Solitudine / Gli strani gesti negli ultimi ritratti di Malevič
Nei ritratti eseguiti negli ultimi anni della sua vita, Kazimir Malevič mette in scena un linguaggio gestuale, per trasmettere messaggi in codice al suo popolo. Riprende il repertorio dei gesti utilizzati dai pittori del XV e XVI secolo. Nel ritratto di una operaia russa del 1933, Malevič raffigura la giovane mentre compie gesti delle mani che balzano all’occhio per la loro apparente incoerenza. Sono gesti che non sembrano avere a che fare con il suo lavoro in fabbrica o essere connessi con la produzione.
E nemmeno paiono legati a una naturale gesticolazione nel quotidiano. Lo sguardo della donna è assorto, fisso nel vuoto, è altrove. Malevič ha sottratto qualcosa dal suo quadro. E questa assenza rimarca il non marcato. La sottrazione ha un valore concettuale, dello stesso peso rispetto alla scelta di lasciare spazio alla sensazione pura nell’arte, tradotta in una figura geometrica monocroma (quadrato, cerchio, rettangolo) su sfondo bianco. Il ritratto, con l’inserimento di questi gesti, diventa un’immagine altrettanto profonda, evoca qualcosa che nel quadro è stato escluso.
Guardando attentamente si percepisce la sua natura tragica, ovvero l’immagine di una madre che è stata privata del suo bambino. In modo molto sottile, Malevič la rappresenta come fosse una Madonna che sorregge un bambino invisibile, cancellato o sottratto dal regime staliniano. Lo sguardo dell’operaia ha parentele con quello di molte madonne raffigurate dai pittori italiani del Rinascimento, uno sguardo assorto e melanconico, che pre-sente la morte futura di Gesù. Esemplari sono la Madonna Lochis (1475) di Giovanni Bellini, ora conservata a Bergamo nell’Accademia Carrara, e la Madonna col Bambino (1496-99 ca.) di Giovan Battista Cima da Conegliano e bottega, ora nel Museo Civico di Treviso.
Un precedente calzante nella postura e nella posizione delle mani è la Madonna con Bambino (1330) di Lippo di Benevieni, ora a Firenze nella Collezione Cosimo degli Alessandri. L’ideatore del suprematismo, forse costretto dai burocrati a conformarsi con i canoni del realismo socialista, con un’intuizione semplice e funzionale cripta il suo messaggio critico, trasformando il ritratto in una testimonianza reale di ciò che accadeva intorno a lui in quegli anni. La giovane operaia, o meglio la creatura assente che tiene tra le mani, assume il significato di un segno assoluto, un’immagine non meno potente e terribile del Quadrato nero (1915), che è comunque presente, come fosse la firma dell’autore, in miniatura, sotto il gomito destro della donna ritratta.
Nel suo autoritratto del 1933, intitolato L’artista, Malevič si raffigura come fosse Cristoforo Colombo, identificandosi con la figura dello scopritore di un nuovo mondo, ovviamente riferendosi alla sua scoperta del suprematismo. I suoi riferimenti iconografici sono riconducibili al ritratto del navigatore italiano, ora al Galata Museo del Mare di Genova, e a quello dipinto da Sebastiano del Piombo nel 1519, ora custodito nel Metropolitan Museum di New York, risolto pittoricamente avendo in mente anche certi ritratti presenti negli affreschi di Mantegna e di Ghirlandaio.
Nel gesto della mano destra, con il pollice alzato e le altre quattro dita distese in orizzontale verso il lato sinistro, qui l’artista lascia trasparire il suo intento spirituale, la sua concezione alta e suprema della pura pittura, coniando il termine “suprarinascimento”. Il cenno è ripreso da un’immagine di Sergej Radonežskij o Sergio di Radonež (1322 – 1392), il più grande leader spirituale e riformatore monastico della Russia medievale, ovvero il più venerato dei santi russi.
Malevič ha affermato di aver dipinto il Quadrato nero, ovvero la sua prima opera avanguardista, nel 1915, come in uno stato di trance mistica, ispirato da influssi esoterici. Alla prima mostra suprematista venne esposta nell'angolo destro della sala accanto all'ingresso, nella posizione in cui venivano appese nelle case le icone ortodosse delle Madonne, secondo la tradizione russa.
Chissà se l’artista russo aveva visto l’immagine del nulla che è stato prima dell'universo, presente nel libro Utriusque Cosmi (1617) di Robert Fludd: un quadrato nero, che occupa quasi totalmente l’intera pagina, con una minuscola scritta “Et sic in infinitum” su ogni lato, per suggerire una dilatazione nello spazio e nel tempo.
Un’immagine visionaria di forte impatto concettuale e filosofico, che è stata realizzata dall’incisore svizzero Matthäus Merian, su indicazioni dello stesso Fludd, medico rosacrociano, astrologo e filosofo neoplatonico, figlio del tesoriere alla corte della regina Elisabetta I d’Inghilterra. Nel libro compare il ritratto di Fludd, colto mentre compie un gesto simbolico con la mano destra sul petto, un segno non uguale a quello che compie Malevič nell’autoritratto ma con un simile significato di natura esoterica.
Nell’ultimo periodo della sua vita, all’interno di una ripresa dei fenomeni neofigurativi negli anni Venti e Trenta, Malevič rivisita l’arte del Cinquecento italiano e nordeuropeo, i modi presenti nei ritratti della pittura umanistica. Dopo lo “zero delle forme” compiuto tra il 1915 e il 1918 e dopo la scelta di concentrarsi completamente sull’idea teorica del suprematismo, l’artista mostra la volontà di riprendere la sua attività pittorica, con soggetti che possono essere accettati dal regime, intessendo comunque una sottile denuncia sociale, un silenzioso corpus di opere che testimonia il disagio di individui anonimi e solitari, costretti nella collettivizzazione del lavoro agricolo o industriale.
Nei ritratti tardi del 1933, firmati con un piccolo quadrato nero, Malevič trasferisce lo spirito del suprematismo negli elementi geometrizzanti degli abiti, dando molta importanza ai gesti delle mani compiuti dai soggetti, come se dovessero mettere in scena una performance dai messaggi allusivi, come se preannunciassero un’arte gestuale, dove il senso è celato nel segreto di un pugno chiuso, nel cenno tratto da una tradizione arcaica, nel magismo del gesto pagano o cristiano, nelle mani che muovono le dita attingendo a un linguaggio per segni, solo per iniziati, isolati nello sfondo monocromo.
Questi ritratti, apparentemente anacronistici e lontani dalle soluzioni avanguardistiche, mettono in scena la loro solitudine estrema: il navigatore senza più navi, l’artista privato del suprematismo, la madre senza figlio.