Sono rossi i pesci rossi? 

6 Febbraio 2023

Il colore esiste? è la prima delle ventidue domande che si pongono Lia Luzzatto e Renata Pompas nel loro nuovo libro, I colori sono di tutti?, pubblicato nel 2022 da Edizioni Mediterranee. In esergo una citazione del regista e pittore Derek Jarman: «imparavo i colori, ma non li capivo». L’impressione, come sempre, di fronte al tema del colore è di sconcerto, di qualcosa che rimane sempre in sospeso, che non è mai spiegato fino in fondo. Le due studiose, che del colore si sono occupate da molto tempo e sotto diversi aspetti, a partire dal significato del colore nelle civiltà antiche fino al colore nella moda, ci promettono con cautela qualche risposta.

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Il capitolo che riprende la domanda del titolo non ha una soluzione univoca: certo tutti noi (in senso un po’ diverso anche chi è affetto da acromatopsia) vediamo i colori, ma la storia dei pigmenti rientra nel mondo dell’economia, del commercio e del potere, basti citare la porpora antica, il giallo imperiale dell’Oriente, i preziosi lapislazzuli, il guado e l’indaco dei tintori medievali, ma anche i colori icona del marchio di molte aziende esclusive attuali, come il Vantablack, un nero più scuro del nero finora conosciuto, utilizzato dalla BMW per il modello della “bestia nera”, il blu Tiffany, il rosso Louboutin, quello della Ferrari e il grigio Jason Wu. Sul blu più avanti.

Le domande che ci sembrano più inquietanti e difficili sono però di carattere teorico. La prima di queste riguarda l’ombra, definita regina dei colori. Luzzatto e Pompas citano Narciso Silvestrini: «il colore entra nel mondo al mattino ed esce alla sera». Già questa osservazione ci dà da pensare. Se nell’oscurità i colori delle cose svaniscono, allora non esistono? chissà di che colore è il calzino deposto di notte nel cassetto? e le ombre? come notano le autrici, non hanno lunghezza d’onda, eppure sono spesso colorate; nella pittura danno la profondità nel chiaroscuro, modellano i corpi. 

Del resto che il colore nascesse dall’interazione di luce e oscurità rimase a lungo convinzione dei filosofi e degli artisti, a partire da Aristotele fino a Goethe e oltre. Che si possa parlare del colore come qualcosa di umbratile, come oscuramento, è ammesso anche da Wittgenstein nelle sue Osservazioni sui colori: se parliamo del colore di una sostanza (Stoffarbe), nel senso in cui diciamo ad esempio che la neve è bianca, il colore può intendersi come oscuramento; se togliamo alla sostanza il colore otteniamo il bianco, e qui il bianco significa senza colore (trad. it. di Mario Trinchero, Einaudi, Torino 1977, I, § 52). Anche Luzzatto e Pompas prendono sul serio l’idea del colore nella competizione tra luce e oscurità e ne cercano alcune declinazioni nell’attività dei pittori che più hanno lavorato sulla luce, come Leonardo e Caravaggio, per concludere il capitolo su Delacroix e la sua teoria delle ombre colorate.

Ma come si può pensare, dopo l’esperimento dello spettro di Newton, che il colore nasca dall’azione reciproca di luce e oscurità? Mi limito a una sola questione: la partizione dello spettro. Newton stesso individua sette colori sulla base dell’analogia con le note musicali, ma la disamina delle categorie che classificano il mondo dei colori richiede un’analisi storica e culturale. Quando ad esempio diciamo che un oggetto è arancione, dobbiamo ricordare che questa parola è stata introdotta nella nostra lingua a partire dal Cinquecento con la diffusione del frutto importato dall’Oriente, mentre nei secoli precedenti questa tinta rientrava nei rossi o nei gialli. È per questo, affermano le autrici, che parliamo di gatti e di pesci rossi quando, a ben vedere, dovremmo definirli arancioni. Dagli studi storici e linguistici sappiamo anche che diverse erano le categorie cromatiche degli antichi, mentre dagli studi antropologici veniamo a sapere che altre popolazioni ricorrono all’opposizione di caldo e freddo, secco e umido, palpabile e impalpabile, liscio e ruvido, opaco e brillante, vivente e non-vivente, sordo e sonoro. 

Di qui la domanda seguente: il colore è sonoro? Le autrici citano le ricerche di Nabokov, Kandinsky, Castel, Skriabin e del nostro Veronesi, e si dichiarano convinte che «a livello emozionale il colore è sonoro e il suono è cromatico» (p. 74), che le metafore cromatiche con le quali descriviamo la musica abbiano un qualche fondamento, ma non accettano la possibilità di individuare una corrispondenza precisa tra una nota musicale e una sfumatura di colore. Le analogie tra suono e colore, tra profumi e colori, tra sapori e colori a cui facciamo quotidianamente ricorso nella nostra vita e, in particolare, nelle nostre cucine, rientrano quindi in quella che potremmo definire una narrazione letteraria (p. 84). Certo questa narrazione assume una grande importanza nel campo della pubblicità e del marketing che associano ai colori scelti la capacità di evocare sensazioni e sentimenti attraverso descrizioni inedite e originali. In questo contesto mi è sembrata interessante la ricerca dell’Istituto di Scienza e Tecnologia di Seul che proponeva ai consumatori di descrivere i colori a parole: gli intervistati hanno fatto ricorso a un linguaggio simbolico: «un conto è dire – scrivono le autrici – ‘grigio chiaro’ un conto è dire ‘grigio giovane’» (p. 171).

Su questo piano prosegue l’analisi dei singoli colori negli ultimi capitoli di questo libro che ci propone osservazioni curiose e riflessioni analitiche che spaziano in vari campi della cultura. Cito soltanto la breve analisi sul carattere spirituale e metafisico del blu che ci introduce alla lettura di un altro libro.

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Blu. La bellezza della natura è il titolo del libro di Kai Kupferschmidt (Prefazione di Luca De Benedictis, trad. it. di Laura Bortot, Edizioni Università di Macerata), giornalista con una formazione in biologia molecolare. Il piano dell’analisi è quindi decisamente scientifico: davvero, si chiede l’autore, il colore è in primo luogo un fenomeno sociale, come afferma lo storico Michel Pastoureau? Certo è un elemento, ma il blu, ribatte, è fisica, è chimica, è biologia e ci promette un percorso tra minerali, vegetali e animali, occhi e cervelli, animato da alcuni incontri con studiosi che, in varie parti del mondo, effettuano nuove ricerche sul blu. 

 

Il primo incontro si svolge nell’Oregon, a Corvallis, nel laboratorio del professore Mas Subramanian dove è stato scoperto un nuovo pigmento, lo YInMn Blue (pronunciato Jinnminn). Una precisa mescolanza di ittrio (Y), indio (In) e manganese (Mn), messo in un forno a 1300 gradi per almeno sei ore produce questo blu intenso e straodinario. La ricetta è nel libro, ma sembra piuttosto difficile dosare le proporzioni e procurarci un forno adatto, forse possiamo accontentarci del pastello a cera della Crayola, chiamato appunto “bluetiful” che si ispira allo YInMn Blue. Del resto, come racconta Kupferschmidt, la ricerca dei pigmenti blu per riprodurre il colore del cielo e del mare ha origini antichissime e giunge fino appunto ai nostri giorni. Risale a settemila anni fa, alla scoperta della pietra blu, il lapislazzuli, sulle montagne dell’Hindu Kush nell’attuale Afganistan, alla “fritta blu” fabbricata dagli egizi, all’uso dell’oltremare ricavato dall’azzurrite e dello smalto blu cobalto dei pittori rinascimentali, prosegue fino al blu di Prussia e al blu oltremare sintetico fabbricato nell’Ottocento e al blu Klein, il brevettato IKB i cui componenti – ci assicura l’autore – potremmo procurarci anche noi nel negozio di pigmenti Adam a Montmatre. Per ciascuno di questi composti l’autore ci dà molti ragguagli sulla struttura chimica.

Un altro incontro, piuttosto inquietante, riguarda il collezionista di occhi Leo Peichl all’ospedale universitario di Francoforte sul Meno: nel suo ufficio sono conservati, in formalina o in piccole scatole di cartone, centinaia di occhi di animali diversi, dagli elefanti ai toporagni. Il professore studia la retina e i recettori che catturano la luce e cerca di ricostruire alcune tappe della storia dell’evoluzione. La storia naturale, ci spiega Kupferschmidt, rivela che negli occhi dei vertebrati, circa cinquecento milioni di anni fa esistevano quattro tipi di coni e che, mentre uccelli, pesci e rettili conservano ancora questi quattro recettori, nei mammiferi, per varie peripezie genetiche, due recettori vennero perduti e solo le scimmie – e l’uomo – riuscirono a differenziare uno dei due coni e conferire al terzo cono la capacità di recepire il rosso. Il complesso passaggio dalla retina al cervello è poi alla base della percezione delle coppie opponenti rosso-verde, blu-giallo, un tema che da più di un secolo ha sempre suscitato l’interesse dei filosofi. L’autore qui si ferma lasciando ai filosofi la costruzione di esperimenti mentali che egli giudica con un certo scetticismo. Qualche volta a ragione.

La seconda parte del libro entra nel mondo vegetale e animale. La presenza del pigmento blu nel mondo vegetale, spiega Kupferschmidt, è dovuta all’azione di un gruppo di sostanze coloranti, gli antociani (dal greco ἀνϑος ‘fiore’ e κύανος ‘azzurro’), ad esempio nei fiordalisi, nella clitoria ternatea e in altri bellissimi fiori. Ci racconta anche dei tentativi, finora falliti, della ditta giapponese Suntory di creare con modificazioni genetiche una rosa davvero blu. Diverso è invece il modo in cui si formano le tonalità blu nel mondo animale: derivano da strutture microscopiche, reticoli, creste, fossette, lamine e sfere che curvano o disperdono i raggi luminosi, come nel caso del magnifico morfo blu, una farfalla che presenta sulla superficie delle sue ali minuscole strutture a forma di albero. Le ricerche naturalistiche che l’autore ci propone con altre numerose analisi ci introducono alla scoperta di aspetti sconosciuti e curiosi delle piante e degli animali, senza minimamente distruggere il fascino del fiore blu della poesia romantica o la magia del cavallo blu di Franz Marc. 

Il mondo della natura è anche il tema della mostra Dentro il colore. Attraverso la materia e la luce, allestita a Palazzo delle Albere a Trento da Michele De Lucchi e Stefano Zecchi. La bellissima locandina ci introduce al percorso che si snoda attorno a sette vulcani simbolici – bianco, rosso, giallo, verde, blu, viola e nero – che proiettano in alto filmati naturalistici centrati sui colori corrispondenti. I cento pezzi esposti provengono dal vicino Museo delle scienze; sono minerali, vegetali e animali e comprendono interessanti reperti paleontologici. Vanno dalla nera malachite alla fluorite multicolore e alla bianca predazzite delle vicine Dolomiti, dal croco viola alle foglie fossili arancioni, dal bellissimo papilio ulisse blu elettrico al terribile scorpione imperatore dalle chele nere. In molti casi però gli animali tassidermizzati hanno col tempo perso la nettezza dei colori originari; forse l’accostamento con immagini fotografiche avrebbe reso più colorato il mondo animale.

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