potenziamento della seconda segue il cambiamento della prima”. La biologia non è più un confine, “Semmai, è solo il punto di partenza, la base, il fondamento a partire dal quale progettare la totale indipendenza. La ricostruzione effettiva della soggettività ne è la diretta conseguenza”, siamo passati dall’Io dell’era moderna all’odierno Io autarchico che detta legge a sé stesso (p.17).
Capire e spiegare durante la tempesta di una mutazione è certo insidioso, ma quanto mai utile, proprio perché chi lo fa offre indicazioni di lavoro e soprattutto la concentrazione indispensabile per non “affondare”. “L’obiettivo – dice l’autore – è analizzare l’umanità globale mentre si accinge a travalicare ogni confine un tempo ritenuto inviolabile, modificando completamente sé stessa mediante ibridazioni tecnologiche e trasformazioni biomediche”. Una trasformazione e un cominciamento “che ci congedano da Homo Sapiens” e producono una realtà in cui il dato umano appare più sfumato, per questo Michel Serres ha parlato di “ominescenza” (p.30).
L’avvento (usiamo pure questa parola suggestiva) del digitale è il fattore di svolta che tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo ha lanciato la gran parte dell’umanità verso un’unificazione globale con l’Occidente come riferimento culturale. Lo smartphone ne è una sintesi formidabile e lo dimostra la ricerca condotta dallo University College London intitolata The Antropology of Smartphones and Smart Ageing (ASSA) che Sisto illustra accuratamente: undici comunità di persone appartenenti alla “terza età” analizzate nei loro diversi contesti geo-culturali (Santiago-Cile, Kampala-Uganda, Yaoundé-Camerun, Dublino-Irlanda, comunità palestinese di Gerusalemme Est-Israele, Kyoto-Giappone, Shanghai-Cina, Milano-Italia). “Pensiamo a uno smartphone ideato inizialmente per un teenager americano che, in seguito, viene utilizzato anche da un anziano peruviano emigrato in Cile, da un pensionato del ceto medio in Camerun, da un cittadino italiano e da una novantenne giapponese maestra di composizione floreale (rigorosamente a distanza, a causa delle difficoltà motorie dovute all’età)”. È un’immagine efficace dello sfondo in cui sta avvenendo “un processo di coevoluzione biotecnologica globale”. Ma non si tratta, evidentemente, di una semplice interconnessione esteriore (esosomatica), poiché in gioco c’è “il carattere intrasomatico del pensiero, del linguaggio, della creatività e della sensibilità del singolo fruitore”. L’esito è una vera “cittadinanza digitale mondiale” che, come dimostra il progetto ASSA, si concretizza nel campo sanitario, delle relazioni a distanza e in quello politico. Per questo si può parlare di una “re-ontologizzazione dell’intero mondo” indotta dalle tecnologie digitali.
Spazio e tempo sono mutati, le coordinate dell’esistenza subiscono trasformazioni che ristrutturano l’“umano”. Si vive ormai nell’eterniday in cui le concezioni della temporalità si basano sull’assenza del tempo grazie all’archivio globale della memoria digitale. “La temporalità – scrive Sisto – perde il suo carattere lineare durante la rivoluzione digitale e la vita in un mondo digitalmente integrato, diventando eterea e associativa, puntiforme e disordinata: è sempre meno possibile parlare di sequenza temporale in riferimento ai dati con cui prolunghiamo online noi stessi, dal momento che questi sono presenti e attivi in mezzo alle quantità di informazioni che li precedono e che, ininterrottamente, li seguono” (p.88-89). La morte stessa subisce una sorta di diminutio dal momento in cui si afferma l’“eternità aumentata” della tecnologia digitale. I rischi di smarrirsi nel tempo, per contro, diventano stimoli alla ricerca, si pensi alle applicazioni nell’ambito delle malattie degenerative come le demenze senili in cui il possibile recupero delle tracce mnestiche offre la concreta possibilità di conservare la propria memoria personale (registrazioni vocali, scritti, ricordi visuali, informazioni pubblicate sui social media).
L’istanza umana, lo dico grossolanamente, viene meno, e si instaura l’artificialità come essenza? La dovizia di informazioni del libro di Sisto è davvero notevole; ricerche, sperimentazioni, teorie e “azzardi” (vedi il Transumanesimo) ci pongono davanti a dilemmi etici ormai enormi. Si tratta di decidere quali siano i nuovi Confini dell’umano, appunto. Il passaggio dal cyborg (cybernetic controlled organism) all’uomo post-digitale è avvenuto, i quesiti inediti sono pesanti, e la nuova Iperstoria ci proietta in un futuro tutto da inventare. I timori dell’anonimo di Facebook (citato a p. 24) sembrano, quantomeno emotivamente, plausibili. E anche il filo rosso della fantascienza, che accompagna tutto il racconto di Sisto, è particolarmente proficuo: il replicante di Blade Runner potrebbe veramente essere uscito dalla fantasia, magari è questo qui che mi sta seduto accanto in autobus? Di sicuro la creazione di un nostro “gemello digitale” attraverso realtà aumentata, realtà virtuale e intelligenza artificiale sta avvenendo.
Ciò che importa in generale, sottolinea l’autore, è che i miglioramenti artificiali dell’uomo avvengano comunque in un quadro etico in cui si affermino “l’impossibilità di definire in maniera oggettiva e universale i confini tra normale e anormale, la salvaguardia del carattere individuale del rapporto tra il singolo individuo e la sua identità psicofisica, la considerazione del legame tra il potenziamento psicofisico e la narrazione pubblica della malattia [no ai malati distinti tra ‘guerrieri’ del dolore e ‘perdenti’]” (p.168). Si veda l’esempio del ministero delle Scienze e delle ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) sudcoreano che ha provato a stabilire tre principi non negoziabili che regolino gli enormi investimenti nel campo della tecnologia e dell’innovazione: la salvaguardia della propria identità personale, la sicurezza delle azioni compiute nel mondo digitalmente integrato, una prosperità ecologicamente sostenibile.
In questo quadro storico eccezionale sono ormai numerose le riflessioni che provano a “lavorare” la massa delle implicazioni teoriche, politiche, ecc. di fronte alla quale ci troviamo. Edgar Morin, ad esempio, in un saggio dedicato a Mauro Ceruti (il grande teorico di Il pensiero della complessità), con Blaise Pascal dice che l’identità umana è auto-trascendenza (“l’homme passe infiniment l’homme”). “La condizione umana nell’età globale ha in sé la possibilità di una vera universalizzazione del principio umanistico. E trasformare il dato di fatto dell’interdipendenza planetaria nel processo di costruzione di una “civiltà” della Terra, promuovendo un’evoluzione verso la convivenza e la pace, è il compito difficile e addirittura improbabile, ma allo stesso tempo creativo e ineludibile, che ci è posto dalla sfida della complessità, dalla sfida di far nascere l’umanità planetaria” (in AA.VV., La danza della complessità. Dialoghi con la filosofia di Mauro Ceruti, Mimesis, 2023, a cura di Francesco Bellusci e Luisa Damiano).
Enzo Bianchi, dal suo punto di vista cristiano, è intervenuto sul tema: “All’homo sapiens succederà la macchina sapiens? E questo non è forse segno di un delirio di onnipotenza che vorrebbe essere capace di transumanesimo fino a negare la mortalità? Nutro una tale fiducia nell’umanità da non credere possibile tale deriva e resto convinto che ancora una volta l’homo sapiens saprà rispondere in modo vitale alla domanda che lui solo sa porsi: che cos’è l’uomo? Perché c’è nell’umanità un sigillo che può essere calpestato e negato, ma che è indistruttibile e giace come indistruttibile nel suo profondo: la fraternità. Questa ha la forza di emergere così come la terra dopo l’acqua, il fuoco, il vento, lascia spuntare l’erba e riprendere la vita” (Che cos’è l’uomo?, in Repubblica, 20.11.2023).
Un altro punto di vista piuttosto radicale sui destini dell’umanità contemporanea viene dal filosofo tedesco-coreano (il dato non credo sia secondario) Byung-Chul Han che nel suo ultimo libro, Vita contemplativa o dell’inazione (nottetempo, trad. Simone Aglan-Buttazzi, 2023) colpisce, in contrasto con la Vita activa di Hannah Arendt, una delle colonne portanti del sistema occidentale: «L’ossessione per l’attività e l’impulso all’accelerazione sono tratti distintivi della modernità. […] L’ossessione per l’attività trasforma la civiltà umana in una “nuova barbarie”. Tra le correzioni necessarie da apportare al carattere umano, c’è la necessità di “rafforzare in larga misura l’elemento contemplativo”. Nel regime neoliberale odierno all’ossessione per l’attività si somma anche l’ossessione o la costrizione per la prestazione. […] Gli individui che s’illudono di essere liberi sono in realtà genitali del capitale, utili solo a riprodurlo. […] Abbiamo fallito il progetto della libertà individuale. L’eccesso di libertà si rivela come eccesso di capitale. Libertà e amicizia hanno una radice comune nel mondo germanico. In origine, libertà significava essere tra amici. Dovremmo riconquistare questa libertà originaria. L’amicizia è una relazione senza scopo. È una sorta di inattività. Per questo ci rende felici”. (“Ripartiamo restando fermi”, intervista in Repubblica, 13.12.2023).
Dovendo chiudere, per il momento, affidiamo, come fa Daniele Sisto nel suo libro, le nostre paure al motto dell’artista (Robert Pepperell) che pensa alla positività dell’incertezza: sali sull’onda o muori. Non puoi tenerla sotto controllo, ma puoi cavalcarla.