Strega comanda colore. Meraviglie e magie cromatiche
L’analisi del colore si declina da subito quasi sempre nel racconto dei colori, in una catena di centinaia di storie che percorrono il mondo cromatico, i colori si moltiplicano come nel cofanetto delle cento cartoline Pantone della Dumont che ho appeso, ciascuna in apposite cornicette ikea, sul muro della mia cucina. In questo modo si presenta anche il libro della giornalista Lauretta Colonnelli, La vita segreta dei colori. Storie di passione, arte, desiderio e altre sfumature, pubblicato quest’anno da Marsilio nella collana Cartabianca.
Lo si può leggere, come suggerisce Colonnelli, in modo disordinato, saltando dall’una all’altra storia oppure – lo consiglia sempre l’autrice –, come un unico lungo racconto che prende avvio dalla curiosità e dalla meraviglia. Entriamo con lei nella botteguccia di via Porta Rossa a Firenze, attratti dalla fantasmagoria delle diverse sfumature di colore dei maglioni ordinati sugli scaffali che ricoprono interamente le pareti, ne scegliamo uno, poniamo di un azzurro luminosissimo, la commessa lo toglie dal ripiano e inaspettatamente rimaniamo delusi: il colore non risplende più, si è spento. Tolto dal gioco che l’azzurro intratteneva con gli altri colori, con i più simili e i più diversi, quell’azzurro è diventato un altro colore. Certo se ne può dedurre, come accenna l’autrice, che il colore «prima di essere materia – ma allora si chiama pigmento –, è un concetto», forse pensando alla teoria di Land, ma a me pare che questo piccolo esperimento ci presenti tutto insieme e aggrovigliato il problema filosofico del colore che coinvolge pigmento, materiale, sensazione ottica, percezione, soggettività, linguaggio, concetto.
Colonnelli sceglie un modo emozionato e appassionato per dipanare il tema del colore seguendo fili sottili che tengono insieme le innumerevoli e interessanti storie che ci racconta e delle quali possiamo citarne qui soltanto alcune. Cominciamo con i colori accesi, «muscolari e disonesti» dei futuristi: il rosso vermiglio del cavallo ciclopico nella Città che sale di Boccioni, che pochi anni dopo morirà disarcionato da una cavalla di nome Vermiglia, i «rooooosssssi, rooooosssssisssssimi che griiiiidano» di Carrà, i colori fosforescenti dei vestiti di Balla, di Depero e di Volt, che vengono affiancati al mito dell’isola rossa Eritea, collocata ai confini del mondo, e a quello di Eracle che uccide il gigante Gerione per rubargli, nel sangue, le giovenche purpuree. Più avanti troviamo la vicenda di Jung che disprezza l’Arlecchino di Picasso, ma poi cerca di disegnare i sogni e persino la propria anima; seguono le ricerche teosofiche di Mondrian e gli esperimenti psichedelici di Michaux che interpreta gli ideogrammi cinesi come danza del cosmo. Non mancano gli aneddoti sui baffetti rossi di Hitler, la barba ramata di Nerone e quella rossa del Barbarossa a cui Colonnelli accosta la favola di Barbablu. Vengono poi i colori che cantano e suonano, affascinano e seducono, talora creano orrore o disgusto, sono dipinti o restaurati; le storie proseguono così, numerosissime, inframezzate da alcune osservazioni teoriche, per concludersi con «venticinquemila colori in fuga», titolo dell’ultimo capitolo. I colori scappano sempre, come scrive Sottsass, scappano come le parole, mai fissi in un numero di catalogo perché alla luce oppure nell’ombra, per altri versi infiniti come i numeri: scappano come il maestro coloraio cinese che nella leggenda fugge da una porta disegnata sul muro e lascia soltanto il disegno di una porta aperta.
Troviamo un percorso per certi versi analogo nelle belle trasmissioni di Art Night dedicate al colore e reperibili in tivù e nel web. Scandite in sei puntate, dedicate al rosso, al blu, al giallo, al verde, al bianco e al nero, scritte da Linda Tugnoli (con il montaggio di Sandro Capponi e la regia di Andrea Montemaggiori, prodotta da Mark in video, in collaborazione con Rai Cultura). Queste storie si avvalgono del mezzo televisivo per porci davanti agli occhi la magia del mondo dei pigmenti e dei coloranti, delle terre e delle lacche, i resti di colore sulla statuaria greca e la policromia delle pietre dure e dei marmi, i particolari di affreschi e di pitture dalle grotte preistoriche all’arte contemporanea, i colori della natura e del cosmo. Il percorso si dipana nei luoghi dell’arte e nelle grandi istituzioni che in Italia e nel mondo custodiscono e avviano nuove ricerche cromatiche, dal Museo Egizio di Torino al Mann di Napoli, dai laboratori di restauro di Palermo e Firenze alla Forbes Pigment Collection di Harvard, dalle affascinanti fabbriche di pigmenti italiane e francesi agli archivi che custodiscono i manoscritti miniati; le interviste allo storico del colore Michel Pastoureau accompagnano queste visite con la riflessione sui caratteri simbolici, maledetti o festosi, velenosi o sacri, dei singoli colori nella storia dell’Occidente. Ci stupiamo con sorpresa di fronte alla capacità evocativa degli animali in movimento disegnati su rocce movimentate nelle grotte di Chauvet, animali – ci dice l’archeologa Valerie Moles – non più da cacciare e mangiare, ma «da pensare»; in un altro momento ci interroghiamo sull’enigmatica affermazione di Anish Kapoor che «l’oscurità del rosso è più scura dell’oscurità del nero». Strega comanda colore è il gioco che facevamo da bambini e che Neri Marcorè ci ricorda nelle sue garbate e sorridenti introduzioni: tocchiamolo, quel rosso e saremo salvi nel gioco, quel rosso è davvero più scuro del nero, come scriveva il peripatetico Dei colori che considerava il rosso come oscuramento della luce?
Il nostro stupore si rinnova nella visione e nella raffigurazione dell’arcobaleno, oggetto della mostra al Mudec di Milano Rainbow. Colori e meraviglia tra miti, arti e scienza, curata da Katya Inozemtseva (17 febbraio 2013 – 2 luglio). Si tratta di un fenomeno che da sempre ha attratto l’attenzione dei filosofi per la difficoltà di elencare e definire i colori che lo compongono. Nella Meteorologia Aristotele ne indicava tre e affermava l’impossibilità di riprodurli con i pigmenti; lo conferma anche il suo commentatore, Alessandro di Afrodisia, lo scopritore della banda scura che compare tra l’arcobaleno primario e quello secondario e che porta il suo nome. Ma il numero delle divisioni cromatiche dell’arcobaleno varia nella storia: da uno a sei fino al migliaio di Virgilio e a sette, sul modello delle note musicali, di Newton. Anche il significato simbolico non è univoco: nel mito giudaico rappresenta la rinnovata alleanza dell’uomo con Dio, mentre nell’Apocalisse di Giovanni diviene il simbolo del potere divino del Giorno del Giudizio; nel mito greco Iride, messaggera degli dei, crea il sentiero che le consente di passare dal cielo alla terra; nei miti andini preispanici assume invece l’aspetto di un terribile serpente bicefalo, causa di devastazioni e inondazioni, come ci raccontano Katya Inozemtseva e Sara Rizzo in un articolo sul “Sole 24 Ore” del 12 febbraio. Del resto lo stesso evento fisico studiato dall’ottica mostra una notevole variabilità del fenomeno in relazione al diametro delle gocce rivelando la non necessaria coincidenza con la distribuzione spettrale.
A dispetto di Aristotele e di Alessandro la storia dell’arte mostra un ricorrente interesse per la raffigurazione dell’arcobaleno che compare nei mosaici bizantini e nei manoscritti medievali, nei dipinti moderni di Dosso Dossi, Tiziano, Rubens, fino all’esplosione romantica della pittura del paesaggio di Constable, Turner, Koch e Friedrich. La piccola esibizione milanese ne mostra la vitalità con alcuni esempi tratti dall’arte contemporanea che, per certi versi, smentiscono la previsione di Paul Klee il quale, negli anni Venti, disse ai suoi studenti del Bauhaus che l’arcobaleno aveva cessato di avere alcun irresistibile potere simbolico o teorico. L’interesse verso la fisica e la percezione del colore ritorna invece, ad esempio, nelle opere di Frank Stella, Josef Albers, Shūsaku Arakawa, Miroslaw Balka e nelle immagini delle performance di Judy Chicago, presenti nella piccola mostra accanto al catalogo della storica rassegna The Rainbow Show del De Young Museum di San Francisco del 1975, ispirata all’ideale di integrazione razziale di Angela Davis.