Berlusconi, il tanto troppo
Inizia con un funerale B. Una vita troppo di Filippo Ceccarelli: le onoranze funebri di Silvio Berlusconi. E in questo è simile alle prime pagine annalistiche di Tacito, il quale esordisce con l’estremo congedo di Augusto. Il paragone non è fuori luogo, poiché questa mastodontica biografia dell’ex Presidente del Consiglio è raccontata attraverso una cronaca minuziosa della vita del Cavaliere, di Sua Emittenza, ovvero dell’uomo che ha determinato per almeno tre decenni il destino del nostro Paese. Ma questo diario, quasi un giorno per giorno, ricorda anche l’opera di un altro annalista dell’antichità, Procopio di Cesarea, cronista dell’imperatore Giustiniano, autore della Storia segreta, dove narrò le iniquità di Giustiniano stesso e dell’imperatrice Teodora, ex prostituta, di Belisario, suo generale, e di Antonina, la moglie: sesso, eccesso e corruzione del potere. Anche in questo caso il paragone non è incongruo dal momento che Silvio Berlusconi è stato a suo modo un “monarca” segnato da quel “troppo” che lo avvicina ad altri “re” più o meno noti del passato, per quanto sia vissuto in un’epoca priva di vera regalità.
Certo B. ha abitato il tempo dell’attualità imperante, segnato da un’accelerazione che tutto trascina con sé in un vorticare senza senso e spesso senza direzione di piccole e grandi vicende. Ma non è forse sempre così il movimento cronachistico di chi cerca di trattenere il senso del tutto utilizzando quel frantumo di dettagli che compongono la vita degli esseri umani? B. non è un romanzo, sebbene si alimenti proprio di particolari; e non è una sintesi storica, poiché Ceccarelli come molti non crede alla Storia; non è neppure un’analisi psicologica o antropologica del suo “personaggio”. Tuttavia è anche una narrazione, e in qualche modo ricorda la descrizione di un quadro, meglio di una serie di quadri con un unico protagonista: B. Come ha scritto un filosofo contemporaneo, Rocco Ronchi, il dettaglio è il risultato d’una divisione imperfetta, dal momento che evidenzia ciò che esorbita dal totale e dal generale, come se volesse comunicare che qualcosa di quel tutto non torna.
Detto altrimenti, visto attraverso la serie delle vicende imprenditoriali, dei processi, degli scandali sessuali, degli eventi opachi del suo arricchimento e della costruzione dell’impero mediatico, fino alla sua “discesa in campo”, compresa l’inesistenza dell’azione dei suoi governi – salvo la difesa costante delle proprie imprese –, B. resta un personaggio che non si riesce a richiudere in un’unica definizione. Basterà scorrere l’interminabile bibliografia finale, con tutti i libri a lui dedicati, per trovare almeno cinquanta definizioni di Silvio Berlusconi espresse dai titoli dei volumi a lui dedicati. E allora? Il fatto è che esiste un’omologia tra lo sbriciolarsi dell’abbacinante racconto cronachistico di Ceccarelli e il polverizzarsi della vita pubblica del Paese stesso, a partire prima di tutto dalla politica, per cui la dismisura, evocata nelle prime righe del libro, finisce per riassumere il senso stesso dell’intera vicenda di B.
La sovrabbondanza, la smoderatezza, l’esagerazione, l’eccesso di B., non sono solo una causa ma al tempo stesso anche un effetto. È come se il destino avesse voluto assegnare a un individuo solo qualcosa che appartiene a tutti, e fare di lui il segno evidente della realtà effettuale. Ma non è forse così che accade in modo imprevedibile nell’intera storia umana? Non ci sono forse personaggi che nel bene e nel male sembrano riassumere in sé il senso stesso di un’epoca? Il libro di Filippo Ceccarelli appare simile alla registrazione di una interminabile seduta psicanalitica, in cui un paziente – l’autore stesso – racconta quello che gli è accaduto nel corso degli ultimi trent’anni. Berlusconi è senza dubbio misteriosamente inscindibile dal berlusconismo e dall’antiberlusconismo, e per quanto le cronache minuziose – i 334 faldoni di ritagli realizzati da Ceccarelli in tanti anni, da cui ha tratto la vita veridica di B. – ci restituiscano un uomo malato di narcisismo, infantile, megalomane, bugiardo, spregiudicato, ma anche generoso, munifico, inventivo, alla fine non ci forniscono una spiegazione univoca di questa storia cui tutti noi abbiamo partecipato perlopiù da spettatori.
Certo ci sono chiavi eccellenti, almeno nell’ambito della rappresentazione letteraria e visiva, per descrivere quanto è accaduto – la commedia e il melodramma, ad esempio, oppure il cinema di Fellini –, tuttavia B. resta inspiegabile se non facendo ricorso a lui stesso. Il “troppo” di cui Ceccarelli patisce la presenza nel momento in cui comincia a narrare è indefinibile e incomprensibile con il ricorso alle categorie storiche usuali. Se esiste un motivo o un tema ricorrente nell’agire di Berlusconi, è il suo continuo tentativo di “ingannare la morte”, come scrive giustamente Ceccarelli. Paradossalmente proprio il confronto continuo con la propria mortalità rende ragione degli eccessi di B.: eccesso di ricchezza, eccesso di potere, eccesso di sesso, eccesso di tutto, a partire dall’eccesso di sé stesso. Ceccarelli, che è un moralista ben temperato, e insieme un sincero credente, si pone davanti a Silvio Berlusconi con l’atteggiamento di chi ne vede l’intrinseca debolezza, che si accompagna all’inutilità stessa di tutta la sua energia di dominio.
Arriva perfino a dolersi del suo declino – la parte invernale del regno di B. possiede alcuni punti in cui la spietatezza del racconto si sposa a una sorta di misericordia verso il peccatore – e anche a sentirne la mancanza. Così funziona il rapporto tra un narratore e i suoi personaggi, sia verso quelli che ammira sia verso quelli che detesta o disprezza. B. non è perciò solo B., ma qualcosa che identifica una componente essenziale degli esseri umani: la loro volontà di scavalcare il limite concesso ai corpi, la loro mortalità. La hybris, la tracotanza, nella tragedia classica veniva colpita immancabilmente dagli dei.
In un mondo desacralizzato come il nostro, dove sopravvivono forme di superstizione, piuttosto che fedi religiose di massa, non accade nulla contro la dismisura. Silvio è morto in un letto d’ospedale, come avviene oggi a tanti, chiedendo – è il dettaglio su cui chiude il libro – di mangiare un gelato e di avere una manciata di ciliegie. Forse, come ha sostenuto qualcuno, la tragedia non appartiene alla cultura del nostro Paese, cristiano oltre che pagano nelle sue radici. Per cui l’unica tragedia vissuta da un altro potente nel corso degli ultimi ottant’anni – fatto salvo l’“uomo solo” Aldo Moro – è stata l’esito d’un conflitto mondiale, ovvero di una catastrofe collettiva d’enormi proporzioni. I nostri contemporanei, compreso il temibile e discutibile B., sono personaggi di una commedia. E così alla fine si spera che continui, nonostante la calamità che l’annalista Filippo Ceccarelli racconta in B. con mano leggera e sicura.
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