La Emme delle meraviglie
Anche se nel febbraio 1972 non ero alla Rotonda della Besana per seguire “Milano dagli 8 ai 12”, una manifestazione dove l'arte era spiegata ai bambini da Giuliano Briganti – d'altronde avevo solo 7 anni – crescere in quella Milano è stato bellissimo. Non credo sia solo nostalgia, è anzi un sentimento condiviso da molti coetanei e il ricordo è diventato un incitamento ai tempi della riforma Gelmini, per chi tra noi era genitore, a non mostrarsi troppo passivi, a dimostrare perché non si perdessero diritti così faticosamente acquisiti.
Ci siamo allora ricordati che negli anni Settanta i nostri genitori – nati negli anni del fascismo, cresciuti nei tempi bacchettoni della chiesa di Pio XII – si erano riconosciuti ribellandosi a molte istituzioni che avevano ereditato fino a quel momento senza troppe discussioni. A scuola era il tempo dei decreti delegati e dell'introduzione del tempo pieno, in casa c'era spesso baruffa, ma per noi figli era una pacchia: gli ordini non erano più perentori, le nonne erano finalmente un po' in disparte, anche se al momento giusto non rinunciavano certo a dire la loro (in Italia tutto si risolve in famiglia). Ai nostri genitori i libri con cui erano cresciuti (Salgari, Verne, «La Scala d'Oro», Piccole donne, perfino contravveleni al fascismo come Kipling o I ragazzi della via Paal) non sembravano più adeguati e allora per sottrarci alla dipendenza di «Topolino», in realtà la più potente ed efficace arma di colonizzazione del nostro immaginario, cercavano letture adatte a tempi nuovi, perché erano veramente tempi nuovi, l'ultimo momento in cui in Italia si pensò che la società poteva essere migliore soltanto se non lasciava nessuno indietro.
Io sono cresciuto nella più osservante pedagogia einaudiana: Bruno Munari, Gianni Rodari, Cipì, Cion Cion Blu,la trilogia di Calvino, le «Letture per la Scuola media» tra avventura e antifascismo (una forma di avventura). Anzi fui fin troppo zelante. A pochi passi da casa mia c'era la Libreria Einaudi di Vando Aldrovandi e un giorno gli chiesi le Lettera a Luisotta di Augusto Monti. Il vecchio Al, o almeno a me così sembrava, sbuffò alla richiesta, dicendo qualcosa del tipo: “Ancora con queste cose”. Monti era stato il maestro di Pavese, Ginzburg, dello stesso Giulio Einaudi, ma a quell'epoca sembrava ormai inutilizzabile. Per fortuna c'erano altre librerie: quella dei Bambini in via Tommaso Grossi, fondata nel 1972 da Roberto Denti, un vero pioniere, e Gianna Vitali, o i fumetti della Milano Libri di Annamaria Gandini, oppure c'erano i consigli di Carlo Martegani, il mito di generazioni di bambini, alla Libreria Hoepli.
Milano era anche la città di Bruno Munari (l'indimenticabile Nella nebbia di Milano) che proprio nel 1972 inaugurò la collana einaudiana «Tantibambini» per «coltivare lo stupore per le scoperte, stimolare l'immaginazione, aprire la mente ai nuovi mezzi di conoscenza e di espressione ». Libri figli di una nuova pedagogia (Piaget, Freinet) e strumento per ribellarsi a tutte le retoriche, anche se poi magari ne nascevano di nuove. La parola che Munari non usa è fantasia: eravamo soprattutto stimolati a far uso della nostra fantasia. Certo, ci sono stati molto eccessi, forse è anche lì la radice dei nuovi individualismi che seguirono, ma se sbircio le letture e i programmi televisivi dei bambini di oggi li vedo incatenati alla logica dello storytelling, per non dire del marketing che ormai si insinua fin tra i più piccoli.
Ricordi e considerazioni che nascono dalla lettura di La casa delle meraviglie. La Emme Edizioni di Rosellina Archinto , a cura di Loredana Farina (Topipittori, 34 euro), un libro molto bello anche semplicemente da sfogliare, tanto è ricco di immagini, illustrazioni, fotografie. Ma vale la pena addentrarsi nel contenuto: una lunga intervista a Rosellina Archinto, interessante soprattutto quando parla del proprio lavoro, racconta la genesi della casa editrice. Un soggiorno negli Stati Uniti a cavallo degli anni '60, la scoperta di una letteratura per l'infanzia che parte dall'illustrazione prima ancora che dalla parola scritta, la nascita di cinque figli e la constatazione che in Italia i libri per bambini sono ancora vecchi e brutti, l'idea quindi di fondare nel 1966 una casa editrice.
Piccola, pionieristica, la Emme Edizioni parte col piede giusto con Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni, un artista e illustratore di fama internazionale. L'incontro più importante è quello con Emanuele Luzzati, poi Iela Mari da sola o col marito (di allora) Enzo, lo stesso Munari. Da subito anche molti autori stranieri – la Fiera di Bologna nasce nel 1964 e la Archinto non manca mai a quella di Francoforte – come Steadman, Ungerer, Bob Gill e tanti altri. Chi conosce Rosellina ritrova nell'intervista una certa (simpatica) bruschezza. Alla domanda se “si può addebitare a Croce una delle cause della nostra arretratezza?” risponde secca “No”, per poi aggiungere: “Penso che le ragioni siano radicate nell'impostazione delle scuole cattoliche e in certi schemi imposti, che escludevano a priori qualsiasi elemento di rottura con la tradizione”. Il rapporto tra testo e immagine, il progetto tipografico in collaborazione con artisti, grafici, fotografi, è la vera novità che la Emme porta nell'editoria italiana, ma attraverso i saggi di Paolo Canton, Marta Sironi, Valentina Colombo, Giulia Mirandola, Ilaria Tontardini, Emilio Varrà, Nicola Galli Laforet, Luigi Monti, Elena Massi, si scoprono tante altre cose.
La più nuova, almeno per me, è il forte afflato pedagogico, che non esiterei a definire militante, che caratterizza una serie di iniziative della casa editrice (e peccato che il catalogo cronologico che chiude il volume non abbia una divisione per collane). In origine forse c'è il fatto che Marcello Bernardi sia stato il pediatra di casa Archinto, poi, certo, l'aria del tempo, ma la collana «Puntoemme», nata in collaborazione col Movimento di Cooperazione Educativa (uno dei migliori frutti del nostro laicismo), l'Enciclopedia dei bambini diretta dallo straordinario Pinin Carpi con il principio di “mai parlare di qualcosa che non si vede, né mostrare qualcosa di cui non si parla”, sono un punto d'onore del catalogo. Poi, a partire dagli anni Ottanta, si avverte un certo ripiegamento, si pubblicano o ripubblicano grandi classici come Babar o Beatrix Potter, ma la casa editrice chiude nel 1985, e l'impressione è che il momento di massima sintonia con la società sia avvenuto prima, negli anni Settanta.
Per chiudere non posso non parlare di almeno altre due collane, che testimoniano l'istinto dell'Archinto (vivissimo ancora oggi) nell'individuare persone di qualità con cui collaborare: il «Mangiafuoco», diretta da Oreste del Buono e rivolta ai ragazzi dai 9 ai 13 anni e i «I Pomeriggi» animata da Natalia Ginzburg. Ottimi scrittori ma anche impareggiabili editor, anche se già autori come Soldati, Arbasino, Moravia, Sciascia erano stati coinvolti da Rosellina a misurarsi con la letteratura per l'infanzia. Scrive la Ginzburg presentando la sua collana: “Si usa oggi dire che i giovani hanno perduto ogni amore per la lettura. Quelli che hanno ideato questa collana non credono, o non vogliono credere, che ciò sia vero. Essi pensano che i giovani che amano leggere esistono, e non importa se sono magari una minoranza. Essi pensano che le minoranze abbiano i medesimi diritti delle maggioranze (…) Essi ritengono il disordine assai migliore dell'ordine, intendendo per disordine le forme innumerevoli, a volte elementari e limpide a volte tortuose e strane, che può prendere il pensiero umano”.
Oggi i lettori a cui si rivolge Natalia sono chiamati nell'editoria young adult e tanti classici di Emme sono stati ristampati, anche meritoriamente, ad esempio da Corraini, perdendo però lo spirito con cui erano stati pubblicati: libri belli e intelligenti per una società migliore.