Antichi colori greci
A meno di essere un grecista, serve una dose di avventata sfrontatezza per scrivere di questo libro, Chrōmata. Lessico dei termini greci di colore di Maria Fernanda Ferrini, pubblicato da eum, la casa editrice dell’Università di Macerata e giunto così al quarto volume che raccoglie i vocaboli che iniziano con la delta. Il lessico è ovviamente rivolto a ricercatrici e ricercatori specialisti e si avvale di un apparato filologico immenso che spazia dalle opere degli autori antichi alle raccolte di testi, ai papiri, agli óstraka e alle iscrizioni. Bastano però alcune reminiscenze del greco liceale per accorgersi della ricchezza e dell’originalità di molte osservazioni: vi troviamo parole dense di suggestioni e di fascino, citazioni letterarie che operano con analogie inaspettate, attente spiegazioni del modo di procedere della scienza antica, forse anche il suggerimento di una prospettiva filosofica inedita.
Contro tutte le affermazioni che attribuiscono ai greci cecità fisiologica o culturale ai colori o ad alcuni di essi, la ricerca di Ferrini ne mette in luce l’infinita articolazione che deriva dalla convinzione che il colore è connesso alle cose; il colore infatti, scrive, è nella cultura greca «una qualità legata alle cose, non separabile da esse»; «i colori fanno parte integrante di un contesto percettivo, sono ‘colori di qualche cosa’» (vol. I, p. 9). Nella filosofia e nella scienza antiche il colore non descrive semplicemente un oggetto, ma lo individua e lo contraddistingue come qualità intrinseca o acquisita, lo rapporta agli altri, lo inserisce nel contesto della natura. Per questo esso non ha solo valore estetico, ma prioritariamente conoscitivo: «è più un qualcosa per conoscere che un qualcosa da conoscere» (ib.). Il colore si manifesta allora nel mutamento e nel movimento, si colloca non solo nello spazio, ma anche nel tempo, operando secondo una scansione dello spettro visibile diversa dalla nostra.
La visione del colore è fisiologicamente la stessa, ma concetti e termini cromatici sono prodotti della cultura e i greci sono più attenti alla luminosità che alla tinta, considerano tinta e luminosità come fattori complementari; talora gli scrittori costruiscono metafore e metonimie nelle quali la notazione cromatica diventa addirittura secondaria. Questo però, secondo l’autrice, non ci deve irretire nella ricerca del significato letterale di una parola che ci appare strana e insolita, riducendo a una sola dimensione il complesso rapporto tra percezione, concettualizzazione e nomenclatura.
A questo proposito Maria Fernanda Ferrini aveva dedicato nel 1995 uno studio specifico all’«acqua nera» (Μέλαν ὕδωρ: concezioni e interpretazioni, “Rudiae” 7, disponibile online su Academia). Leggiamo in Omero che l’acqua è dolce, buona a bersi, fresca, ma anche bianca o nera, e ‘nero’ è epiteto dell’acqua anche in Empedocle e Anassagora, il quale scrive che anche la neve è nera. Forse l’aggettivo ‘bianca’ per l’acqua ci sembra accettabile: in fondo parliamo anche noi di luce bianca intendendo ‘trasparente’, ma nera? e la neve?
Come prima mossa Ferrini chiarisce che il termine leukós significa bianco, luminoso, splendente, brillante, chiaro e limpido, mélas invece nero, scuro, cupo, buio, tetro, tenebroso. La connessione però dell’acqua con il nero ha a che vedere con la concezione greca degli elementi, componenti primi della materia, aria, acqua, terra e fuoco. Opposta al fuoco, l’acqua, per contrapposizione e analogia con le coppie bianco/nero e caldo/freddo, prende l’epiteto di bianco o di nero. Assomiglierebbe quindi a un’ipotesi, a una definizione a priori. Nel trattato peripatetico Sui colori l’acqua, come l’aria, è invece definita bianca per natura, ma può apparire nera per gli effetti della luce o dell’ombra, come nel caso del mare agitato e della sua superficie increspata, oppure del tempo e delle trasformazioni biologiche in relazione al contenuto di umidità. Ferrini ne ha analizzato i passi nell’edizione critica dello Pseudo Aristotele del 1999 per ETS e in Colori e suoni, pubblicato da Bompiani nel 2008.
Torniamo al Lessico per citare solo qualche esempio di apparenti paradossi. Aithaléos significa fumoso, fumido, fumigante, ardente di fuoco, ma anche: nero, nerastro, scuro. I termini connessi con il verbo aíthō, spiega Ferrini, oscillano tra i significati legati alla fiamma e al fuoco e ciò che è incenerito o bruciato. «Una notazione cromatica emerge in ogni caso, con due immagini di per sé opposte (il bagliore della fiamma, il rosso; o l’oscurità della fuliggine, il nero), ma complementari, in quanto relative ai diversi processi che possono originarsi da una stessa realtà, fuoco o calore» (vol. I, p. 25).
Galakóchrōs, bianco latte, induce invece a una riflessione sulla polivalenza di alcuni aggettivi suggerita dall’analogia. Il loro significato può «oscillare tra l’indicazione della consistenza, della densità, dell’aspetto (talora anche dell’abbondante presenza di liquidi, di succo; della temperatura tipica del latte appena munto, e del sapore), e quella più propriamente cromatica» (vol. III, p. 13).
Glaukós è poi uno degli esempi più interessanti dell’«interazione tra lessico, dominio cognitivo ed emotivo» (ivi, p. 21). Significa: scintillante, lucente, rutilante, chiaro, dai chiari bagliori, azzurro, blu chiaro, verdazzurro, grigiazzurro, verde brillante, verde argento, glauco, glaucescente. Le interpretazioni dei filologi sono qui davvero contrastanti, passano dal negarne in origine un carattere cromatico a significati plurimi di giallo-rosso, giallo, verde, blu-verde e blu. Ferrini ne accetta la polivalenza parlando di una vasta gamma di tonalità del verde e del blu, e tra blu e verde, sfumate verso il grigio, ma aggiunge il bagliore, il luccichio, lo scintillio la luce piena, quella debole e la trasparenza. Ambivalente è anche il riferimento a qualità estetiche e morali positive o negative, fino a indicare la malattia. I derivati e i composti di questo aggettivo oscillano tra luminosità e colore, possono essere nomi di piante e di animali oppure riferirsi a processi di coloritura in alchimia oppure ancora essere impiegati in ambito medico nelle patologie dell’occhio, come il glaucoma.
Concludiamo con diafanḗs, diafano, trasparente, limpido, chiaro, traslucido, pellucido; incandescente, rovente, arroventato; evidente, ben visibile, manifesto; notevole, illustre. Si tratta del diafano che diventa in Aristotele il difficile termine tecnico nella teoria della luce e del colore, ma oltre alla nozione dell’apparire attraverso (diá) può significare ‘brillante’ in quanto pervaso dalla luce in profondità.
I libri di Maria Fernanda Ferrini non colmano soltanto la lacuna di un lessico cromatico nell’ambito degli studi specialistici, ci offrono una serie di riflessioni fenomenologiche e filologiche interessanti e ripescano alcune parole che sono semplicemente bellissime come, tanto per fare qualche esempio, dolichóskios, dalla lunga ombra, oppure asteromarmarofenghḗs, dal candido bagliore di stella.
In copertina, Anfora del vasaio Andocide e del pittore Psiax, Attica, 530-500 a. C., Londra British Museum