Grillo e la crisi della democrazia
Nel 1975 Beppe Grillo lavora per una ditta di jeans, la Panfin. Vende calzoni e, come racconta a un giornalista del “New Yorker”, durante un ritiro aziendale imbraccia la chitarra, suona e narra barzellette ai colleghi e al padrone della Panfin. Qualche giorno dopo riceve una lettera di licenziamento: il boss ritiene che, se passa le serate alla chitarra e a far battute, non potrà certo vendere jeans dalle 8 del mattino. Grillo prende lo scatolone del campionario e lo getta dalla finestra. Undici anni dopo, diventato un comico di successo, racconta un’altra barzelletta in televisione. È il 15 novembre 1986. Si tratta della celebre battuta sui socialisti in Cina: Martelli chiama Craxi durante una cena in Cina. Ma senti un po’, gli dice, se qui sono tutti socialisti, a chi rubano? Un altro licenziamento per quello che Aldo Grasso ha definito “il monello della televisione generalista”. Non tornerà in Tv per un decennio e oltre. Come ha potuto in vent’anni a trasformarsi da comico al bando dal piccolo schermo nel fondatore e leader di un movimento politico che è in procinto di diventare il secondo partito italiano, dopo esser stato votato alle ultime elezioni politiche mesi fa da otto milioni d’italiani?
Oliviero Ponte di Pino, editore, saggista e soprattutto critico teatrale, ha messo a fuoco questo doppio passo in un libro intitolato Comico & politico. Beppe Grillo e la crisi della democrazia (Cortina pp. 248). Per spiegarlo è ricorso al parallelo con l’esilio catodico di un altro celebre attore comico, Dario Fo, espulso anche lui dalla televisione di Stato nel 1962, e diventato successivamente Premio Nobel per la letteratura. Sia Fo che Grillo, cacciati dai dirigenti televisivi, hanno riempito l’esilio dedicandosi al teatro, teatro politico per entrambi. Fo ha messo in scena negli anni Settanta spettacoli sulla strage di Stato, Pinelli, Fanfani, sino al suo spettacolo più importante e famoso, Mistero buffo, del 1973; Grillo ha invece realizzato spettacoli sull’energia, sull’informazione, sulle truffe ai danni dei consumatori, sino ad arrivare alla fondazione di un partito personale MoVimento 5 Stelle nel 2009. Fo e il comico genovese anticipano il teatro civile che avrà il suo culmine anni dopo con Marco Paolini, Marco Baliani e Ascanio Celestini.
Ma non c’è solo questo nel cammino parallelo tra Fo e Grillo, che si ritroveranno uniti sul palco di piazza del Duomo, a Milano (Grillo candiderà Fo a Presidente della Repubblica e faranno anche un libro-dialogo insieme a Giancarlo Casaleggio, Il grillo canta sempre al tramonto, Chiarelettere 2013). Dietro ad entrambi c’è la tradizione della Commedia dell’Arte, grande matrice teatrale e antropologica dell’Italia, che continua nella cosiddetta “commedia all’italiana” del cinema, sino ad arrivare, ci ricorda Ponte di Pino, a un film come La grande bellezza di Sorrentino che include alcune delle maschere italiane. Anche Silvio Berlusconi appare come l’ulteriore incarnazione degli stereotipi della Commedia dell’Arte.
Il tema centrale del libro di Ponte di Pino riguarda proprio la trasformazione da comico in leader politico. In modo icastico lo spiega così: l’attore da un lato s’abbevera alla realtà e la plasma in maniera spettacolare alzandone la temperatura emotiva; dall’altro, l’attore riversa energia emotiva sulla realtà stessa, l’aggredisce, cambiando la consapevolezza degli spettatori; infine, passa all’azione politica stessa: diventa un attore politico in senso stretto. Non è un fatto inconsueto se si pensa, ricorda Ponte di Pino, citando Claudio Meldolesi, studioso di teatro, come nella Rivoluzione francese sia accaduto qualcosa del genere: uomini di teatro entrarono in politica. Quindi riferisce il caso di Coluche, il comico francese, che nel 1980 si candidò alle presidenziali con sondaggi che gli attribuivano un potenziale del 16% di suffragi. All’ultimo Coluche si ritirò dopo l’assassinio di un suo stretto collaboratore. Grillo invece è andato avanti.
I suoi monologhi, sia teatrali sia politici, che porta in giro per l’Italia, contengono un misto d’isteria e cinismo, emotività e menefreghismo: “Io non sono più un comico, sono uno psicopatico, urlo, mi sfogo e mi danno i soldi”. La dimensione teatrale ha incontrato quella politica. All’inizio degli anni Novanta, lontano dalla televisione, Grillo mette a punto un proprio dispositivo ideologico e insieme spettacolare, preannunciando la fine della Prima repubblica, accompagnando il tutto con sberleffi, lazzi, battute pesanti. Aveva cominciato a dire in piazza di reati e malefatte che i giudici scoprono e perseguono con Mani Pulite. In quel decennio, scrive Puppa, le sue performance sembrano realizzare quella che Umberto Eco aveva definito “guerriglia semiologica”: controinformazione dettagliata unita a un prorompente comicità fondata sulla nota di costume. Qualcosa di simile a ciò che aveva fatto negli anni Settanta Dario Fo nelle piazze e nei circoli culturali di sinistra con i suoi spettacoli a tema.
Nella performance che porta Grillo a sfidare elettoralmente i partiti, ci sono altri due elementi decisivi, che non figurano nella vicenda di Fo: il web e la “dittatura del dilettante”. Senza il web, ovvero senza l’incontro con Gianroberto Casaleggio, il comico genovese non avrebbe raggiunto il successo elettorale, perché questa è stata la chiave decisiva della popolarità. L’ascesa del suo sito, su cui s’impernia il suo crescente consenso elettorale, è il risultato di questa collaborazione. Mettendo online i nomi degli inquisiti al parlamento, ricevuti dal giornalista Andrea Scanzi, in poche settimane, nel febbraio del 2005, il blog è diventato uno dei dieci più visitati del mondo. L’esistenza di Internet ha cambiato profondamente le regole della politica; le forme della rappresentanza democratica, fondate sulla delega elettorale, sono andate in crisi. Grillo s’inserisce qui, nel momento di passaggio tra il già e il non ancora.
L’esplosione della Rete e la possibilità di libero accesso s’intrecciano con l’esistenza di un’utenza che desidera interagire e partecipare ai processi del web 2.0; inoltre, l’informazione oggi funziona ancora attraverso una “comunicazione top-down” che non riesce più a reggere le trasformazioni comunicative in atto. Casaleggio ha messo alla prova in campo politico i processi virali del web. Ponte di Pino sottolinea come oramai le classi dirigenti, le oligarchie, la gerontocrazia al potere si trovi spiazzata dai metodi di comunicazione interattiva sperimentati nel blog di Grillo.
Il secondo aspetto è strettamente legato a questo. Andrew Keen l’ha definito “la dittatura del dilettante”. Con il web 2.0 svaporano i valori che tenevano insieme i processi educativi, conoscitivi e produttivi. Chiunque può correggere la voce wikipedia sul bosone di Higgs, o su qualunque altro argomento di scienza. Va in crisi la figura dell’esperto. Grillo è il perfetto autodidatta del web 2.0, che si scaglia, non solo contro la casta dei politici – tema fondamentale per iniziare la sua battaglia polemica –, ma anche contro la casta degli specialisti, a partire dalle figure degli economisti.
Oliviero Ponte di Pino
Oliviero Ponte di Pino insiste su un punto: Grillo non fa antipolitica; piuttosto ha trasformato gli spettatori in attori, seppur parziali, dentro un panorama mediatico in evoluzione nel bel mezzo della erosione del consenso di partiti e sindacati tradizionali. La crisi della democrazia rappresentativa è un fatto evidente in tutta Europa, e la vicenda di Grillo va inserita in questo quadro: ne è un effetto, ma anche una causa, e persino un acceleratore. Non senza contraddizioni evidenti, come la creazione all’inizio del suo movimento dei gruppi di MeetUp, realtà di discussione e elaborazione di temi e di battaglie collettive, poi la loro progressiva liquidazione a vantaggio di una direzione centrata su di lui e su Casaleggio, con continue crisi e abbandoni di esponenti del movimento.
Un altro aspetto contradditorio del carisma di Grillo è il monologo. Fondamentale per far crescere il suo consenso tra i lettori del blog, gli spettatori e ascoltatori, costituisce uno degli aspetti caratterizzanti del personaggio-Grillo. Come ha notato Stefano Bartezzaghi, la cultura monologica appare come una vera e propria vocazione nazionale (“io non ti ho interrotto prima, ora non interrompere me”), ed è stata, non a caso, la base dei talk-show televisivi. Il monologo, nella variante dello sfogo e della sfuriata, è il format preferito dal comico genovese, che si rifiuta a tutte le interviste, a meno che non siano appunto monologhi, rompendo la messa in scena dell’intervista stessa, come è accaduto qualche giorno fa con una giornalista televisiva. Ha fatto così anche con Matteo Renzi, trasformando l’incontro tra due delegazioni di partito in uno spettacolo in diretta (la politica dello streaming), tenendo la parola senza dialogare. Grillo ha detto una volta a Alessandro Giglioli de “L’Espresso”: “Sono un monologhista”. Forse, come sostiene qualcuno, se abbandona i monologhi per iniziare ad argomentare, Grillo perde.
Un’ultima questione sottolineata da Oliviero Ponte di Pino appare interessante: la natura del personaggio-Grillo, che l’imparenta strettamente a Silvio Berlusconi. Non essendo un intellettuale, ma un uomo di spettacolo, per Grillo è essenziale custodire e accrescere l’amore del pubblico. Qualcosa che va ben al di là del carisma tradizionale su cui si fondava la politica nel Novecento. Berlusconi ha utilizzato la televisione (mezzo cui si rivolge ancora la maggioranza degli italiani, specialmente anziani), realizzando la politica-spettacolo teorizzata da Guy Debord. Grillo appare invece favorito dal fatto che i social media sono al medesimo tempo macchine teatrali e macchine politiche. Inoltre, il comico appare una figura in grado di operare, scrive Ponte di Pino, su diverse scene, sia reali sia virtuali. Per la campagna elettorale delle elezioni europee Grillo fa anche comizi a pagamento. Si chiamano spettacoli. La gente acquista il biglietto e corre a sentirlo.
Alla fine del libro Ponte di Pino cita un intervento di Claudio Mecacci, presidente della società italiana di psichiatria. In un breve articolo pubblicato su il Corriere della Sera, lo psichiatra spiegava come non solo gli individui ma anche le nazioni possono impazzire. Parlava esplicitamente del virus della paranoia sempre più dilagante, di cui i comportamenti privati e pubblici di molti, se non di tutti, oggi sembrano intrisi. La paranoia, varrà la pena di ricordarlo citando un corposo saggio di Luigi Zoja (Paranoia, Bollati Boringhieri), è l’unica malattia psichica contagiosa. Sta accadendo proprio questo? Paura, senso di disagio, timore del futuro, costituiscono un terreno di cultura molto propizio alla diffusione della paranoia. E Grillo è in azione.
Una versione breve di questo pezzo è apparsa su L’Espresso