Speciale
25 aprile 2017 / Ancora e sempre Il partigiano Johnny
Quando nel discorso del 26 luglio 1943, quasi atto fondativo della Resistenza, Duccio Galimberti definiva “pena atroce” il conflitto che si sarebbe scatenato, i giovani volontari e i soldati sbandati avranno subito pensato al duro combattimento contro i nazifascisti, fatto di raid. Ovvero di rapide azioni, di danneggiamento o di sottrazione, da parte di pochi uomini che agiscono in netta inferiorità di forze nel campo nemico e che configurano un’andata e un ritorno, aggiungendo che esse sono una figura tipica della guerriglia di resistenza. Nel più importante romanzo resistenziale, oggi ancor più completo e splendido nella versione critica offerta da Gabriele Pedullà con il titolo Il libro di Johnny, la parola ricorre due volte come del resto il fatto; ben più frequente un'altra forma che probabilmente chi ascoltava le parole di Duccio non si sarebbe aspettata, quella dell'Anabasi. L'opera, scritta dall'ateniese Senofonte, racconta nel primo capitolo dei diecimila mercenari, provenienti da varie parti della Grecia, messisi al servizio di Ciro il Giovane che andava preparando una coperta guerra per scalzare dal trono il fratello Artaserse II. Alla morte di Ciro nella battaglia di Cunassa del 401, l'armata, sempre combattendo attraverso il territorio nemico, procede nella faticosa marcia di ritorno (capitoli II-IV) verso la patria, le ancora infide colonie lungo il Mar Nero (V-VII). Il cuore dell'opera, fatta dai capitoli centrali, è stata punto di raffronto per altre vicende storiche consimili (Garibaldi in fuga dopo la caduta della Repubblica Romana, Emanuele Filiberto e i suoi che ripiegano dopo Caporetto, la ritirata di Russia), nonché un modello per fortunate narrazioni romanzesche e filmiche.
Le due forme di andata e di ritorno in mezzo al campo nemico preponderante – raid e anabasi – sono tuttavia da porre in dialettica strutturale: la prima va da A (il proprio campo) a B (l'obiettivo) con breve vettore biunivoco e atteggiamento offensivo; la seconda parte da A, sotto attacco, e forse vi ritorna dopo un tempo variabile, secondo un percorso imprevedibile ma non certo lineare. Accantonata la sorpresa che le anabasi nel Libro di Johnny sono ben più frequenti del raid, forma caratterizzante l'immaginario partigiano, dovremo allora considerarne le varie sfumature lungo un climax che segue lo sviluppo stesso del romanzo di Fenoglio. Si comincia dal ripiegamento, o il ricongiungimento con il grosso delle proprie forze, che è lo schema di anabasi più prossimo a quello del raid, perché compiuto spesso da pochi uomini senza perdite, e soprattutto rapido verso un porto abbastanza sicuro. Johnny, casualmente entrato in una banda comunista, lo prova quasi subito evacuando il paese occupato.
Ciò avviene in modo ordinato e sotto la guida strategica di un capo riconosciuto, lasciando infine un senso di incolume soddisfazione. Segue la ritirata umiliante. Rispetto alla perfetta teoria del raider più volte enunciata – “I fascisti superstiti debbono aver l'impressione che i loro morti sono stati provocati da un albero, da una frana, da... un'influenza nell'aria, debbono impazzire e suicidarsi per non vederci mai” –, gli ufficiali badogliani invece, provenendo dall'esercito, e costretti a continuare nella poco congeniale forma di guerriglia la guerra contro i Tedeschi, anche per riscattare l'onore perduto l'8 settembre si comportano quasi inconsciamente, per inerzia di formazione, in modo esattamente contrario. La polemica di Johnny su questo punto è costante per tutto il romanzo: rinunciare al raid significa per oggettiva situazione delle forze in campo consegnarsi all'anabasi. Infatti, una volta deciso di occupare Alba nell'ottobre del '44, non è più possibile ripiegare leggeri di collina in collina, tutto sommato in surplace non potendo per parte loro i fascisti occupare i rilievi, ma consegnarsi a una ritirata grossa, netta e scorante, capace di operare “lo sconvolgimento tellurico di tutto il sistema partigiano” per l'intero inverno.
Ecco allora la terza anabasi: la fuga dal rastrellamento. Sulle ali dell'entusiasmo per la riconquista di Alba e forse per accettare la sfida dei grossi lanci diurni da parte inglese comincia la grande controffensiva nazifascista, “la lezione di rastrellamento” che i partigiani avrebbero “portato nella tomba, e questa era la vera grandezza della lezione”. Il modello dell'anabasi prende corpo: il tempo della ritirata va dilatandosi come lo spazio, sempre più assediato e malsicuro, espropriato dal “lascivo dispotismo” del nemico e dunque slabbrato, inabitabile: “Ma allora avevano tutte le colline per rifugiarsi, ma ora perdendo le colline, quale sarebbe stata la loro fine?”. I comandi, che non avevano fatto tesoro della lezione, continuando a riproporre la “strategia dei presidi”, sono costretti ad abbandonarli uno per uno; dall'anabasi tradizionale si risale di una nota nel dramma rispetto all'abbandono di Alba, scompaginando i collegamenti fino ad un impronunciabile paragone con l'8 settembre per la mancanza di chiare direttive (“fu un fatto di telefoni, di silenziosi o troppo loquaci telefoni”). Per Johnny e i suoi, lasciato Castagnole, compare la Cascina della Langa, luogo chiave dell'ultima parte del romanzo.
I rischi aumentano di conseguenza in modo esponenziale e gli incontri con mille pattuglie addestrate e armate fino ai denti diviene di “micidiale inaspettatezza”. Una vera e propria caccia nella quale le prede, una volta padrone del territorio delle colline, hanno smarrito tutte le loro basilari certezze (“si fermarono non sapendo che fare e dove orientarsi”). I boschi, spazio circoscritto ma pure percorso e ripercorso in dilatazione, diventano luoghi di agguati mortali, di separazione ed incontri con altri fuggenti. L'anabasi si fa geroglifico e nomadismo; ciò che resta connotato essenziale ed intatto è il movimento: “–Togliamoci da qui, – disse Ettore. – Per dove? – sospirò Pierre: a quest'ora son dappertutto. Est, ovest, nord e sud. – Non muoviamoci! implorò il ragazzo. Disse Johnny: – Muoversi bisogna. –” Inevitabile viene allora lo sbandamento. Terminati i rastrellamenti nazifascisti, il comandante Nord cerca di riformare i decimati e male armati reparti, ma all'oggettiva difficoltà si aggiunge l'appello del generale Alexander a sospendere ogni attività bellica e tornare a casa. Ma quella casa, oltre a non essere per nulla sicura, non è certo la casa promessa al fondo dell'anabasi: qui, nell'inverno '44, comincia la vera Resistenza, l'epica di Johnny.
I partigiani che il 1° febbraio 1945 sul poggio di Torretta rispondono alla chiamata di reimbandamento da parte di Nord hanno compiuto la loro anabasi.
Il comandante stesso, che si era mosso di luogo in luogo instancabilmente con la sua guardia personale, li arringa proprio sul punto unificante la sopravvivenza dei migliori, il ritorno e la futura edificazione della patria, data ormai per certa. Qui si apre il rebus filologico del finale in base alle diverse redazioni. Nella nostra prospettiva ci fa gioco il rifiutare la morte in battaglia di Johnny che, pur sigillando nell'assolutezza individuale il partigiano, troncherebbe però il compimento dell'anabasi. Piuttosto abbracciare l'ipotetica versione lunga riportata per frammenti da Maria Corti (Einaudi 1978), ancora in provvisoria stesura inglese, con il possibile rientro in Alba, sarebbe la definitiva ripresa di possesso della casa dopo diciannove mesi di combattimenti in movimento. E tuttavia la progressiva conquista territoriale da parte dei resistenti, con trionfo finale che coincida con la Liberazione, inverte il vettore direzionale dell'anabasi. Inoltre pare un'atmosfera poco consona al temperamento di Fenoglio e al finale tradizionale così splendidamente carico di sprezzatura (“Johnny si alzò col fucile di Tarzan ed il semiautomatico... Due mesi dopo la guerra era finita.”).
Infine si correrebbe il rischio di appiattire in toto la patria del dopo guerra con l'approdo del 25 aprile, cosa ben lontana non solo dallo scrittore di Alba ma dalla stragrande maggioranza dei partigiani delusi, laddove il compimento pieno dell'anabasi era e resterà, come sempre in Italia, uno slancio verso un futuro d'utopia. Allora tra le due vie contrapposte vorremmo sceglierne una mediana, proprio quella del Libro di Johnny, che in certo modo interlocutorio lascia il reimbandamento quale ultima anabasi attestata, ma pure rinvia senz'enfasi a quella che avverrà nella storia:
Poi Pierre lo guardò e gli sorrise, tristemente ma a cuore pieno. E nell'inizio della marcia gli venne a fianco e a fianco gli marciò, e Johnny si sentì bene come non più da secoli, e la gioia era doppia per sapere che anche Pierre stava bene come non più da secoli. Ma, più avanti, Pierre s'aggrottò e disse a Johnny che era stato un pasticcio. – Ma andava fatto, – disse Johnny, guardando il cupo ma non ostile cielo.
Tratto da La Resistenza e i suoi poeti, Il Filo di Arianna, 2017.