Primavera messicana | La verità del cactus
La prima, più segreta, verità del cactus non è quella della sua resistenza all’aridità: è la sua fioritura, che a volte sarà splendida e smagliante, altre una corona regale al di sopra di affilate spine. Come la primavera, in Messico, questa non avrà mai sosta: attraverserà le stagioni e gli altipiani, si disferà al caldo tiepido invernale del Distrito Federal, scuoterà i propri colori nelle tormente estive in Chiapas, creperà la terra riarsa nel Nord della frontiera. E siamo proprio al Nord, nell’impressionante romanzo Porque parece mentira la verdad nunca se sabe di Daniel Sada. Dove due figli, Salomón e Papías, sputano in faccia al padre Trinidad, meschino commerciante di provincia, ribellandosi. L’oltraggio ha luogo nel paesino immaginario di Remadrin, nel quale, a seguito di una smascherata frode elettorale, cadono uno dopo l’altro cadaveri senza nome da un misterioso camion, in processione. Saranno i manifestanti uccisi in una rappresaglia governativa? E, tra quelli, ci saranno i figli di Trinidad? Quale sia la verità che sibila nei tourbillon di parole del deserto barocco e gaddiano di Sada – in quest’opera che lo imparenta di diritto a un Lezama Lima – forse non ci è dato sapere. Poiché sembra falsità, la verità mai si sa, recita il titolo. Sebbene ogni giorno potrà rifiorire sulle spine del cactus.
Salomón e Papías sono oggi tornati alla soglia paterna, pronti a sputare di nuovo al Padre frodatore, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali messicane del 1 luglio. Li ho incontrati il 10 giugno, nel pomeriggio domenicale di una marcia, nell’aria torrida rinfrescata da una brezza gentile, a Città del Messico. Erano studenti universitari, insegnanti e ricercatori, scrittori su carta e nuovi indiani digitali, artisti incipriati di strada o impalliditi di museo, freelance ribelli e impiegati scravattati. Giovani per lo più, coi loro figli nel carrozzino o in braccio, le loro facce brunite, in bicicletta come a piedi, con stendardi autoprodotti e tanta, bella, varietà fra essi: di tratti, e se non fosse brutto ricordarselo, anche di classi sociali. Sono quelli che in Italia si chiamerebbero il Quinto Stato e che qui vengono denominati Yo Soy 132. Nati come movimento pressappoco a metà maggio, dopo aver contestato il candidato del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), il cotonatissimo bravo manzoniano Enrique Peña Nieto, in visita a un’università privata, la Universidad Iberoamericana: un’università gesuita di studenti abbienti, non certo un focolaio di trozkisti. Presto hanno raccolto adesioni di moltissime altre università. Cantavano lungo il Paseo de la Reforma specchiandosi nei palazzi della finanza deserti, fermando la loro onda ai semafori rossi sotto gli sguardi di pacifici e pingui poliziotti, per poi ripartire in uno sprint. Tra di loro, ronzavano gli immancabili e pressoché ignorati venditori ambulanti. A momenti, si svelava anche qualche intruso politicizzato, con slogan preconcetti e facce lunghe allibite nel non vedere issata la propria bandiera. Imposture della primavera.
Ho marciato con la loro verità spinosa, dal monumento all’Indipendenza sino al Centro Storico. Nella piazza dello Zocalo, ci siamo seduti nella polvere davanti al secondo dibattito tv ufficiale tra i candidati alle elezioni presidenziali. Davanti a quattro figuri che, seppur di differenti vedute, erano lontani, sgranati, artefatti, sul maxischermo. Cosa vogliono invece quelli seduti? Vogliono un’informazione libera e non prezzolata, chiedono ai politici di riconoscere il valore della loro generazione, le loro competenze e novità. Impugnano l’informazione alternativa e vigile, dicendo: la verità ci renderà liberi. Alcuni li chiamano la Primavera messicana. Sono loro che hanno scelto ad emblema un cactus dai fiori sbocciati, a pochi passi dalle urne elettorali, che vedranno purtroppo con probabilità il ritorno del PRI, partito-dinosauro che ha governato il paese dalla Rivoluzione sino almeno al 2000, con frodi, violenze, conservatorismi come quelli incalzati da Daniel Sada nel suo romanzo. Il conto alla rovescia per le elezioni del 1 luglio è così iniziato. In ogni caso, questa Primavera ha una sua peculiarità tutta messicana, poco araba, poco statunitense, e quindi genuinamente nata dalla terra feconda, ingarbugliata e malandata. Poiché sembra falsità, la verità mai si sa, certo. Ma ci si può impegnare a non farla sfiorire in cima al cactus, all’ombra di un passato desertificato.